Royce Da 5’9” and Dj Premier – PRhyme 2
In un periodo storico nel quale chi esordisce pretende di essere già arrivato al traguardo, essere dei veterani affermati e possedere l’umiltà di mettersi nuovamente in discussione è un’azione di per sé assai apprezzabile. Il rinnovo è la chiave per la longevità, in particolar modo oggi che ci si deve saper muovere tra i meandri di un mercato discografico così povero di idee rivoluzionarie che si spacciano per tali molte di esse proprio per sopperirne la mancanza. Per ottenere un risultato differente dal precedente è necessario quindi alzare di quel tanto l’asticella, allargare i propri confini, dimenticarsi di quanto si è conquistato per quanto successo ciò abbia generato; un concetto valido tanto per una sacra leggenda come Dj Premier e per il peso storico che ha rivestito nei confronti dell’Hip-Hop, quanto per un mc come Royce Da 5’9” la cui stoffa è stata direttamente ritagliata dal rotolo da cui sono usciti quelli grandi per davvero, responsabile di un abbondante ventennio passato a rimare incessantemente tra alti, bassi, beef casalinghe, strizzate d’occhio al mainstream e perenne sottovalutazione nonostante comprovate capacità di altissimo livello.
Il progetto PRhyme è stato alimentato da una sensazione di sfida sin dal suo concepimento, coniugando le esigenze di entrambi gli attori protagonisti. Premier ha dimostrato di poter abbattere le murature da lui stesso erette nel delineare una precisa tipologia di boom bap, accettando il rischio di uscire dalla propria zona d’agio che la sua nota e abusata – soprattutto dai numerosi imitatori – formula gli ha procurato negli anni, da qui la decisione, ieri attraverso le ispirazioni Funk di Adrian Younge, oggi con le multiformi melodie disegnate da Antman Wonder, di fissare il prelievo dei sample su intere composizioni dello stesso artista elaborando poi tutto assecondando la propria personalità nel metodo compositivo, ma senza accentuarne la tipica impronta.
“PRhyme 2” vince un’altra importante scommessa, perchè qui la posta in gioco viene audacemente raddoppiata, estesa a diciassette pezzi – inclusivi di intro e skit – offrendo sonorità libere di spargersi in direzioni differenti e una versatilità lirica e tematica di certificata qualità, scoprendo un panorama del tutto rinfrescante e che vive di contrasti capaci di generare una forte coesione. Il disco propone difatti riuscite contrapposizioni, ad esempio tra l’abrasione di “1 Of The Hardest” e l’estrema pulizia della successiva “Era”, nonché la riuscita convivenza tra pezzi che alla formula di cui sopra accennano soltanto, vincenti come sono nel sovrapporre i loro vari strati (l’eccellente singolo “Rock It”, il freschissimo boom bap di “Streets At Night”), e i tripudi di trombe, violini e pianoforti che costituiscono l’ossatura della conclusione dell’album.
In questo contesto, l’asso di Detroit è inquietamente vivace, sprigionando una prova complessiva assai coerente nei confronti della sua profonda autostima, pescando un po’ dappertutto all’interno di un ampio bagaglio tecnico che annovera un wordplay dissacrante, abilità nel piegare le parole atte a costruire barre complesse, punchline dirette all’ennesimo scioglimento delle tensioni derivanti dalla frustrazione per una considerazione mediatica impari rispetto al riconoscimento atteso (<<rappers blow up, go and debut their whole album on Ellen>>), aprendo un ventaglio di proposte tematiche essenziale per la varietà dell’offerta, centrando così lo stesso obiettivo prefisso dalla produzione.
