Intervista a Dee Jay Park (26/11/2023)

Regola aurea di RapManiacZ: non si recensiscono i dischi degli amici. Fatta la legge, gabbato lu santo: nessuno dice niente sulle interviste, quindi intervista a Dee Jay Park in occasione del long awaited highly anticipated debut album “The dustronomist”, in arrivo domani e che noi, privilegiati, stiamo ascoltando da qualche mese. Intervista, tra l’altro, fatta nella mia auto di ritorno da una serata che ha detto molto sul nuovo underground che spaccherà da qui a breve, ma se non c’eravate (e il BundaLinda è piccolo, se c’eravate vi avrei visti…) non ve la sto a raccontare, ne parliamo presto con in mano il roster della vostra etichetta preferita. Tradizionalmente, nelle interviste quando ridiamo lo specifico, qui a un certo punto mi son rotto di farlo perché abbiamo riso durante tutto il viaggio. Tra una risata e l’altra viene però fuori che è il caso di fare un giro su Bandcamp e recuperare le cose che Park ha prodotto, così siete belli pronti per il suo nuovo disco e potete dire anche voi ah, io lo seguo da quando… Bon, non mi pagano a parola (non ti paghiamo e basta – ndBra), già sbobinare ‘sta cosa è stato un parto e come intro è più che sufficiente. Leggetevela e a posto!

Lord 216: dunque, è l’1.36 di notte, stiamo tornando dal BundaLinda di Brugherio. Non avevo idea di dove fossero né il BundaLinda, né Brugherio, ma tutt’ora non lo sappiamo…
Dee Jay Park: però vorrei cambiare nome a Brugherio in San Pecoburgo.
L: mi sembra già una buona idea, questa, la proporremo quanto prima al consiglio comunale (risate – ndLord 216). Dicevo, dopo una data al BundaLinda di Brugherio con Toni Zeno di cui però non parleremo, perché se ne può parlare solo bene e in quest’intervista non parleremo bene di nessuno…
DJP: intervista scomoda…
L: intervista scomoda a Dee Jay Park, sì. Allora, facciamo così: tu hai una sfilza di progetti fuori, potremmo riassumerli tutti…
DJP: nessuno che possa stare su Spotify
L: ecco, ma c’è dell’interesse?
DJP: relativamente, non mi sembra un grosso problema.
L: per cui facciamo al contrario e partiamo dalla fine. Ad oggi, qual è il prodotto che hai fatto che ti soddisfa di più e perché?
DJP: allora, potrebbe essere il mixtape tributo a Deda, oppure quello a Kaos. Quello a Deda perché comunque ha avuto una risposta, era quel qualcosa che non voglio dire che servisse, ma… Io volevo avere un tape in cui potessi ascoltarmi solo strofe di Deda, per i motivi che sappiamo del suo smettere di fare Rap e via dicendo, ho raccolto tutto in questa maniera, con un po’ di storia della carriera raccontata tramite pezzi e strofe più o meno conosciute, ed è venuto molto bene. Kaos è invece proprio il motivo per cui faccio questa cosa qui; e poi c’è stata anche una sua mano – indiretta, diciamo – nel chiudere il progetto, quindi poter dire ho fatto questa cosa qui, è piaciuta a lui e mi ha anche dato una mano è una di quelle cose che, se lo dicessi al me stesso di una volta, non ci crederebbe.

L: allora scusami, ma questa domanda me la sono fatta spesso. Perché uno sano di mente dovrebbe cominciare a fare ‘sta cosa?
DJP: uno sano di mente…ma perché è un egocentrico di merda! Cioè, alla fin fine io ho cominciato a fare il dj perché volevo costringere la gente ad ascoltare la musica che piaceva a me, farla sentire ad altra gente. Non la mia musica, ma la musica che piaceva a me, che forse è peggio! Perché almeno se uno è un musicista e fa ascoltare la musica che fa con passione… No, io voglio ascoltare la musica che mi piace e voi con me! Credo sia un fatto di egocentrismo. Poi anche di condivisione, per carità, perché c’è una cosa che mi piace molto ed è proprio – sembra una paraculata – il discorso delle emozioni che può suscitare il set, quando metto quella singola nota che uno ha già capito che pezzo è e si emoziona. Quello per me è già portare a casa la partita. O quando trovo dei sample di pezzi che conosco e quindi suonandotelo e ricostruendoti il pezzo live o nei mixtape ti faccio quasi sentire…intelligente? Perché ti stai rendendo conto di cosa sta succedendo.
L: così lo capisci anche tu.
DJP: così capisci anche tu e provi quello che ho provato io, perché anch’io mi sono sentito intelligente. Cazzo, è quella! E ora puoi provare anche tu la stessa emozione.
L: e te lo ricordi il primo sample che hai sgamato?
DJP: no, forse se mi sforzo… Credo sia “Step Into A World” di KRS-One con le trombe di “The Champ”. Ho detto una cazzata?
L: le trombe di “The Champ” di The Mohawks? Non lo so, ma la regola base dell’intervista è che non tagliamo niente, per cui, se hai detto una cazzata…
DJP: scrivi non era così, ma la stanchezza… (però aveva ragione – ndL)
L: almeno tu la differenza tra sample e campione la sai!
DJP: esatto!

