The Best Of 2024: l’opinione della redazione
BRA
USA: facciamo la conta, come ogni anno, ché il romanticismo oramai è bello che andato e i dischi della vita, a opinione personale, sono diventati un miraggio, più che una rarità. E’ stato un po’ il 2024 di Roc Marciano, perché con “Marciology” ricordava a tutti che le wave sono intriganti, sì, ma passano, terminano, mentre il talento e l’unicità rimangono; disco rotondo, pieno, coerente, fresco più di tanti altri, bissato presto, questo dicembre, da “The Skeleton Key“, realizzato con The Alchemist a conferma di un’intesa clamorosa, a capodanno i fuochi d’artificio li sparano loro. Nel medesimo filone, tralasciando i tanti titoli effimeri, ripetizioni di ripetizioni, ho trovato parecchio interessanti “Bazuko” di Crimeapple e Big Ghost Ltd, in particolare perché il primo rappa come tanti non sanno fare, e “Hatton Garden Holdup” di Rome Streetz e Daringer, variazione sul tema che, viceversa, deve tanto al produttore, sempre in grado di distinguersi in una nicchia che ha contribuito a definire. Il disco che in assoluto ho ascoltato di più, però, è stato “The Auditorium Vol. 1” di Common e Pete Rock, sorpresa e combinazione degna delle lunghe e significative carriere di entrambi i protagonisti, in forma come li avremmo voluti, concreti, classici, ultracinquantenni agili e felici di fare ciò che fanno, che bello! Altre tappe significative: “Los Angeles” di Blu ed Evidence, coppia più che collaudata, così come lo è quella formata da The Alchemist e Oh No, “Heads I Win, Tails You Lose” segna il ritorno dei Gangrene, cazzoni come li ricordavamo, bene altresì “The Confidence Of Knowing” di Talib Kweli e J. Rawls, che scioglie possibili riserve nel migliore dei modi, infine non possiamo mancare di ricordare KA, che ci ha lasciato con “The Thief Next To Jesus“, figura atipica, rara, originale, il cui testamento musicale – di fatto lo è – rende giustizia a una dimensione artistica di assoluto spessore, sebbene mai celebrata a sufficienza. In extremis, dopo un paio di tentativi, metto poi in lista anche “Muddy Waters Too” di Redman, sul quale non avrei scommesso una lira e che invece, nello Staff, sta riscuotendo una discreta curiosità, se riusciamo ne riparliamo…
ITA: discorso vecchio, che si riassume con un banale pochi ma buoni… E allora andiamo subito a premiare un rapper che, clamore o meno, continua a far bene: il salentino Gentle T! Due i titoli fuori, “La visione di Pantaleo” con Mr. Squito e “Troppo facile” coi The Departed, spontaneità e leggerezza in ambo i casi ma con sfumature musicali differenti, a riprova di un’apprezzabile capacità di adattamento. Ne approfittiamo per ribadire che Payback Records sta lavorando con una serietà che ci piace, ha fuori un po’ di roba e supponiamo avrà da dire la sua anche nel 2025. E’ tornata, intanto, Make Rap Great Again – e non possiamo che esserne felici! L’ottimo “Be Great F.C.” ha ridato un assetto al tutto, mentre “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare dell’estate” di Gionni Gioielli ha accompagnato le giornate più calde di agosto (e oltre) con quel tocco unico che non ci stanca letteralmente mai. Il discorso calza a pennello anche per “L’elefante nella stanza“: Blo/B è uno dei nostri rapper preferiti e non lo nascondiamo, Tosses gli offre una cartella cattivissima e il gioco è fatto. Bene, anzi benissimo, Jack The Smoker in “Sedicinoni“, disco della maturità prodotto da un Big Joe clamoroso. C’è spazio anche per qualcosa di più mainstream, perché – di fianco a oscenità incommentabili – i Club Dogo hanno inaugurato l’anno con un progetto omonimo che, come minimo, ha ricordato a molti perché Guè e Jake siano due liricisti formidabili. Un’altra realtà che ci piace ricordare è Stakanov Boys: lavora tanto, lavora sodo, lo fa con un tratto che i capoccia Hvgme e Montenero stanno curando nei minimi dettagli. Menzioni speciali, a chiusura dei giochi, per “The dustronomist” del triestino Dee Jay Park, uscita che ne certifica le grandi abilità e il coraggio, beatmaking puro e roccioso, mentre per l’hardcore più molesto e ubriaco ci pensano Drugo Silvestri e il suo “John Carpenter“.
