MC Hip Hop Contest 2007: interviste a Mistaman/Dj Shocca

In quel di Jesolo, all’MC Hip Hop Contest, si aggirano sempre figure di un certo rilievo. Tra queste, abbiamo scovato Mistaman, che molto gentilmente ci ha rilasciato una gustosa intervista. Qualsiasi introduzione al noto mc veneto, affermatosi grazie ai suoi testi, alla sua tecnica e agli innumerevoli live in giro per tutta la penisola, sarebbe ovviamente superflua, pertanto vi lasciamo subito alle sue parole.

Intervista a Mistaman (Gennaio 2007)

Blema: comincerei parlando delle ultime cose che hai fatto. Molto interessante è “Il pezzo Rap” con Ghemon, un pezzo ironico ma comunque verissimo a livello di contenuti. A proposito di questo, come va con la Soulville?
Mistaman: la loro compila è senza dubbio una bella fotografia di quello che vogliono essere e della loro identità; anche se Ghemon se n’è andato, credo comunque le loro intenzioni siano ancora ben vive. Resta un sito attivo, frequentato da tanta gente. Io in quella compilation sono un po’ un estraneo, l’unico che non faceva parte di Soulville, ma sono contento di esserci perché mi trovo in sintonia con le loro idee. Il fatto di rendere la musica scaricabile gratuitamente è un approccio critico verso tutto quello che c’è stato in Italia fino a ora, infatti “Il pezzo Rap” nasce anche da questo.
B: tu, avendo una carriera con più esperienze di Ghemon, hai certamente avuto a che fare con gente che usa i modi di fare che critichi e descrivi in quel pezzo.
M: ti dirò di più, mi autodisso in quel pezzo! Si tratta di fare il punto della situazione e dire ok, abbiamo parlato di queste cose, ma non dobbiamo certamente chiudere la porta. Siamo riusciti ad ironizzarci sopra, abbiamo svelato il gioco, non dobbiamo però prenderci in giro. Poi, in realtà, si può comunque fare tutto quello che viene detto nel testo anche senza essere banali. Ovviamente noi abbiamo estremizzato la cosa… L’idea iniziale è stata di Ghemon: io mi sono trovato ad affrontare gli aspetti più tecnici della canzone, facendo riferimento al mio modo di rappare, a come chiudere le rime, invece lui, avendola scritta prima, è riuscito a essere più graffiante, perché parla di una serie di argomenti classici, ganja e via dicendo…

B: la cosa scandalosa che ho scoperto riguardante tanti artisti emergenti, è che pagano artisti più famosi per avere featuring sui loro demo. Ti è mai capitato di avere proposte del genere?
M: è capitato, ma non l’ho mai fatto. Se devo arrivare al punto di farmi pagare per fare un featuring, vuol dire che semplicemente mi sto facendo pagare il tempo. Fortunatamente un lavoro ce l’ho e posso vivermi la musica come espressione pura della mia personalità.
B: in teoria, le collaborazioni dovrebbero nascere da una certa stima reciproca…
M: a volte la stima reciproca c’è, ma manca proprio il tempo materiale di fare le cose. Mi capita quotidianamente di ricevere mail o messaggi su MySpace dove mi chiedono di fare collaborazioni per mixtape o compile. In un mondo perfetto, vorrei poter dire a tutti di sì, soprattutto a quelli che conosco e so che valgono, ma non è materialmente possibile.

B: ricordiamo tutti “Acciaio” dei Centro13. Hai in cantiere dei progetti o collaborazioni in coppia o con altri mc’s e produttori?
M: ora come ora, l’mc con cui mi trovo meglio è Frank Siciliano, perché riguardo al percorso musicale che abbiamo fatto è quello con cui sono più in sintonia anche nel mischiare il Rap con il cantato e poi soprattutto per gli intenti comunicativi. C’è in progetto un album con MadBuddy, iniziato ma non concluso per motivi di distanza geografica: abbiamo un pezzo finito che andrà nel mio album, quindi almeno un segno di questo progetto resterà. Comunque, collaboreremo assieme di nuovo perché reputo Stokka e MadBuddy due persone valide e affini a me musicalmente.