L: ecco, ci teniamo e andava detta… Però, se mi butti lì “The Champ” la domanda è: perché è un breakbeat classico e tu hai iniziato suonando per i breaker?
DJP: ho iniziato suonando per i breaker, sì. Di fatto lo ero a mia volta, scarso a ballare: ai contest non se ne cavava una, se andavo a fare da dj forse portavo anche a casa dei soldi – e poi ero più bravo come dj che non come breaker, quindi…
L: quindi l’egocentrismo e la tirchieria sono fondamentalmente i pilastri su cui fondi la tua carriera?
DJP: esatto. Comunque si, il breaking è stato il mio primo amore all’interno di questa Cultura. E fare il dj per i breaker era una delle cose più belle, poi è venuta sempre meno col tempo per possibilità e via dicendo, però si parte da lì.

L: anche perché mi pare di capire che oramai i dj che suonano per i breaker tendano a essere più produttori di pezzi nuovi che non quelli che arrivano con la doppia copia…
DJP: bene o male, tocca esserlo per colpa dello streaming… Perché oramai tanta gente vuole fare la battle in diretta su Facebook e compagnia, ma se ti sgamano il pezzo ti chiudono la diretta e tu sei fregato, è stato un incentivo a cominciare a produrre i pezzi in modo tale da non avere più questi problemi. Non mi piace moltissimo come cosa, Skeme Richards – uno dei più grandi dj di breakbeat che ci sia – una volta disse la figata è che io a un certo punto suono nella battle dei dischi che magari si ascoltava mia madre, è la base del diggin’ e ho trovato magari anche roba che si prestava e anche quello lì era il modo di cercarmi pezzi… Avere delle cose che sono state fatte apposta per quelle e non dargli un nuovo scopo. Gli togli un po’ quella magia, la base secondo me dell’Hip-Hop, quindi preferisco cercarmi i breakbeat e sperare che quella battle non venga mai trasmessa.

L: per noi vecchi questa roba qua è un po’ strana da sentire, però ci sta. Quindi abbiamo detto il dj per i breaker, il selecta e poi il dj per i rapper. Ah, no, prima di arrivare al dj per i rapper c’è la cosa che forse ti identifica di più, che è quella dei mash-up.
DJP: allora, se la mettiamo così, i mash-up vengono ancora prima dell’essere dj per le battle, ci provavo già, fatti malissimo e fuori tempo, fuori tonalità…
L: ma parliamo ancora di due giradischi o…
DJP: no, non avevo neanche i giradischi, avevo una consolina di plastica e ancora prima dei programmini sul computer trovati a caso.
L: scaricati pagandoli…
DJP: erano versioni gratuite di cose che poi si pagavano, per fortuna.
L: ma tu, notoriamente, se c’è da pagare…
DJP: eh, quando tocca tocca (non è vero – ndL). Al massimo, mi fingo studente. A parte questo, se andiamo ancora più indietro uno dei primi momenti in cui ho pensato ma che figata vorrei poterlo fare anch’io è stato sentire “Numb/Encore” dei Linkin Park con Jay-Z, quella roba ehi, ma è quella canzone con quell’altra ed è una canzone nuova ohmmioddio! è stata la cosa che per prima mi ha fatto dire voglio fare il dj!
L: infatti il tuo nome viene da lì, giusto?
DJP: ti potrei dire di sì, ma non sono sicuro sia vero. Non ricordo come ho scelto questo nome, però mi sono reso conto che la spiegazione logica è Jay-Z/Linkin Park, dunque ce la teniamo per buona.
L: su Wikipedia mettiamo questo.
DJP: sì. Poi alla prossima intervista dirò una cosa diversa, dirò che è perché ho iniziato a fare il dj in un parcheggio coi dischi del papà.

