Club Dogo – Club Dogo

Non occorre aver fatto i sogni bagnati di uno zanza (pesco tra i numerosi slogan su fondo nero affissi a Milano) per intuire quanto fragoroso possa essere, non soltanto nel perimetro dell’Hip-Hop italiano, l’annuncio di un ritorno come quello di Guè, Jake La Furia e Don Joe. A poco meno di dieci anni da un potenziale addio che, a opinione di chi scrive, esprimeva la conclamata crisi d’idee del gruppo, con conseguente dirottamento verso le rispettive fasi soliste, l’ottavo e omonimo album dei Club Dogo ha comprensibilmente catalizzato buona parte delle attenzioni di utenza e commentatori fin dalle prime ore dello scorso 12 gennaio, portando a compimento un’efficacissima strategia di marketing: dal misterioso trailer – a onor del vero grottesco, se non ridicolo – con interpreti Claudio Santamaria e Beppe Sala, passando per un clamoroso sold out di concerti che culmineranno nella data di San Siro, fino al pop up store di Piazza San Babila. Un meccanismo pressoché perfetto, seguito da un profluvio di reaction – oggi si dice così – più e meno condivisibili, esami autoptici di una componente lirica che, perdonate lo spoiler, surclassa per rilevanza quella compositiva e perfino la coda polemica per via dei preset utilizzati all’interno di quest’ultima (il debunking, nell’ambito del mainstream, ci sembra però un filino pretestuoso).

L’intera premessa sottintende una considerazione semplicissima: qualsiasi recensione di “Club Dogo” ha un’utilità pari a zero – compresa la presente. Partendo da quest’assunto, per sperare di dire qualcosa di vagamente interessante sul medesimo tocca fare un passo indietro e inquadrare il contesto nel quale il trio ha rimesso in piedi l’attività, chiedendosi: in che misura la percezione dell’Hip-Hop è cambiata dai tempi di “Non siamo più quelli di Mi fist”? Radicalmente. Con le necessarie approssimazioni del caso, quel che allora stava emergendo ora va per la maggiore, elemento non più alieno di charts, programmazioni e format televisivi vari (da Sanremo ai talent); una sorta di normalizzazione, di scodinzolante allineamento, cui una certa parte dell’underground ha risposto per le rime – letteralmente, ovvero restituendo centralità al Rap. Un clima di questo tipo, spesso alimentato da chi nel cane tricefalo riconosce un indiscutibile punto di riferimento, giova agli stessi Dogo e quasi chiude un cerchio.

Nei suoi trentacinque minuti di durata, infatti, il disco non presenta tormentoni alla “Spacco tutto” e “P.E.S.”, non farcisce la tracklist con collaborazioni di facciata, non si tuffa nel Pop tout court. Nel bene e nel male, “Club Dogo” è quel che ci si aspetta da Luigi, Francesco e Cosimo, ma senza il carico di pacchianate che ha contribuito a renderli nazionalpopolari, un progetto insolitamente asciutto, autocitazionista, che non parla al (e del) passato. Non l’instant classic presto incorniciato da Billboard Italia, in ogni caso; semmai è la conferma di un’abilità, una caratura tecnica, che nella scena rappresenta un termine di paragone da oltre un ventennio. Il nostro Lord 216 sintetizzava con efficacia in chat: loro sono i numeri uno, Don Joe è l’Hit-Boy italiano; ed è sufficiente l’introduttiva “C’era una volta in Italia” per individuare la formula, col bel sample di Henry Mancini tagliato come per “Tha Game” di Pete Rock e i due rapper in forma, sfacciati, solo vanteria e punchline. Che è quanto gli compete.

A questo proposito, il divario registrato nelle prove in solitaria di Guè e Jake La Furia qui si appiana, col secondo che recupera il terreno perso (tra “Musica commerciale” e “Fuori da qui” il downgrade è stato rumoroso) e firma le barre più potenti dell’album – <<questa roba è odio su tela, Nelson Mandela, “Invictus”/non rappo come questi nemmeno se avessi un ictus>> (“Mafia del boom bap”). E’ vero, come segnala SentireAscoltare spesso sembra che Guè biascichi con in bocca una patata, tuttavia puntando l’indice sul dettaglio si rischia di perdere di vista il peso specifico di un’uscita che, come minimo, ha il pregio di ristabilire un po’ d’ordine tra quanti siano arrivati al successo facendo il Rap e quanti millantando di saperlo far bene. A dirlo è uno scettico, uno che non ha mai amato “Mi fist” né quanto gli è succeduto; eppure, questo riappropriarsi di un ruolo da stronzi e feroci bastonatori (<<M-I bastardi, se incroci gli sguardi/sopra i quattro quarti vai via in quattro parti>>“King of the jungle”), calza ai Dogo molto meglio di quello da puri e semplici hitmaker.

Dopodiché il discorso si può allargare all’originalità (non pervenuta), alle ridondanze e alle questioni di gusto, che è per definizione soggettivo. Ragion per cui diremo che Don Joe ci mette la fantasia al silicio di una A.I., guarda tardivamente alla G-Unit e consegna ai soci una cartella che non ambisce all’appariscenza, rinfrescando con moderazione il suo sound. Il tratto iniziale ha un’andatura più dritta, abbinando al vigore dell’avvio una collaborazione di peso (in “Nato per questo” la penna di Marracash come di consueto eccelle) e il mood meno tronfio di “Malafede” (<<chi ha storie vere ha l’oro finto o il contrario/i soldi non li fai col prodotto ma col taglio>>), con i campioni melodici e vocali di “Sei mio” di Nada. Non ugualmente appassionanti, per usare un eufemismo, le rimanenti partecipazioni esterne: in “Soli a Milano” il ritornello di Elodie ha i toni drammatici di una telenovela sudamericana, Sfera Ebbasta è invece indigeribile al pari del brano cui prende parte, un’abbastanza inutile “Milly”. Nel segmento conclusivo spiccano viceversa l’orgoglio di “In sbatti” e la fosca fotografia sul presente di “Indelebili”, episodi che in piccola percentuale attenuano il carattere prevalente dell’operazione e ne arricchiscono il quantitativo di sfumature.

Club Dogo” è dunque per la gente? Mah, è sicuramente un gradito regalo per i tanti fan rimasti fedeli al gruppo milanese, senza ulteriori speculazioni. Di oggettivo c’è che si lascia collocare con facilità nel quadrante dell’Hip-Hop italiano, notizia in apparenza scontata – ma non lo è… – e segnale di avvertimento lanciato a quei tanti che si ostinano a tenere il piede in due scarpe.

Tracklist

Club Dogo – Club Dogo (Universal Music Italia 2024)

  1. C’era una volta in Italia
  2. Mafia del boom bap
  3. Nato per questo [Feat. Marracash]
  4. Malafede
  5. King of the jungle
  6. Milly [Feat. Sfera Ebbasta]
  7. In sbatti
  8. Soli a Milano [Feat. Elodie]
  9. Tu non sei lei
  10. Frate
  11. Indelebili

Beatz

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