Royce, oltre a rimare con estrema fiducia sfoggiando un carisma che non scopriamo certo oggi, apre un minimo al suo intimo cercando di ricucire alcuni strappi emotivi importanti senza avere la pretesa di esorcizzare nulla, accettando ciò che è stato nella sua non modificabilità e guardando a sé con occhi nuovi in seguito al raggiungimento di faticosi traguardi personali, su tutti la sopraggiunta sobrietà. Lungo il percorso i controversi tratti del personaggio e le sue grintose prese di posizione non mancano mai di emergere, portando con loro l’ambizione di poter accorciare le distanze tra le differenti generazioni di artisti e il loro modo di interpretare l’Hip-Hop cercando di smorzare un clima di perenne tensione, dando luogo a pezzi molto ambiziosi come “Everyday Struggle”, la quale trae ispirazione da uno specifico episodio, come pure generando collaborazioni che seguono volutamente una direzione precisa. Ecco quindi assoldati il Country Rap di Yelawolf, che spruzza la possente “W.O.W.” con le tinteggiature dell’Alabama, un altro rappresentante del sud come 2 Chainz nelle melodie veneziane di “Flirt” – una cosuccia che la memoria tende a imprimere prima di altre – e un Dave East sul quale annotare appunti per l’abile cucito tra le barre figurative della già citata “Era”.
“Loved Ones”, ove atteggiamento e delivery sono sensibilmente ispirate da Tupac, assegna opportunamente alla brava Rapsody il ruolo della moglie tradita, smontando sistematicamente i tentativi di giustificazione della controparte, esperienze che conseguono nella volontà espressa in “Do Ya Thang” mettendosi a disposizione dei più giovani per estrarre un pizzico di saggezza dalla propria uscita dagli inferi, alla pari di una “Made Men” distinta dall’eleganza dei suoi archi e dall’opportuna compagnia di Big K.R.I.T., utilizzando la retrospettiva per dimostrare chi si è oggi e da dove si è partiti, togliendosi però pesanti sassi dalle sneakers (<<niggas in the streets aim terribly with that full clip/turn into a marksman when it’s time to miss me with that bullshit/my new religion, that bottle not a thang to me/I’m tired of you niggas like I’m tired of watchin’ them slave movies>>).
Poi c’è sempre il talento puro, che consente di comporre piccole opere d’arte come “Black History”, un testo costruito su un doppio beat attraverso elementi biografici ed esposto con dizione e capacità descrittiva ai limiti del pazzesco; “Respect My Gun” gioca con il word-bending e le assonanze multiple costruite tramite termini dal significato differente ma identica pronuncia, lasciando alla raffinatezza gangsta di Roc Marciano il compito di terminare adeguatamente il lavoro; “Sunflower Seeds” spicca infine per l’abilità nel costruire un testo attorno alla figura-simbolo dettata dal titolo assegnandole più d’un significato, mentre basso e organo dettano precisamente i tempi d’azione prima di concedere il palcoscenico al cantato finale.
Ci siamo spesso interrogati su una miriade di fattori, su possibili coesistenze nonostante differenze stilistiche a volte invalicabili, eternamente destinate a respingersi come accade per ogni conflitto generazionale, se una volta raggiunta l’età critica della vecchia guardia non ci sarebbe stato un futuro degno del passato, se Premier corresse davvero il pericolo di aver irrimediabilmente visto terminare la sua parabola ascendente e ancora sui motivi per cui Royce Da 5’9” non sia mai stato sufficientemente considerato come uno dei migliori mc’s in assoluto degli anni duemila come avrebbe meritato. “PRhyme 2” assolve al compito di fornire adeguate risposte a ciascun quesito, spazzando via ogni sprazzo di dubbio grazie alla sua stupefacente imprevedibilità.
Tracklist
Royce Da 5’9” and Dj Premier – PRhyme 2 (PRhyme Records 2018)
- Interlude 1 (Salute)
- Black History
- 1 Of The Hardest
- Era [Feat. Dave East]
- Respect My Gun [Feat. Roc Marciano]
- W.O.W. (With Out Warning) [Feat. Yelawolf]
- Sunflower Seeds [Feat. Novel]
- Streets At Night
- Rock It
- Loved Ones [Feat. Rapsody]
- My Calling
- Made Man [Feat. Big K.R.I.T. and Denaun Porter]
- Relationships (Skit)
- Flirt [Feat. 2 Chainz]
- Everyday Struggle [Feat. Chavis Chandler]
- Do Ya Thang
- Gotta Love It [Feat. Brady Watt and Cee-Lo]
Beatz
All tracks produced by Dj Premier
Scratch
All scratches by Dj Premier
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