L: aspetta, in realtà qui dobbiamo dire qualcosa. Tu questa cosa della musica l’hai sempre avuta in famiglia? Sei cresciuto ascoltando musica o è partita da te?
DJP: sono cresciuto sia ascoltando musica che, incredibilmente, facendo tape già da tenera età, perché ho avuto la fortuna di avere un nonno nerd.
L: quindi ce l’hai nel DNA, proprio.
DJP: sì, dal nonno. Poi non mi ricordo se sia stato più lui o mio fratello più grande, che avendo nove anni più di me… Comunque, lui era adolescente e io in piena infanzia, ero piazzato davanti a MTV tutti i pomeriggi tra il ‘99 e il 2001, uno tra mio nonno e mio fratello mi ha spiegato come con due piastre potevo farmi una cassetta con le canzoni che mi piacevano. Da qui metti una cosa, registrala, metti in pausa, selezionane un’altra. Per quanto incredibile possa suonare – ma c’è la mia maestra dell’asilo Sonia su Facebook, si può chiedere a lei…
L: poi mi dai i dati, mettiamo il link e chiederemo…
DJP: io davvero arrivavo ogni tanto la mattina all’asilo con le mie compilation che volevo far sentire agli altri bambini…
L: quindi non sei mai stato normale?
DJP: no. Il problema è stato quando messo “Tutti i miei sbagli” dei Subsonica, lì hanno fatto qualche domanda ai miei genitori. Non so se hai presente, affogando per respirare imparando anche a sanguinare in una cassetta registrata da un bambino di quattro anni, qualche domandina ci sta e la colpa è sempre di mio fratello!
L: e i tuoi hanno risposto noi non lo conosciamo.
DJP: esatto.

L: a questo punto arriviamo alla nota dolente del dj per i rapper. Devi raccontare la storia di qualche live sfigato, tipo i primi fatti col microfono del Canta tu
DJP: allora, uno dei live più sfigati che ricordi è un concerto nella città di Povoletto, in provincia di Udine, col primo rapper con cui ho cominciato a girare…
L: che attualmente fa ancora Rap?
DJP: no, attualmente fa il politico di destra!
L: aaaah! E adesso ovviamente il concorso a premi: scopri chi era.
DJP: esatto, concorso a premi valido solo per i non residenti in Friuli Venezia Giulia, altrimenti è troppo facile.
L: non so quanti lettori abbiamo in Friuli…
DJP: vabbe’, arriviamo là, foriamo andando al live, quindi dobbiamo fermarci…
L: quanti anni avevate?
DJP: io 17, lui 24.
L: e i tuoi non volevano perché era più grande?
DJP: in realtà era riuscito a guadagnarsi la fiducia dei miei, quindi sapendo che ero con lui erano tranquilli. E comunque, anche perché abbiamo avuto veramente culo – poi passiamo alla roba sfigata – al nostro secondo live insieme, vincendo mille euro per registrare un disco, forse hanno pensato boh, qualcosina con ‘sta roba della musica combina. Disco orribile, eh…
L: che esiste da qualche parte?
DJP: non credo sia reperibile online, ma ho ancora delle copie a casa.
L: tu facevi solo gli scratch?
DJP: solo gli scratch ed erano orribili, fuori tempo, sbagliati. Musicalmente c’era qualcosa di simpatico, ma tutto lì.
L: di chi erano le basi?
DJP: del produttore del gruppo, che io non ho mai conosciuto in quattro anni, credo. Era a Londra. Comunque, arriviamo a questo live, peraltro una jam accozzaglia, era previsto che noi suonassimo tipo alle 20.30, quindi ipotizzando mezz’ora, un’ora di live, alle 21.30 dovevamo finire: ho promesso a mia mamma che per le 23.30 sarei stato a casa. Appunto, foriamo, quindi il tempo di accostare, cambiare la gomma, mettere il ruotino, arrivare al live, trovare solo gli ospiti della serata che erano i 16 Barre…
L: oddio…
DJP: eh. E solo loro, l’organizzatore non c’era perché era andato letteralmente a drogarsi e quando si è presentato all’evento, l’ultimo ad arrivare dopo gli artisti, non era in grado di coordinare la serata. Ci siamo presi noi carico di questa cosa, con i 16 Barre che ci hanno implorato di suonare loro per primi così potevano tornare a casa perché lavoravano il giorno dopo. Noi abbiamo fatto il live credo davanti a una persona. Bello. Forse due, ma l’altra era collassata su una cassa. Io che volevo andarmene senza esibirci neanche… Il live più sfigato che abbia mai fatto.