MISTADAVE
Un altro anno di Rap è trascorso, portando con sé le solite certezze ma rinnovando pure dubbi e quesiti che già mi ero posto in passato. Abbiamo assistito a grandi ritorni dei grandi maestri di cerimonia, quelli che – a mio modo di vedere – tali possono essere definiti senza alcuna ombra di dubbio; allo stesso tempo, non è andata via quella sensazione di saturo, ripetitivo, non originale, che in parte aveva pervaso pure i miei ascolti del 2023. Per queste ragioni sono stato più selettivo nello scegliere cosa ascoltare e soprattutto a quali artisti dare spazio tra le nostre pagine, cercando di svolgere un lavoro bilanciato tra onestà e obiettività. Personalmente, il fatto che sia stata ancora una volta la vecchia scuola a ruggire, fornendo prodotti assolutamente memorabili, non può che essere fonte di felicità. Il feeling di certe uscite lo puoi percepire ancor prima di aver ascoltato un solo secondo di musica ed è stato sicuramente questo il caso di Common e Pete Rock, che col loro “The Auditorium Vol. 1” hanno firmato un disco magnifico, a mio parere una delle migliori registrazioni Rap degli ultimi dieci anni. Un lavoro frutto di un’intesa superba, con lo scopo di incidere profondamente sul presente anziché creare una situazione revivalistica sfruttando la fama già accumulata negli anni, un album sentito, scritto con grande senso artistico e prodotto con la solita, immensa classe di chi possiede un talento unico nel suo genere per campionare vinili e mettere assieme beat d’altissima qualità. Avevo qualche riserva invece per LL Cool J, uno degli eroi della mia adolescenza, perché troppe volte mi aveva deluso con le offerte glassate che ho presto cancellato dalla mia memoria. Stavolta, però, c’era un abbinamento intrigante con Q-Tip all’orizzonte, permettendo a “The Force” di mantenere tutte le premesse creative che si era prefisso: ho ritrovato Uncle L in una forma assurda, motivato, possente, sensuale, stuzzicato dalla voglia di dimostrare di appartenere a un circolo oramai lontano nel tempo, ma essenziale per l’Hip-Hop tutto. L’estrosa ed eccentrica produzione di Tip si è rivelata essere la miglior ricetta possibile per restituire quotazioni e credibilità a una figura che, nonostante le fregnacce proposte in passato, ha ancora il mio rispetto. Mi sono ritrovato come sempre a spaziare, quindi ho accolto con positiva predisposizione la bizzarria di Homeboy Sandman, che zitto zitto è diventato uno degli artisti che ascolto più volentieri. Rappa su beat che nessuno oserebbe affrontare, utilizzando uno humour tanto sottile quanto tagliente. Fa riflettere. Mette assieme rime assurde. Non ha paura di niente e accetta qualsiasi sfida. E’ sempre alla ricerca di migliorare se stesso, anzitutto come persona. “Rich II” non è solo un disco, è anche un’occasione di crescita personale. Citazioni infine doverose per Apathy, altra sicurezza aritmetica, spettacolare in “Connecticut Casual: Chapter 2“, ricco di ingegno, squisite dimostrazioni di superiorità lirico/concettuale e ottimi beat. Non possono mancare Masta Ace e Marco Polo, reduci da un “Richmond Hill” che conferma la profonda intesa tra due fratelli mancati, tra i quali vige un’intesa spumeggiante. Infine Brother Ali, altro pilastro inamovibile, che con “Love & Service“, confezionato assieme a unJUST, ha saputo emozionare tanto, oltre che mantenersi su livelli tecnici di prima categoria. Sono invece come sempre distratto nei riguardi delle uscite italiane, perché il Rap mi piace più in inglese; ciononostante, per la prima volta, ho cenato alla trattoria (con la r un pò ciosota, mi raccomando) di Gionni Grano: sapevatelo!
