The Best Of 2018: l’opinione della redazione

BRA

USA: nonostante di capolavori indiscutibili non ne abbia ascoltati, devo dire che è stato un anno movimentato da molte cosette valide; pertanto fanculo il podio e prendete nota col lapis – vado grosso modo in ordine d’uscita. “Weather Or Not” di Evidence, perché lui non cambia mai e ci piace ancora così com’è; “In Celebration Of Us” di Skyzoo, perché è uno di quei tanti sottovalutati che lo fa molto meglio di tanti sopravvalutati; “FEVER” di Black Milk, perché questo ragazzo ha classe e talento, qualità che ai più mancano; “Daytona” di Pusha T, perché sì, cazzo; “Portraits” di Chris Orrick, perché fa ottimo Rap sopra ottimi beat; “Supreme Blientele” di Westside Gunn, perché la formula non cambia ma il principio attivo non perde d’efficacia; i due “Streams Of Thought” di Black Thought, perché questo signore è un’autentica benedizione per l’Hip-Hop; “Kamikaze” di Eminem, perché un po’ di sana polemica a me piace; “Elephants On Acid” dei Cypress Hill, perché a cinquant’anni vorremmo arrivarci tutti così; “A Breukelen Story” di Masta Ace e Marco Polo, perché il suono classico di New York non morirà mai. E le prossime ore, così, le avete belle che occupate.

ITA: vogliamo davvero parlarne? Il Colle der Fomento ha pubblicato “Adversus“, abbiamo già cercato di dire la nostra in merito e c’è un ottimo documentario che aiuta a inquadrare meglio il disco; se ciò non fosse sufficiente, vi invito a non leggere nulla e concentrarvi sull’ascolto perché l’album parla da sé, distanziando l’Hip-Hop italiano per manifesta superiorità. Vogliamo bene a Masito, vogliamo bene al Danno, vogliamo bene a Dj Baro, a Dj Craim e pure a Kaos – che sennò magari ci rimane male. Poi “Underlife” di FFiume e Clas K., accoppiata che vorremmo presto rivedere all’opera, considerato il risultato della loro collaborazione: finezze liriche, strumentali che profumano di vinili polverosi, scratch, stile a tonnellate. Infine un altro duo sorprendente, quello composto da Blo/B e Gionni Gioielli: “MoMa” è un’autentica goduria, selvaggio, ruvido, grezzo, Hip-Hop nel senso più viscerale del termine e perciò da premiare a prescindere, con griseldità e doomismi vari in canna. Honorable mentions: “Memory” di Johnny Marsiglia (e Big Joe), “Antigravity” di Drimer e Ares Adami, “Eldorado” di Jangy Leeon e Weirdo – ascolti caldamente consigliati tutti e tre.

MISTADAVE

USA: gli ascolti statunitensi sono risultati a mia opinione di maggior qualità rispetto al 2017, seppure il numero di dischi davvero da ricordare non sia poi così alto. Album dell’anno a mani basse è “Book Of Ryan“, opera di Royce Da 5’9” composta da vero storyteller in grado di raccontare immagini dense, dolci e dolorose della propria esistenza, cercando di effettuare un’attenta autoanalisi sopra una produzione moderna ma assai accattivante. Gli altri arrivano tutti secondi perché i titoli non basterebbero per un podio. La menzione d’obbligo va a Masta Ace e Marco Polo, usciti nella parte conclusiva dell’anno con un piccolo capolavoro che fa assaporare Brooklyn e la racconta da una duplice prospettiva, accomunata da tanti dettagli; ne esce l’ennesima opera cinematografica della carriera di Duval Clear, musicata da un Polo devoto al boom bap più classico della Grande Mela, quello che non stanca mai. L’ennesimo ottimo disco sfornato da Apathy è quel “The Widow’s Son” così concettuale e profondo, ma pure così letale quando si tratta d’innescare la battaglia lirica più pura. Memorabile quanto offerto da Elzhi e Khrysis sotto il moniker “Jericho Jackson“, che esalta uno dei lyricist più complessi di quest’epoca; molto bene Chris Orrick, che sforna l’ennesimo prodotto di qualità con testi terapeutici e assai lontani dal machismo del rapper medio; bis infine per Royce da 5’9”, che con Dj Premier offre un “PRhyme 2” assolutamente migliore del capitolo precedente. E poi c’è zio Vinnie, che nella mia classifica personale non può mai mancare.