L: nel frattempo stiamo passando davanti a Oriocenter. E siccome c’è l’aeroporto, parliamo della tua enorme passione per i viaggi con FlixBus.
DJP: sì, viaggio con FlixBus. Quello più memorabile credo sia stato per sentire Artificial Kid nel 2014 (o prima) all’Estathé Village, sei ore di pullman per arrivare a Milano con partenza alle 7.00 di mattina.
L: e quanto hai speso per fare questa comoda gita?
DJP: 35,00 euro, oggi con quei soldi credo di poterci pagare un Frecciarossa. Per venire a Milano ho speso meno. Però forse non c’era allora…
L: possiamo taggare qua le Ferrovie dello Stato, così magari ci dan due soldi.
DJP: taggare come lo fa Livio Pee…
L: assolutamente. Livio Pee è Dio e su questo siamo tutti d’accordo…
DJP: DOOOOOOOOPECAST! Dovrò tornare qua in Lombardia per una puntata di DOOOOOOOOPECAST imperdibile, dove probabilmente parlerò di wrestling.
L: ah beh, allora… Perché effettivamente hai questa passione da prima di Westside Gunn, dopo di lui tanti si sono scoperti appassionati di wrestling…
DJP:  mi fa incazzare che Westside Gunn abbia messo il wrestling nei suoi pezzi perché avrei dovuto farlo io, ma questo è ciò che succede quando aspetti troppo.
L: eh, io quando avevo 12 o 13 anni e strimpellavo la chitarra una volta ho scritto un riff, l’ho fatto sentire al tizio con cui suonavo e mi ha detto ah, bello, ci potremmo fare un pezzo; poi è uscito “Nevermind” e c’era “Breed” che aveva lo stesso riff e vabbe’, l’hanno fatto prima loro (true story – ndL). Comunque, quindi l’altra passione è il wrestling, però non parleremo di wrestling perché è argomento da segaioli…
DJP: no!
L: è un argomento da segaioli! Tu sei stato anche ospitato in qualche podcast, qual è la prima volta che sei stato intervistato ufficialmente o menzionato sulla carta stampata, quelle robe da farti dire guarda mamma, ce l’ho fatta?
DJP: la prima volta che sono stato intervistato era poco prima di cominciare a girare col rapper-ora-politico-di-destra…
L: cioè prima di iniziare a fare Hip-Hop avevi già mille euro per registrare, intervista… Ma chi è il tuo ufficio stampa?!
DJP: allora, no… Non lo nomineremo, ma quello che poi appunto sarebbe diventato il rapper con cui fare i live aveva un programma radio all’Università di Trieste: a furia di rompergli il cazzo ha intervistato anche me sedicenne che parlavo di Kaos, Linkin Park e altre cose. Questa è stata la prima volta che sono stato intervistato (con credo mio fratello che aspettava in parcheggio), poi qualche articolo sul quotidiano di Trieste, qualche ritaglio… Sono sempre stato un po’ restio alla carta stampata locale.

L: alla roba dei mash-up hai attaccato un’altra cosa che secondo me è molto figa, ovvero ogni uscita l’hai sempre accompagnata con qualche elemento stiloso di marketing…
DJP: per i mixtape.
L: sì, avevi fatto quello dei Run-DMC con la cartolina, poi “Miscellanea estiva” col pallone… Come funziona questa roba? A te viene un’idea balzana tipo facciamo il pallone da spiaggia e vediamo il resto?
DJP: a me viene un’idea di merda, ne parlo con un paio di persone, valuto le reazioni e decido se farla oppure no.
L: ok, quindi voglio sapere quali sono le idee tagliate dopo il pallone da spiaggia…
DJP: non tagliate, in realtà; non fatte per difficoltà di realizzazione. Le carte da gioco, perché volevo fare un intero mazzo di carte da gioco a tema pollo, ma ci sarebbe voluto troppo tempo. Secondo me ho avuto solo buone idee, quindi non sono state tagliate.
L: e, a tema pollo, bisogna citare questo rapper che ogni tanto compare nella tua carriera che è il Polloloco. Come l’hai conosciuto il Polloloco?
DJP: ci siamo trovati nella stessa stanza un giorno a casa, abbiamo scoperto che lui sapeva rappare molto bene sul pollo. Avevo dei beat, volevo sentirci un rapper sopra che non fosse un a-cappella di Rap americano ed è successo tutto in maniera spontanea. Cioè, all’inizio sembrava una barzelletta – ah ah il Rap sul pollo – però gli veniva bene.
L: quindi il progetto Polloloco in che fase è?
DJP: tecnicamente, credevo fosse defunto l’anno scorso, poi mi ha mandato un sms e ho scoperto che era ancora vivo. E quest’anno è su “Miscellanea estiva 6” sul beat di “I Got A Love” di Pete Rock e CL Smooth, ha fatto una 16 sul pollo…
L: e dopo quello?
DJP: non lo so, perché ogni tanto scrivo dei dissing verso gente che non mi piace, cose locali che non dovrebbero darmi fastidio ma lo fanno, però non sono in grado di rapparle, quindi mi chiedo potrebbe farlo il Polloloco? No, perché lui rappa bene solo sul pollo, ma è un tema sul quale credo sia stato detto quasi tutto.
L: non so… I Cypress Hill fanno dischi sull’erba da quarant’anni, nel KFC di erbe ce ne sono tante, quindi vedo del potenziale sviluppo…
DJP: ormai non c’è il KFC, è accanimento terapeutico.
L: a proposito di accanimento terapeutico, parliamo di Rap italiano!
DJP: perfetto.