B: parlando di scena italiana, quali sono i personaggi più importanti con cui sei entrato in contatto e con cui hai lavorato?
M: entrato in contatto un po’ con tutti, con alcuni si è creata un’intesa più forte, con altri meno. La cosa positiva è che noi, parlo di me, Shocca e Frank, rispetto ad altri gruppi non abbiamo mai avuto un’aperta ostilità con qualcuno, quindi siamo in una posizione di vantaggio, nel senso che riusciamo a interloquire e approfondire i rapporti con tutti. Ci siamo trovati meglio con Stokka e Buddy, Ghemon, One Mic, Giuann Shadai, coi Colle der Fomento anche se non ci vediamo spesso. Anche a Milano ci troviamo bene sia col lato Sano Biz che con i Dogo: è bello passare una serata sia con gli uni che con gli altri e capire i diversi punti di vista sull’Hip-Hop.

B: parlando appunto di Milano, dove stanno crescendo dei grandi nomi, che rapporto hai con loro, considerati oramai come le icone del Rap italiano?
M: icone del Rap italiano… La cosa che mi fa storcere un po’ il naso è che sono stati proposti al grande pubblico dei personaggi stereotipati, quindi zero fatica per loro. Come dire 50 Cent ed Eminem. Poi in realtà Fabri ha una personalità molto più complessa di quella che potrebbe avere un Eminem all’italiana, perché è arrivato a questo punto con un percorso di maturazione musicale che tutti conosciamo. Semplicemente, per il grande pubblico la sua figura di antieroe richiama quella di Eminem. Marcio l’ho conosciuto ai tempi dello Show Off e mi aveva colpito perché è una persona dotatissima, ha un dono naturale per la musica: ci sono restato un po’ male nell’evoluzione che ha avuto. All’inizio mi aveva colpito per le sue capacità in freestyle, faceva delle rime comunque ironiche, sapeva tenere viva l’attenzione di chi lo ascoltava. Adesso si capiscono le sue matrici, ciò da cui si ispira in maniera troppo plateale. Avendo fiducia nelle sue capacità innate, spero che riesca a reinventarsi.

B: collegandoci al discorso del freestyle, nella sua intervista Next One ci diceva che si è ritrovato in giuria per la gara di Breaking e, al contrario di quanto succede all’estero, qui i ragazzi spesso non sono d’accordo con le valutazioni. Manca una sorta di umiltà nell’accettare il verdetto. Era successo un episodio simile un paio d’anni fa a una gara di freestyle al Palladium, un Kombat…
M: io ero in giuria!
B: ecco, appunto, quindi sai meglio di me di cosa sto parlando. Che consiglio dai ai giovani che salgono su un palco e vengono giudicati da esperti?
M: alla base di tutto c’è un concetto, il rispetto. Sembrerà ovvio, ma il rispetto non va solo chiesto, va anche dato. La seconda cosa è che le sfide oramai sono degenerate. Viene automatico pensare che il freestyle vada fatto contro qualcuno o che sia solo dissing: non è così. Il freestyle è una forma di espressione della nostra Cultura. Quando lo fai, lo fai prima per misurarti con te stesso, poi con gli altri. Quando poi hai davanti un personaggio come Next One, non puoi permetterti di dirgli niente. L’ossessione della vittoria è sbagliata, non puoi pensare di affermarti con una vittoria. Ti affermi in base a quello che fai, in base a quello che fa la tua crew, col tempo. Vinci una serata, bene. Vinci tre serate, che figata. Ma non pensare di essere riconosciuto e amato dalla gente semplicemente perché hai vinto tre o dieci gare. Ti affermi quando scendi dal palco e parli con chi è li da più tempo, con chi ti giudica, con chi ti ha ascoltato e ne hai rispetto. Nell’episodio del Palladium, c’era Inoki che ha avuto da ridire, non per pararmi il culo, ma fatalità in quell’occasione io avevo votato per lui: anche se fosse stato ingiusto il giudizio, comunque ti sei esposto e devi accettare. Inoki comunque è una persona sicuramente sanguigna, ma che l’Hip-Hop ce l’ha dentro al 100%, probabilmente l’aveva presa male perché ci aveva messo molto più impegno degli altri.
B: restando in argomento, cose ne pensi di certe correnti Hip-Hop più underground, sia americane che italiane, che non fanno freestyle?
M: la cosa può certamente esistere. Quello bravo a scrivere le strofe io lo chiamo liricista e non necessariamente deve essere bravo in freestyle. Uno che fa il salto col trampolino non è detto che sia bravo a sciare! L’ideale non dico sia riuscire a fare tutto, ma provare a fare tutto. Tanta gente che è brava a scrivere, non si butta a fare freestyle per paura del giudizio.