LI9UIDSNAKE
E quindi? Com’è stato questo 2024? Musicalmente, s’intende… Be’, siamo di nuovo al termine di un’annata che – a patto che non siate tra quelli che scandiscono l’andamento generale della doppia acca esclusivamente facendosi le pippe sugli stream di Travis Scott e Drake – probabilmente non entrerà nella memoria collettiva. E, come da tradizione personale (mi tocca sempre ricordarlo), non mi perderò in graduatorie o cosiddette top seguite da qualche multiplo di cinque, ma vi dirò cosa certamente continuerò ad ascoltare anche l’anno prossimo. Si parte con Roc Marciano. Il suo “Marciology” è, citando la nostra recensione, l’ennesima perla di una discografia luminosa come poche altre se ne trovano in giro. E nemmeno l’ultima, perché a una paio di settimane dalla fine dell’anno il nostro è tornato in laboratorio al fianco dell’Alchimista, rinnovando quella algida intesa col glaciale “The Skeleton Key”. E la formula 1 + 1, un grande classico del genere che speriamo possa ritrovare la sua antica consuetudine, è un po’ il denominatore comune di buona parte delle uscite che citerò anche nelle prossime righe. Ci sono “Los Angeles” di Blu ed Evidence; “Hatton Garden Holdup” di Rome Streetz e Daringer; la doppietta “Bazuko” e “This, Is Not That” di un sempre più prolifico Crimeapple, il primo con Big Ghost Ltd e il secondo in collaborazione (inedita) con Apollo Brown; ma anche “The Stimulus Package 2” di Freeway e Jake One; per concludere con la collisione leggendaria tra Common e Pete Rock, che ha portato alla genesi di “The Auditorium Vol. 1”. Andando oltre alla formula in questione, non posso non citare “#RICHAXXHAITIAN” di Mach-Hommy, un’occasione imperdibile per fare la conoscenza di uno dei volti più enigmatici del Rap game. Infine, concedetemi anche uno sguardo lassù, nelle zone più bazzicate dai riflettori, perché qualche disco bello massiccio è uscito anche da quelle parti. In ordine cronologico, “Blue Lips”, il disco di ScHoolboy Q che tutti aspettavano. “Chromakopia” di Tyler, The Creator, che oramai viaggia su un binario tutto suo. E ovviamente “GNX” di Kendrick Lamar, quel disco sgocciola west coast in un modo che ancora mancava al suo catalogo. E che mancava da un pezzo anche alla west coast stessa.
IL DRUGO
In ordine sparso, detesto le classifiche perché sì. Non aggiungo pareri, commenti e cose così, deve essere una roba tipo oh Drugo, ho ascoltato tizio che hai segnalato te e il tipo spacca e apriamo un dibattito. Quindi, questi sono i miei dieci del 2024. “Happy After Hell” di 1Jack e Illinformed, “Nocturne” di Brando Bambino, “The Last Supper” di Copywrite, “Raised In The Sand” di Flee Lord, “The Legend Of Brick Foley Mixtape” di Hi-DEF e Rome Streetz, “Dragonfly” di Fliptrix, “Gucci Gambinos” di Mickey Diamond e Big Ghost Ltd, “Run Or Duck” di Xp The Marxman, “11” di Westside Gunn e “John Carpenter” di Drugo Silvestri (che ho sentito così tante volte che alla fine mi è piaciuto).
Bra
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