L: allora, il rapper che poi diventa politico di destra si fa beccare ed è il figlio di Bossi… (tento lo scoop – ndL)
DJP: no, però invia un suo selfie al sito di Salvini e viene sgamato da uno dei più importanti writer che avessimo in zona, da lì è finita quest’avventura assieme. All’inizio ho affrontato la cosa in maniera molto pertiniana – era Pertini quello di rispetto la tua opinione…?
L: era Voltaire.
DJP: Voltaire, Pertini – stessa roba. Vabbe’, comunque ero tipo non sono d’accordo, ma è una tua opinione, poi invece è diventato un sei una testa di cazzo, lasciamo stare. Ho smesso di parlarci nel giro di un mese ed è finita la festa. Poi lui ha fatto un altro disco Rap di cui parlò nei suoi blog di politica, che però non ho mai avuto il piacere di sentire; c’era addirittura una traccia dove trattava in maniera scherzosa, cito testualmente dal suo blog, l’argomento della tossicodipendenza e della marijuana
L: devo sentirlo assolutamente.
DJP: dopo la svolta politica ha fatto sparire tutto.

L: dopo questa parentesi così discutibile, comprensibilmente scottato, decidi di non fare più il dj per i rapper. Poi cosa succede?
DJP: che ogni tanto arrivava qualche rapper bravo che aveva bisogno… In realtà, mi ritrovavo a fare spesso da resident di questo locale chiamato Round Midnight a Trieste e, quando chiamavano rapper che non avevano un dj, poteva capitare che lo facessi io, con questa scusa qui ho potuto fare da dj a Lugi, Ensi che era fresco di firma con Tanta Roba, Egreen – stiamo parlando del 2011 o 2012. Qualcuno magari lo scordo.
L: so che hai fatto da dj a Chicoria.
DJP: no, l’ha fatto Dj Color! Avrei potuto fare da dj a Chicoria, ma sono arrivato in ritardo perché avevo il cagotto, quindi l’organizzatore l’ha fatto fare a Color che aveva più esperienza, era più affidabile e non si era cagato addosso.

L: bellissimo. Momento alto dell’intervista, comincio a sentire odore di Pulitzer. E invece quando inizi a smanettare con le produzioni?
DJP: in realtà, credo sia successo in parallelo al resto, il mio primo ricordo di una produzione fatta potrebbe risalire al 2010, forse erano dei breakbeat. Erano tipo degli edit o robe così, però comunque facendo il dj fai un sacco di taglia e cuci e a un certo punto viene da sé provare a fare dei beat. C’erano delle forti influenze metallare, Linkin Park, per cui ho sicuramente questo ricordo di aver campionato un pezzo Metal con sotto però una batteria Hip-Hop – che descritta così è la cosa più noiosa del mondo e infatti lo era…
L: su questa salutiamo Necro, che ci legge sempre.
DJP: e che ci guarda dal basso, coi suoi occhi buoni. Avevo messo vari scratch: di nuovo sul quadrato e mo’ colpisco ‘ndo capitaautoproduzione con i soldi della strada.
L: quelli originali, che non ha mai scratchato nessuno…
DJP: sì, lasciati là, poi però non mi ha portato a nulla. Il momento in cui ho cominciato a pensare che le produzioni che stavo facendo portassero invece a qualcosa credo sia stato all’inizio del 2017. Il fatto che siamo nel 2023 e siano uscite sette/otto robe indica che me la sono presa con calma, penso…
L: indica che su questa cosa dei beat sei particolarmente ipercritico, un rompicoglioni.
DJP: sì, assolutamente.
L: forse anche perché non hai trovato la persona giusta con cui fare il lavoro, i pezzi, il disco?
DJP: mah… Se fosse una cosa a livello di Rap, c’è poco da girarci attorno: o uno ha grandi capacità di persuasione, o aspettare le strofe di un rapper è un processo che può richiedere anni. Per cui penso che avrò si e no cinque pezzi fermi perché il rapper ha fatto una strofa sola e ce ne vorrebbe una seconda oppure poi ha detto guarda, vorrei rifarla e non l’ha mai rifatta.
L: a qualche rapper fischieranno le orecchie.
DJP: alcuni li abbiamo visti stasera al concerto, potrei fare il nome di Pessimo 17 e Toni Zeno ma non lo farò – c’è una chat chiamata PTP che sta per Park Toni Pessimo… C’è dentro questo beat e credo che non si scriva nella chat da più di un anno, infatti stasera li ho fissati tutti e due e gli ho detto e che cazzo e basta, questa è stata la mia sfuriata.
L: infatti quando sono arrivato mi sembravano un po’ mogi, probabilmente per quello…
DJP: probabile. Però sì, per lavorare con i rapper o hai capacità di persuasione o la persuasione arriva dal beat, che gli mandi una roba talmente folle e dicono cazzo, devo scrivere subito. Ecco, vorrei mettere per iscritto questa cosa, questa scomoda tendenza di certi rapper che da un lato tu stupido dj/produttore gli fai sentire dei beat a caso sui quali non li vorresti sentire e dall’altro questi cominciano subito a rapparci sopra. E’ tipo la foto del cazzo non richiesta mandata alla tipa, cioè io ti ho fatto sentire un beat, non ti ho chiesto di rapparci sopra. Né ti ho chiesto la foto del cazzo!
L: altre vette altissime, un momento meraviglioso…
DJP: poi sai, magari c’è quello a cui mandi il beat ed è preso bene, quello a cui invece dovresti mandarne un ventaglio ma accuratamente, in modo che alla fine selezioni solo quello che avresti voluto tu…
L: certo, perché sei un democratico.
DJP: io – polemichetta – non ero un grande fan dei beat tape. Cioè, massimo rispetto per gli amici e le figure iconiche, i Madlib che coi tape hanno cambiato il mondo, però se non riesco a capire la struttura trovo questa cosa un po’ lanciata lì, quasi mi dispiace per i pezzi. Vale anche per le mie cose: ho provato a fare un beat tape che poi è diventato il mio primo album perché a un certo punto mi seccava avere un loop di 52 secondi buttato lì in mezzo, forse era anche carino quel loop ma dove va, dove arriva, perché l’ho fatto… Ho cominciato a chiedermi questa cosa e ho capito che non avrei potuto fare dei beat tape, quelli che poi mandi ai rapper, non mi sarei trovato bene. Potrei fare un mixtape di miei beat con sopra a-cappella, quello è diverso.
L: un remix tape…
DJP: fondamentalmente, “Orange sampler” lo è.