B: hai avuto occasione di fare collaborazioni con artisti europei o americani?
M: no, non è capitato. Avrò dei beat di Fid Mella, un giovane produttore di Vienna. Comunque mi piacerebbe che si aprissero i confini della musica italiana, anche se è difficile perché la nostra lingua è una delle meno esportabili. E’ successo il contrario, di artisti che rappassero in francese o in inglese su roba italiana. Ti dico la verità: non sento molto questa esigenza. Forse un po’ solo dal punto di vista dell’esperienza, ma non a livello comunicativo: non vedo una priorità avere dei featuring in inglese nel mio disco, che comunque verrà ascoltato al 99% in Italia.
B: in quest’ambito, hai però dei sogni?
M: ci sono degli artisti americani che mi hanno ispirato e coi quali ovviamente mi piacerebbe collaborare. Se vogliamo fare i nomi: Redman, Talib Kweli, MF Doom, anche gli Slum Village. A livello di produttori: Hi-Tek, J Dilla (R.I.P.), Madlib. Poi Busta Rhymes mi ispira molto: ha mille voci, una grande tecnica, anche se è molto ignorante, ma lui è così!

B: prima hai nominato MySpace, tu ne hai uno tuo. Pensi che questa diffusione della musica via internet sia d’aiuto?
M: tutti quelli che fanno Hip-Hop in Italia vogliono mettersi in gioco, è una prerogativa della nostra Cultura. Non esiste il fan dell’Hip-Hop che non faccia niente o che non abbia un’empatia veramente forte con questa roba. Quindi MySpace arriva proprio a fagiolo: metti le tua canzoni, ti customizzi la tua pagina e hai subito un’impronta della tua personalità. Io lo faccio per uno scopo promozionale: molta gente ci passa, ci sono i bollettini con le date, è comunque un mezzo per tenersi in contatto, quindi ben venga. E’ in atto una rivoluzione: ognuno è nodo della distribuzione e non so se la musica come la conosciamo oggi scomparirà o se si venderanno soltanto gli .mp3. Con questi mezzi, come MySpace o YouTube, è la gente il protagonista di internet, tutti siamo produttori di noi stessi.

Moro: non è un controsenso rispetto a quello che è l’Hip-Hop? Cosa intendo dire: anche io sono trevisano come te e Shocca e so cosa significa vivere qui, in una città di provincia dalla quale è difficile emergere, però voi ce l’avete fatta a uscire, ovviamente sbattendovi molto. Con MySpace è fin troppo facile farsi conoscere…
M: infatti con questi mezzi raggiungi subito dei risultati, dei commenti, dei feedback su quello che fai. La cosa ipocrita però è che nessuno dirà mai che merda! Tutti dicono grazie per l’add, sei un king, bello il pezzo. Il consiglio che si può dare è allora: usate questi mezzi, ma poi uscite e guardate in faccia le persone. Una cosa che ho notato di tanti gruppi emergenti è che spesso vanno sul palco e guardano in basso, sono timidi insomma: è la paura del giudizio. Per dire, ci sono personaggi che diventano noti solo facendo dissing…

Mo: nel mondo del web, Hatingline ne è un esempio…
Mi: Hatingline è giusto che esista, io la giudico come satira. Ho avuto da ridire con loro quando un dissing comincia a essere ricorrente, com’era successo con Inoki. A quel punto non era più satira, ma semplicemente ci si approfittava di un mezzo per infangare qualcuno. Fare ironia su chi fa Hip-Hop, su chi è noto, sicuramente è lecito, ma non deve diventare persecuzione.