ITA: per l’Italia, giù il cappello al Colle per “Adversus”, maturo, completo, tre passi avanti rispetto a tutto il resto, e props a Rancore, paroliere di notevole padronanza tecnica che colpisce ancora una volta con dizione fulminea e tematiche che invitano alla riflessione, talvolta dure da digerire per chi fatica ad aprire la mente a sufficienza, una notevole prova sia a livello tecnico che contenutistico.

GABRIELE BACCHILEGA

Fine anno, ergo tempo di classifiche. Come è stato questo 2018 per l’Hip-Hop italiano? Bah, direi quantomeno interessante, con tante – pure troppe – uscite e ogni tipologia di proposta possibile. Frammentazione invereconda all’interno della quale pesco i seguenti tre dischi.
Mezzosangue, “Tree – Roots & Crown”: un album che sazia senza riempire. Se da un lato, infatti, conferma il talento del rapper romano, dall’altro lascia intravedere un potenziale ben lungi dall’essere sfruttato per intero.
Gionni Gioielli e Blo/B, “MoMa”: bomba che prosegue sul cammino di “Young Bettino story” con produzioni crude e cupe, opera di Gioielli, e il flow ruvido, grasso e arrogante di Blo/B. Coppia & disco dell’anno!
Rancore, “Musica per bambini”: il disco che porta Tarek a un livello superiore e questo soprattutto grazie al cambio versante strumentali, con il passaggio dalla monogamia (Dj Myke) alla poligamia produttiva, rivoluzione che rende l’mc ancora più coinvolgente e potente, un autentico poeta di strada.

LORD 216

Aaaaah, che bello il best 3 dell’anno! Facile, peraltro, in un 2018 così scevro di gioie musicali per coloro i quali apprezzano questa wave del brutti ignoranti grezzi e ben vestiti che droppano un progetto ogni 6 secondi.
Circa.

USA: allora, terzo posto per un bel disco mainstream come “Daytona” di Pusha T, prodotto da quello squinternato di Kanye West. Pusha dimostra (se ce ne fosse stato bisogno) che rappa in culo a chiunque, una mezz’oretta abbondante di disco e via. Nulla di nuovo e inatteso, ma quando fai il coca Rap come lui, per me puoi continuare a farlo per tutti i secoli dei secoli amen. Secondo posto: “Tana Talk 3” di Benny. Lui non ha sbagliato mezza barra in tutto il 2018 e a fine anno se n’esce con ‘sta fucilata che spodesta “Supreme Blientele” dai miei ascolti; e “Rubber Bands And Weight” almeno tre volte al giorno non me la leva nessuno. Dailà, El Carnicero sta crescendo di brutto per la gioia e il gaudio di noi appassionati. Primo posto: “Orpheus Vs. The Sirens“. Ka recluta Animoss alle macchine sotto il moniker di Hermit And The Recluse e insieme aggiungono un tassello importante a quella visione che attraversa tutti i dischi del primo, da “Iron Works” a oggi. Fantastico, meraviglioso, ipnotico, irripetibile e così via, Ka capo del mondo per sempre, gli si dedichino strade, piazze e un posto sulla nave in cambio di musica che doma le bestie feroci.
Menzioni speciali: Dio Roc Marciano 3 dischi 3 (più uno di strumentali, però sotto i suoi standard), il sempre più redivivo Dj Muggs (nella triplice versione da solo/con Roc/coi Cipressi piezzecore), “Aguardiente” di Crimeapple, ElCamino che cammina sull’acqua, varie robette di Alan Il Chimico aka The Alchemist (quest’anno il full lenght no, però vari EP con parenti e amici spesso Griseldoni), il buon Evidence che chiude la trilogia meteorologica con “Weather Or Not”, un Bronsolino sempre più ciccioso e sfattanziato (io odio i cavalli e tutti ‘sti nitriti mi indispongono vieppiù…), Griseldità varie (“Blientele” e “HWH6” su tutto, “Food” di Conway – il primo meglio del secondo per produzioni, lui è sempre il capo del pistolwhip a cottimo – e fate un po’ come cazzo vi pare), il sempre sobrio e misurato Al.Divino (con o senza Estee Nack, più senza che con…anzi forse più Estee Nack che Al.Divino), Rome Streetz (l’ultimo è uscito oggi, non l’ho ancora sentito ma quello con Farma Beatz merita), non dispiacente “Flintlock” di Knowledge The Pirate e sticazzi, chiudiamola qui sennó le menzioni occupano tre pagine, tanto sicuro lo rileggo già pubblicato e mi dico noooo babbodiminchiazza hai dimenticato anche (seguono 34 altri dischi).