L: ecco, prima di parlare dell’album dicci cos’è Orange Cut.
DJP: Orange Cut doveva essere un’etichetta, anche se il termine suona un po’ troppo grande, per la gestione dei progetti di mash-up. L’intento era quello – passami il paragone – di fare una cosa da Amerigo Gazaway all’italiana, “Domenico Modoom” lo è stato, quindi volevo cominciare a fare dei progetti molto più complessi di campionamento di artisti italiani accoppiati a rapper. Magari comunque americani, appunto come per “Gianni Morandoom” e “Domenico Modoom”, ma prima di quest’ultimo c’era in cantiere Pino Daniele e Common, perché un giorno sono in macchina che ascolto “Io per lei” e su quel giro la mia testa comincia a cantare yes yes y’all/you don’t stop e lì ho detto cazzo, devo fare Common e Pino Daniele ma deve essere un progetto completo. Con tutto l’amore per Common, lui da solo rompeva i coglioni e io volevo qualcosa che potesse avere un minimo di presa… Allora qual è quel rapper che più o meno chiunque abbia sfiorato il mondo del Rap anche alla lontana conosce? Nas. E quindi, sai cosa facciamo? Nas e Common, che avevano pure fatto assieme il pezzo “Ghetto Dreams”, quindi il gruppo Pino and The Ghetto Dreams, avevo questo EP di cinque tracce che però è stato cassato dalla Warner, che mi ha trovato su Instagram il giorno prima della release e ha bloccato tutto – fermo restando il loro diritto a intraprendere qualsiasi azione per tutelare i loro interessi, eh…
L: cioè, ti hanno minacciato?
DJP: gli avvocati, mi hanno minacciato.
L: bene. E tu, ovviamente, da vero artista…
DJP: da vero artista faccio tutto senza compromessi, ho mandato una mail colma di lacrime di dispiacere perché era un progetto senza scopo di lucro, un tributo al maestro, al punto da mandargli il file con tutto il progetto tipo guardate, valutate voi stessi cosa sto facendo… Ovviamente non mi hanno mai risposto e la faccenda è morta lì. Mi ritrovo però con tutto il coordinato grafico fatto da Bod per Orange Cut, c’era una mascotte, c’erano delle animazioni video, c’era un logo ed è rimasto tutto lì con molto dispiacere. A un certo punto, lavorando al disco e cercando di piazzarlo a delle etichette europee, in due hanno risposto; ma poi sono sparite, quando si è cominciato a parlare di soldi.
L: quando si parla della fresca, poi… Non volevano farlo PER LA CULTURA – ciao Toni! (all caps when you perculate Toni Meola – ndL).
DJP: no, non volevano farlo PER LA CULTURA. Sta di fatto che mi ritrovo con l’album, quello che era un beat tape e poi era un album, quindi non potevo più farlo uscire in formato tape, era diventato un album vero e proprio. Etichette italiane: ho peregrinato un po’, ma nessuno aveva voglia o non aveva capito che il disco fosse strumentale e che io non ero interessato a cambiare idea. Alla fine ho detto sai cosa, non voglio rotture di palle, parlare con le etichette, star lì ad accordarci su quanto io e quanto tu, perché non è da me…
L: …non è da te dare i soldi agli altri!
DJP: non è da me dare i soldi agli altri, ma mi sono reso conto anche che, per come vivo tutta questa cosa della musica, in maniera per certi versi molto mia, molto personale, spesso vado in conflitto perché mi sento solo. Ma io devo essere solo per fare ‘sta roba e alla fine ho detto ok, facciamo finta che Orange Cut sia la mia etichetta. Per ora dico facciamo finta, perché parlando seriamente è un logo e una scritta in coda al disco, però ho già l’intenzione di prendere anche degli amici, magari delle mie zone, che non hanno avuto modo di fare l’esperienza che ho potuto fare io, aiutandoli a mettere assieme dei progetti che possano pubblicare, che abbiano una forma, un’etichetta definita. Quindi potrei passare a fare anche questa specie di consulenza: arrivi col progetto, vediamo dove sei, dove si può arrivare, la chiudiamo e facciamo uscire come Orange Cut, che siano strumentali o brani rappati.