B: dal vivo o anche tramite internet, hai conosciuto gente nuova che può avere un futuro?
M: ad esempio gli Adrenalina Boys, dei ragazzi giovani di Treviso che adesso stanno facendo delle belle cose, li ho conosciuti via internet. Appunto, l’approccio via internet può abbattere quella timidezza che c’è nell’incontro a una jam o a un live. Con Stokka e MadBuddy abbiamo fatto delle canzoni via internet.

Mo: a volte, c’è gente che si sente da una cifra di anni ma esce tardi con un disco. Ad esempio Giuann è da sempre sulla scena ma il suo disco esce solo ora…
Mi: circa dieci anni fa, noi eravamo in sano antagonismo col suo gruppo, ci sfidavamo alle jam perché avevamo dei punti di vista differenti. Noi più rivolti alla scena milanese, loro invece con un atteggiamento più di rivalsa. Poi Giuann è di Gorizia, il confine più estremo dell’Italia e l’Hip-Hop li è arrivato come un riflesso lontano che gli ha fatto capire cosa c’era di marcio sotto: questa è una cosa sì positiva, ma da un altro punto di vista li ha esclusi. Giuann, essendo una persona dotata tecnicamente e musicalmente, col tempo è riuscito a mettere in piedi il disco, che è certamente uno dei migliori dell’anno.
B: Giuann ha aperto il concerto dei Dilated Peoples, ma abbiamo visto che c’eri anche tu, perché non hai aperto il live?
M: perchè ero in fila fuori e non avevo nemmeno l’accredito per entrare! Ad aprire i concerti ci sono sempre le persone più vicine agli organizzatori. In questo caso c’era il contatto dell’etichetta, la First Class. A Milano obiettivamente non abbiamo suonato molte volte, più nella zona attorno a Milano. Comunque, non mi sembra il caso di fare polemica su un argomento come questo.

B: mi viene in mente una domanda, pensando ai Club Dogo che quando si esibiscono a Milano vengono osannati, mentre mi sono giunte voci che quando sono andati a Roma le reazioni del pubblico non sono state tra le più positive. Tu nel nord Italia sei noto e apprezzato, ti è mai capitato però di vedere ai tuoi live atteggiamenti di questo tipo?
M: no, non mi è mai successo. La cosa che mi rende orgoglioso è che dovunque la fotta della gente nei miei confronti sia abbastanza omogenea. Un posto bellissimo dove sono stato a suonare è vicino a Catania, alle pendici dell’Etna, ed è stato bello vedere l’amore che c’era per quello che facevo. Mi ha riempito il cuore e ho capito che stavo facendo qualcosa di giusto. Quando abbiamo suonato a Roma è stato bello anche lì, anche in Sardegna è stato stupendo. La cosa è appagante perché non abbiamo mai voluto fare della demagogia, spingere su argomenti che infottassero la gente per forza. Abbiamo preso un percorso magari un po’ più lungo, ma che ci ha lasciato veri con noi stessi. Se reciti, poi sei costretto a restare sempre fedele al tuo personaggio.

Mo: a proposito di percorso, quando siete partiti con voi c’era anche Medrano, che adesso fa altre cose, Rap in dialetto veneto un po’ comico per intrattenere più che per portare messaggi. Siete ancora in contatto? Siete ancora amici?
Mi: certo! Adesso sia lui che noi suoniamo con costanza. Nel 1999/2000 c’è stato il momento di crisi dell’Hip-Hop e lì c’è stata la nostra separazione, ci siamo rimescolati. E’ arrivato Frank, ci siamo sentiti meno con Ciacca. Medrano ha preso quella via, che comunque è stata lunga per arrivare a rappare in dialetto. Noi eravamo focalizzati più sugli aspetti tecnici del Rap, per lui non era una cosa fondamentale, ha invece privilegiato l’ironia, è come un comico.