ITA: in Italia invece esce il Colle e che je devi dì? Grazie regà e un proppone a Lollo Craim che cresce come i funghi in produzione. Fuori classifica. Ecco le tre piazze. Due se le prende Gionni Gioielli: “Young Bettino story” da solo e “MoMa” con Blo/B sono quintalate di barre, barre e barre (Blo in canna come non mai!) su beat grezzi e gustosissimi. Grazie a ciò lo perdono per avermi rimbalzato l’intervista (LOL) e lo iscrivo al registro dei da tenere d’occhio, perché se ho capito bene (e di solito capisco benissimo…) nel 2019 dropperà cose molto, molto, molto serie. L’altra a Jay Vas che ha lanciato una bomba (maglioncino a parte), lui capo dei beat assoluto. Menzione speciale a “Memory” di Johnny Marsiglia e Big Joe e “Underlife” di FF e Clas.

MR. BUSHSDOC

Di questo 2018 rimarrà purtroppo pochissimo. Gli album riusciti – non brani, interi album – non arrivano a dieci e, di questi, ancora meno verranno ascoltati negli anni che seguiranno.
Detto questo, inutile girarci attorno: il 2018 è stato l’anno di “Adversus”. Il disco del Colle der Fomento è, a mio avviso, l’unico che resisterà alla prova del tempo. Una boccata d’aria clamorosa. Il Rap.
Grandissimi meriti anche per “Musica per bambini” di Rancore – se non ci fosse stato il Colle, il trono sarebbe stato suo – e “Underlife” di FFiume & Clas K. – stile, stile, stile e ancora stile.