L: quel che è certo è che hai un album in uscita per Orange Cut e sarà strumentale.
DJP: strumentale, sì. Vuoi perché ero stufo di aspettare il rapper, vuoi perché effettivamente aveva cominciato a prendere una forma e c’erano delle cose piacevoli. Piacevoli per me. Perché magari la gente ascolta le tue cose e dice cazzo, che figata, perché non le butti fuori? Perché non mi piacciono. Sei un pirla? Può essere. Ma questo finalmente mi sta piacendo. E non è poco.
L: il fatto che arrivi a convincerti più che a piacerti… Perché credo sia quello che fa la differenza: non è tanto se una cosa ti piace, però quando ti convince vuol dire che ha le gambe, ha solidità, cammina da sola…
DJP: l’ascolto mi convince. E soprattutto sento che mi rappresenta. Effettivamente, sento delle cose, magari produco delle robe, ma alla fine penso: boh, mah. Una volta me lo chiese FFiume: mi mandò un vocale di riflessione eccetera che era figa quella roba di Park, figo cos’ha fatto Park, ma in tutto questo dov’è Park? E io mi son detto, pensandoci così, ad alta voce, io Park in questo disco lo sento.
L: poi insomma, non è una sollecitazione che ti arriva dal primo scemo che passa per strada, ti arriva da uno che comunque c’ha due palle così, con un signor background. Però mi ha fatto anche molto piacere che stasera Toni Zeno abbia detto beccatevi le robe che fa ‘sto ragazzo, perché a fare queste cose è il numero uno. Poi tu dici che non poteva dire oh, ho beccato un dj a caso, ascoltatevi qualcosa che tutto sommato c’è di peggio mentre io rifiato due minuti, però non mi sembrava una marchetta…
DJP: no. I mash-up che ho fatto con Lucio Battisti, quella roba lì comunque strana ma bella, è ciò che ha attratto Toni Zeno verso me. Lui ascoltava quelle robe, io l’ho contattato per Azimuth e, man mano che facevo cose sempre più strane, accoppiamenti sempre più bizzarri, lui era sempre lì: come ti è venuto in mente di mettere Battisti con i Run-DMC, con Kanye West, con Dj Shadow
L: poi questa cosa di aver infilato Doom da tutte le parti…
DJP: eh, ma cazzo potevi metterlo dovunque che stava bene!
L: ecco, pensavo fosse un tributo all’arte di Doom. Invece no: semplicemente con Doom ci sta bene tutto?!
DJP: assolutamente, è un tributo all’arte. Diciamo purtroppo figlio della dipartita apparente di Doom.
L: sei uno di quelli che pensa non sia morto? Nuovo Tupac, praticamente?
DJP: e chi lo sa. Allora, mi viene da pensare che sia morto per quanto la famiglia lo pianga, per i quadernetti delle rime trafugati da Aegon…
L: ah, brutta storia quella…
DJP: ecco, quella è l’unica cosa che mi fa pensare sia veramente morto, perché per il resto questo annuncio tre mesi dopo…
L: c’era anche questa cosa strana delle date che effettivamente faceva molto villain dei fumetti, era in linea col personaggio…
DJP: è stata una mia amica, Slick Ricca (che salutiamo!), a mettermi la pulce nell’orecchio, accanna Nas e Common, fai una roba con Doom. Siccome la roba di Nas e Common partiva dall’abbinamento con Pino Daniele, è partito il brainstorming per capire con chi farlo. All’inizio c’era l’ipotesi di Celentano, perché secondo me Celentano con le maschere da Doom è una cosa che può esistere nella vita reale…
L: qualsiasi cosa copra il volto di Celentano, tutto sommato la vedo positivamente…
DJP: però lei mi disse Celentano mi sta sul cazzo – e come darle torto…
L: e alla fine arrivano anche gli avvocati di Celentano. Vai!
DJP: ho preso una lista di artisti, proprio online, tipo artisti italiani ‘60-’70. Non promettevano male i Nomadi, Nomadoom è un nome bellissimo, però non ho trovato molti sample, finché a un certo punto i miei occhi non si fermano su Domenico Modugno. Lo guardo bene. Doomenico, Doomungno… Poi è diventato Modoom. E credo sia difficile trovare un’abbinata più folle che però venga fuori con altrettanto gusto.
L: avevi fatto la cassetta.
DJP: sì. Modoom è nato e finito in 56 ore, credo, in 56 ore è stato pensato, prodotto, fatte anche le grafiche a cura di D.Ratz. E mi piace pensare che Doom avrebbe approvato, così one shot.