BleMoro: grazie Mista, per la disponibilità e per la simpatia nel concederci l’intervista!

…un altro volto noto incrociato a Jesolo è quello di Dj Shocca: non potevamo farci sfuggire l’occasione e dunque ecco la nostra intervista.

Intervista a Dj Shocca (Gennaio 2007)

BleMoro: andiamo in ordine cronologico. Come nasce Dj Shocca produttore? Se nasce come produttore…
Dj Shocca: nasco come dj e produttore contemporaneamente. Ho intrapreso il percorso di tutti iniziando a quattordici anni. Compri un mini computer del cazzo per giocare e poi ti accorgi che può fare musica. Approfondisci sempre più e ti rendi conto che, con due mezzi in croce, puoi tagliare, fare, creare in casa quello che alla fin fine vedi in TV: “Beat Street”, “Wild Style”, i Run-DMC. Quindi da ragazzino, quando c’era poco in giro, raccoglievo le informazioni che potevo e pian piano cresceva questo fuoco dentro, questa voglia di fare, di capire.
BM: avevi davvero due strumenti in croce? Perché si parla di parecchi anni fa…
DjS: non avevo un cazzo! Un computer da 200 sacchi, quattro vinili presi da mia madre e basta.

BM: quali sono state le tue prime ispirazioni? Quelle che ti hanno fatto venire la voglia di iniziare a produrre.
DjS: gli stessi personaggi che mi spingono adesso. Tranne ovviamente quelli nuovi che danno una spinta in più. Posso dirti Dj Premier, Deda, Pete Rock, Next One, Ice One, D.I.T.C., A Tribe Called Quest…

BM: a proposito di Preemo, in Italia sei spesso stato considerato il Premier italiano. Cosa ne pensi?
DjS: probabilmente anche per la mole, perché mi sto inciccionendo (ride! – ndBleMoro), ma speriamo non solo per questo… Certamente è un paragone che mi sta stretto, come tutti i paragoni del resto; ovvio che comunque mi fa piacere perché abbiamo lo stesso modo di vedere le cose, credo, di fare la nostra musica. Poi cosa vuoi che ti dica, è un soprannome del cazzo e me lo tengo. Turi mi chiama il Premier dei poveri. Per me è un complimento sapere che sono arrivato almeno a suonare vicino a uno dei miei idoli. E’ lui che mi ha fatto sempre infottare, cercare campioni, spendere il mio tempo in queste cose piuttosto che fare come i miei coetanei, tenermi lontano dai casini, dalle minchiate. Concentrarsi insomma in una cosa creativa, positiva, non solo andare in giro a ubriacarsi. Lo faccio lo stesso, ma con un minimo di consciousness!

BM: i tuoi beat raramente sono strumentali nel senso di essere suonati con degli strumenti musicali. Nel futuro ti interesserebbe campionare musica dal vivo? E, restando su questo tema, tu comunque suoni qualche strumento tradizionale?
DjS: questa domanda si collega benissimo al mio disco nuovo, “Struggle music”, perché trascende quella barriera molto delicata tra i radicali che vogliono solo sample e quelli che la vedono al contrario. Secondo me si può integrare tutto, avendo uno spirito d’osservazione realistico. Col cuore si può fare tutto: in questo disco ci sono delle parti suonate, parti classiche calde, chitarra. Io comunque qualcosa di teoria musicale la so, perché purtroppo da piccolo i miei mi hanno fatto fare tre anni di violoncello e quindi mi viene facile pigliare due o tre note, costruire due accordi. Perché l’Hip-Hop, come la musica Soul e Funk, ha questa forza, che è anche un limite, di poggiare bene o male su un certo tipo di accordi, se vogliamo su un numero ristretto di accordi. E’ la sua forza, la sua semplicità, la sua immediatezza, ma anche un limite. Suonando gli strumenti si cerca di andare oltre. Riassumendo tutto questo vaneggio: sì, abbiamo messo della roba suonata nel nostro disco nuovo.