LI9UIDSNAKE

Come di consueto, sarò sincero… Ancora non saprei dire quanti dischi targati 2018 – presi a pezzi o per intero – porterò effettivamente con me oltre la soglia dell’anno solare, a farmi compagnia nelle prime settimane in attesa che il 2019 sveli quali saranno le proprie carte. Quello che sicuramente posso dire, parlando degli ultimi dodici mesi, è però che – merito probabilmente dell’ampio spettro dei miei ascolti (per capirci: parlo di momenti in cui salto dai Run The Jewels a Eminem, passando per Ghostface Killah, il Dr. Octagon e Travis Scott) – non mi sono di certo annoiato. Intendiamoci, nella bacheca dei capolavori nessuno tra i presenti si è messo a fare a spallate per lasciare spazio ai nuovi iscritti al club. Ma se fossero solo i trofei a contare…beh, la grande maggioranza delle squadre si ritroverebbero senza un solo tifoso. Quindi, nonostante l’antipatia del sottoscritto per le classifiche, vi propongo di seguito un’insolita top 7 (in ordine rigorosamente alfabetico, per artista e non di merito) del meglio di quest’anno, selezionato con cura dai miei padiglioni auricolari.
Si inizia con Black Thought. Perché? Perché sì. Un anno fa, proprio in questo periodo, il signor Trotter ci aveva costretto a imbracciare gli estintori dopo aver dato alle fiamme il microfono durante una diretta su Hot 97. Strofa dell’anno iscritta all’albo mentre la bandiera a scacchi stava già sventolando e preludio di un anno che l’ha visto (a 47 primavere e con una gavetta ufficiale di oltre 23 alle spalle) finalmente esordire da solista con “Streams Of Thought“; due volumi di Rap ad alto contenuto di barre. Roba per puristi.
Il 2018 si è inoltre prestato come scenario ideale per un paio di ritorni in grande stile. Uno su tutti quello dei Cypress Hill che – merito soprattutto di un Dj Muggs in puro stato di grazia – hanno dato alla luce il disco che tutti speravano di ascoltare ma che nessuno avrebbe creduto possibile. “Elephants On Acid” è una nota (acida…molto acida) tra le più liete di questi dodici mesi. Non solo per la qualità intrinseca del prodotto, ma perché di fatto trasforma in una semplice parentesi quello che invece sembrava il triste epilogo di una discografia storica (quel “Rise Up”, signori; penso non serva dire altro). La seconda ricomparsa memorabile è invece quella del Dr. Octagon, che in primavera ha riaperto a sorpresa il proprio studio medico dopo oltre un ventennio per curare un’improvvisa epidemia di “Moosebumps” – la quale speriamo tutti non venga debellata troppo rapidamente.
Quarta posizione e siamo solo alla lettera E, come Evidence. Il nostro meteorologo (ora ex) di Venice Beach si è preso la responsabilità di lanciare l’annata lo scorso gennaio, dando alle stampe l’ottimo “Weather Or Not”; capitolo conclusivo di una trilogia iniziata nel lontano 2007. Un album molto personale, che chiude un’era e rende difficile dire quale potrà essere il prossimo passo. Ma, se posso permettermi un suggerimento: in attesa di far luce sul futuro, l’MPC dell’Alchimista sembra essere particolarmente caldo in questo periodo. Così, eh, per dire…
Capitolo Pusha T: “Daytona” è il mio album dell’anno. Ho già detto ampiamente cosa penso al riguardo e l’unica differenza rispetto a qualche mese fa è che mi sento sempre più convinto di aver sbagliato a non concedere quel mezzo punto in più. Un alcaloide che sviluppa assuefazione immediata; roba che se ve la beccano con un’intercettazione in cuffia, il mattino dopo vi ritrovate con la DEA che vi butta giù la porta di casa.
Restano infine due nomi, addentrandosi nel sottosuolo musicale, che non si possono dimenticare se si vuol incorniciare a trecentosessanta gradi il 2018. Il primo è quello di Roc Marciano, che in pochi mesi ha praticamente raddoppiato il suo catalogo andando tre volte su tre a bersaglio con il seguito di “Rosebudd’s Revenge”, “Behold A Dark Horse” e, soprattutto, il maestoso “Kaos” concepito a quattro mani con Muggs. Il secondo è invece quello di Westside Gunn, oramai uno dei signori indiscussi dell’underground (si può ancora dire?) contemporaneo e leader di quella zona grigia tra doppia acca e Pop Art che trova la sua massima espressione in manifesti come “Supreme Blientele” e “Hitler Wears Hermes 6” (a breve su queste pagine…).
Concludo con un veloce carrellata di menzioni ad honorem: si va da “Redemption” di Jay Rock alle vibrazioni newyorkesi di “A Breukelen Story” del tandem tra Masta Ace e Marco Polo, passando per i Jedi Mind Tricks, Jam Baxter, Skyzoo e Royce. Insomma, mi avete capito: futuri classici pochi, ma la noia è fatta in tutt’altra maniera.

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