L: bon, siamo siamo arrivati all’altezza dell’autogrill di [the names have been changed to protect the innocents] che significa che l’uscita è prossima. Quindi: riflessioni per il futuro, progetti, carta bianca come Radio Radicale quando faceva sciopero e apriva i microfoni, ma tu sei troppo giovane per ricordartelo, allora dì un po’ il cazzo che ti pare…
DJP: voglio prima pubblicare quest’album. Poi, sinceramente, spero di seppellire tutte le pare che hanno lasciato le cose nell’hard-disk per anni. Chiaramente ci sono delle cose, sai i sample, i campioni – e, come ricordiamo, la differenza…
L: non sappiamo bene ancora la differenza…
DJP: …trovare o meno il rapper da metterci sopra, eccetera. Però, alla fine, se non c’è ‘sti cazzi, un modo per tirare fuori le cose si trova lo stesso, quindi credo che da qui comincerò a condividere sempre più roba che esce dalle macchine, da Ableton, da quello che sarà, perché è passato troppo tempo e ho sentito troppe cose con sample che avrei utilizzato anch’io ma non ho mai pubblicato, oramai saremo alla quinta o sesta volta che lo sento e dico eh no, basta! Poi vediamo cosa può andare su Spotify e cosa no, mi sgameranno i sample, forse no, metto su Bandcamp in modalità pochi maledetti e subito… E’ tempo di dare musica.

L: ma alla fine, non prenderla come una domanda perché so che sei rabbi, dove cazzo è il Telepass? Ah, è qua…
DJP: questo va nell’intervista?
L: dove cazzo è il Telepass, porco Dio. Certo che va nell’intervista, ti avevo detto che non avremmo tagliato nulla. Sono le 2.20 di notte e uno della mia età a quest’ora si è già alzato tre volte per pisciare. Ora l’ultima domanda, tu puoi leggerla in termini economici perché c’hai quella tendenza, appunto, ma non è solo quello il senso: nell’affare della musica, dal giorno zero a oggi ti senti in attivo o in passivo?
DJP: mi sento comunque in attivo. Dal lato economico avrei potuto fare molto di più, avrei potuto impormi di più su certe cose, spingerne più altre – ma fa niente. Dal punto di vista artistico, della musica… C’è stato un momento, dopo aver visto il film “Soul” della Pixar, in cui ho pensato di essere davvero in pace con me stesso per quello che ho fatto, per quelli che pensavo potessero essere i miei obiettivi quando ho cominciato a fare il dj. Ho pensato se io in questo momento dovessi smettere di fare musica, forse starei bene e non mi piangerei troppo addosso. Quindi mi sento in attivo, ho fatto ben più di quanto pensassi di poter fare nella vita come dj. Non ho vinto un DMC, che era uno dei miei sogni, ma sto bene lo stesso.
L: è vero, delle battle non ne abbiamo parlato.
DJP: sono durate poco.
L: è stata una cosa che hai abbandonato presto.
DJP: ne ho fatte tre. Vabbe’, è stata una bella chiusura. Direi che son contento. Cioè, è una chiusura nella quale dico che sono una testa di cazzo se mi lamento, perché fare ho fatto, quindi ‘sti cazzi!

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