BM: riguardo all’Italian Job che hai formato con Don Joe e Shablo, ci sono progetti, un album in uscita? Come procede?
DjS: il problema è che è difficile beccarsi. Quando potremo vederci con regolarità, ci metteremo sotto. Non certo per un album strumentale, ma per un disco con delle bombe di mc’s stranieri, europei e americani. Però serve un’etichetta che ci creda e spenda dei soldi in questo progetto. Se noi tre ci mettiamo a fare un disco, lo facciamo coi controcoglioni e quindi con un budget alle spalle.

BM: la Best Sound ha fatto una cosa simile per il disco di Dj Jad. Ce l’hanno mandato per avere una recensione e, indipendentemente dal fatto che piaccia o no, nell’album ci sono grandi nomi.
DjS: con i soldi di Franco Godi, ci si compra tutto… Ti dico, se io avessi Krumbsnatcha nel mio progetto, cercherei di valorizzarlo diversamente da come è stato fatto in questo caso. In Italia, attualmente, non c’è nessuna etichetta che abbia un potere monetario per poter sviluppare un progetto così. Una major, al contrario, ce l’ha ma non ha la visione per dirigere questo tipo di cose. Ci vogliono quelle classiche etichette del cazzo tedesche o inglesi, quelle di frontiera che sono un po’ Hip-Hop, un po’ Drum’n’Bass… Queste etichette sono dinamiche, sanno dove puntare, sanno vendere e sanno fare soldi. Questo è l’unico modo. Becchi un KRS, un Big Daddy Kane, gente che comunque non costa miliardi e, con 20/30.000 euro, hai una bomba! Tutto il mondo aspetta una cosa del genere, voglio dire che tutti aspettano KRS o Daddy Kane su dei beat decenti. In America sono considerati dei vecchi, perché lì non hanno memoria storica. Dopo due anni sei merda, non esisti più. Noi europei abbiamo un retaggio enorme, sappiamo ricordare, abbiamo cuore, sappiamo riprendere e valorizzare gli artisti che ci hanno dato i brividi vent’anni prima.

BM: hai lavorato con Stokka e MadBuddy, quindi conoscerai l’alter-ego Tasters, Stokka come Cookie Snap. Hai anche tu un alter-ego del genere? Al di là dell’Hip-Hop, in altri generi, magari un’identità nascosta?
DjS: guarda, ti dico una verità ma te ne dico un pezzettino, diciamo così. Ho fatto un disco House un po’ di anni fa in Francia. Solo sample, sai quelle cose House belle tipo Duft Punk. L’ho fatto per alzare un po’ di cash, tutto qua.

BM: tornando alla scena italiana, c’è qualche mc col quale non hai ancora lavorato e con cui ti piacerebbe collaborare? Anche qualche emergente…
DjS: vorrei lavorare con Turi, ma non c’è mai stato il modo. Spero di poter lavorare con Kaos per il suo prossimo disco, perché non abbiamo fatto in tempo a beccarci per questo. Di emergenti ce ne sono tanti di bravi, ma adesso proprio non mi viene in mente nessuno, dovrei proprio mettermi a pensare.
BM: e a livello mondiale?
DjS: seeee… Dai, ti dico proprio i primi che mi vengono in mente: Promoe, svedese, Mos Def, The Game, KRS-One, poi mi piacerebbe dare una mano a ripigliare la carriera dei Das EFX magari con un bel singolo in Giappone, con una di quelle robe che solo loro si cagano.
BM: perciò dei Das EFX non hai condiviso, diciamo, le loro cose da “How We Do” in poi?
DjS: come tutti! In America se non sono curati da una grossa etichetta, finiscono così. E’ un po’ la croce e delizia di quello che sta succedendo adesso. E’ tutto completamente guidato. Quindi, se loro non sono indirizzati in una certa maniera, non combinano niente. Sono dei king comunque, però come tutti gli americani sono schiavi di essere flash. Hanno questa ossessione. L’1% è sempre stabile sull’onda, tutti gli altri li vedi per strada come dei morti, fanno merdate controvoglia.

BM: ti stanno chiamando per andare a fare il dj set. Ho una domanda a questo proposito: nelle due serate precedenti c’è stato Master Freez e ovviamente, per motivi di lavoro, ha messo delle hit. Questa sera ci risparmi “Simon Says” e “Ante Up” o ce li dobbiamo risorbire? Se dovessi seguire i tuoi gusti e il tuo estro, quale sarebbe il tuo set utopico e ideale?
DjS: inizierei con un po’ di D.I.T.C., farei un viaggetto nel G-Funk classico, ma giusto una pillolina, dopo di che tornerei a New York andando su fino al ’95 e al 2000. Risparmierei cose scontate, anche se non è mai del tutto possibile, poi farei un po’ di Funk e finirei con un po’ di Roots Reggae, taaaac! Sarebbe il top. Io me li porto sempre i dischi, ma tanto non lo faccio mai. Stasera faccio un po’ di grezzate mischiate a roba leggermente più conscious tipo The Game, Black Star…

(…il giorno dopo…)

BM: che differenza c’è tra un produttore italiano e uno americano, per come si è visti?
DjS: eh, dovrebbero essere la stessa, identica figura, solo che in Italia ti devi arrangiare di più.
BM: negli Stati Uniti può avere un senso vantarsi, tirarsela parecchio come rapper o produttore, data la dimensione del gioco, cosa che in Italia non c’è. Ma in realtà in molti se la tirano uguale… Come ti poni rispetto a quest’atteggiamento?
DjS: mi fa tristezza, mi sento molto distante da questo modo di essere. E’ inutile che fai il VIP quando non ci sono i circuiti, i soldi e l’esposizione per esserlo. Io sono me stesso e credo sia la cosa migliore.

BM: ora con Internet hai la possibilità di entrare in contatto anche con ragazzi molto giovani, miei coetanei. Via MySpace, una rapper italiana piuttosto conosciuta nell’underground ti aveva contattato per avere un tuo parere sulla sua musica e aveva ottenuto un commento di tutt’altro genere e argomento. E’ un episodio che riguarda te, ma accade piuttosto spesso che rapper e produttori più o meno in vista, si approfittino di questa loro piccola popolarità…
DjS: quest’episodio non me lo ricordo e non voglio nemmeno ricordarmelo, però può capitare per quanto credo che ci debba essere un limite. Ovviamente se mi contatta una ragazzina per avere un parere su un prodotto, glielo do volentieri anche se negativo, perché penso che cerchi un parere sincero. Non sono né un porco né uno sfigato, sono un ragazzo normale come tanti altri…

BM: in “60 Hz” figurano diversi dj a scratchare, ma tu?
DjS: mi piacciono le cose molto semplici, mi piace costruire con le frasi ritornelli in maniera molto elementare, ma non è facile. Comunque no, io non mi definirei neanche un turntablist, sono un producer a cui piace scratchare, mi piace saperlo fare normalmente, non mi piace chi fa troppo casino, chi usa troppa tecnica, chi fa troppo bordello, perché è solo una maschera! Guarda che fare mille crabs, mille minchiate, fleare, è tipo ginnastica, è molto più difficile esprimere un po’ di stile in maniera semplice, pulita e musicale. Un ragazzino di oggi, quando inizia a scratchare vuole subito fare bordello, mentre una volta cominciavi con tutti i basics, no? E secondo me è quella la strada giusta.

BM: soddisfatto di ieri sera?
DjS: seeee… (molto poco convinto – ndBM)

BM: non l’hai messo tu, credo Paone, “Play That Funky Music”. Ringrazialo da parte nostra! E’ apprezzabile che un pezzo così sia stato messo in un posto del genere in cui sono presenti molti breaker, che ne capiscano o meno di Hip-Hop è relativo…
DjS: dopo tre ore eravamo scoglionati, la gente era stanca e cominciava ad andare via, ho cercato di mettere cose abbastanza real ma non c’era risposta, allora poi devi rimettere quella merda… E alla fine ci siam detti ma vaffanculo, mettiamo un po’ di Funk, ci piace!

BM: “Pop Shots” di ODB infatti è durata circa trenta secondi…
DjS: urlavano con Ludacris! Io non ne posso più…

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Blema