Intervista a RollzRois (05/12/2023)

Quanto tempo occorre per affermarsi, per smettere di essere un emergente e giocare in un campionato più grosso? Non c’è una regola generale, ma possiamo dire che RollzRois sia entrato con prepotenza nell’Hip-Hop underground italiano, sbattendo sul tavolo abilità e ambizioni. Dopo l’esperienza Make Rap Great Again, già attivo col gruppo di cui è parte, ha appena pubblicato “To cry in a Rolls Royce”, suo nuovo progetto solista che conferma una traiettoria, un percorso in essere, una coerenza di fondo. E anche un carattere che, a leggere bene tra le righe che vi attendono in basso, non faticherà a emergere…

Bra: cominciamo dando una lettura sommaria di questi ultimi tre/quattro anni, per te abbastanza intensi a livello realizzativo. Dalla chiamata per “Pray for Italy” a “Make money like war”, che noi indicavamo tra i titoli di punta del catalogo Make Rap Great Again, più le numerose presenze nelle uscite del collettivo, poi l’album di Santa Sede e un EP con Less Torrance, “SS23”; scorrere quest’elenco che effetto ti fa? E com’è cambiato il tuo metodo di lavoro nel corso di questo tour de force?
RollzRois: sicuramente fa un bell’effetto, ma a me sembra ancora molto poco in confronto a tutto quello che voglio fare… Il mio metodo non penso sia cambiato, è senza dubbio migliorato mettendo a tiro un po’ di cose, però mantenendo a grandi linee lo stesso approccio, ovvero cercando sempre di superarmi in maniera costante.

B: di progetto in progetto, evidentemente, l’entusiasmo non è scemato, dato che siamo qui per parlare del tuo nuovo disco solista. E’ un discorso complesso, ma ci piace poterlo fare con un rapper ancora abbastanza giovane: fino a qualche tempo fa, mettere in cantiere un album portava via più o meno un paio di anni, oggi la musica è liquida e i tempi si sono ridotti di tanto, anche per non perdere contatto con un mondo che gira a velocità irragionevoli; a queste regole, quanto è difficile tenere in equilibrio produttività e qualità?
RR: io sono figlio di questo tempo e ho visto le regole iniziare a cambiare anno dopo anno, a partire da quando ero semplicemente un ascoltatore; però non mi è mai risultato troppo difficile sopravvivere a questa cosa mantenendo alte produttività e qualità, di pari passo. La qualità è inseparabile da ciò che faccio e la quantità è una conseguenza della passione per ‘sta cosa, stiamo sempre facendo dischi.

B: a volte quest’aspetto non è stato posto in evidenza, ma sei l’unico – oltre a Gioielli – ad aver firmato un disco MxRxGxA stando sia alle macchine che al microfono. Non a caso, un tuo beat è finito anche in “5 bambole per la luna d’agosto” – che per noi è in assoluto uno dei titoli culto tra i tanti marchiati col garofano. Nasci prima mc o beatmaker? E vivi i due aspetti in parallelo o come un’unica modalità per esprimerti?
RR: nasco prima come rapper, ho imparato a produrre per esigenza perché da ragazzini non ci cagava nessuno e non volevo usare solo i beat che si trovavano disponibili su YouTube… Ma non porto avanti le due cose parallelamente, io faccio principalmente Rap e un paio di settimane all’anno mi ricordo di essere bravo anche a produrre. Ultimamente, nel 99% dei casi lavoro a quattro mani con Less.

B: c’è una figura in particolare che ti ha più influenzato, spronandoti a misurarti con l’una e l’altra disciplina? Mi riferisco tanto a persone con le quali magari sei venuto a contatto, quanto a semplici riferimenti da appassionato di Hip-Hop.
RR: se parliamo di riferimenti, nulla in particolare e allo stesso tempo tutto ciò che ascolto, ogni influenza è un input che mi fa venire voglia di superare quanto ho fatto prima. E alla stessa maniera proprio la mia cerchia di collaboratori mi ispira a fare meglio, ognuno facendo la sua cosa: la vivo da sempre come una sana competizione dove se oggi tu mi fai il culo non c’è invidia, ma voglia di farti il culo il doppio sulla prossima roba su cui lavoriamo.

B: parlando invece di ambizioni, di pari passo all’incremento di esperienze suppongo sia cresciuto anche il desiderio di rendere il percorso più professionale, giocando la partita in un campionato differente. Tenendo presente che il dualismo underground/mainstream sia oggi meno rigido, confrontarti con determinati meccanismi ti ha dato una visione diversa dell’Hip-Hop? E, se l’obiettivo (legittimo!) è appunto quello di affermarsi, ritieni di poterlo fare senza dover cambiare nulla della tua musica?
RR: la mia musica è sempre in cambiamento. Penso che questo disco sia molto diverso dal mio precedente, nonostante per ora ho mantenuto entro certi confini la mia identità. Ovviamente c’è la voglia di salire di livello anche per quanto riguarda i mezzi e la risonanza, ma il pilastro base rimane sempre fare quello che voglio e che mi piace, il resto deve essere una conseguenza, non un movente.

B: quando hai cominciato a lavorare a “To cry in a Rolls Royce” e come si è svolto il tutto?
RR: in realtà ho iniziato poco dopo l’uscita di “MMLW”, molto con calma, è stato quindi un processo abbastanza lungo e intervallato da molti altri dischi, per certi versi in alcuni momenti nemmeno mi sembrava di star lavorando a un progetto solista. In tutto ci sono voluti quasi tre anni, ma contando il tempo effettivo, quello in cui ero solo sul disco, sicuramente molto meno.

B: abbiamo detto dei tanti impegni che ti hanno visto coinvolto di recente; perciò, forse non ci si aspettava che “To cry…” facesse una sorta di selezione all’ingresso tanto rigorosa: due soli featuring, Carlo Ragazzo a dividersi le strumentali con te (in un caso con Less Torrance) e un contributo di Sine. Sentivi il bisogno di tornare al centro del tuo stesso cammino, di rivendicare una maggiore riconoscibilità personale?
RR: guarda, quella che chiami selezione all’ingresso è semplicemente una conseguenza spontanea del processo di costruzione del progetto. C’è chi volevo ci fosse e allo stesso tempo chi ha dimostrato di volerci essere, tutto qui.

B: <<it’s better to cry in Rolls Royce than to be happy in a bicycle>>. I dieci brani vengono raccolti attorno a una frase di Patrizia Reggiani, ad accomunarli è la voglia di confermarsi, dopo un incremento sia di esposizione che di apprezzamenti ricevuti. Rispetto al passato, l’ambito del Rap più muscolare appare maggiormente affollato: come si fa a distinguersi dalla media degli artisti che fanno più o meno le stesse cose che fai tu?
RR: per me quella frase è a tutti gli effetti il manifesto di questo disco, ne sancisce il concept, molto più a livello di immagini che a livello di tema track by track. La voglia di superarsi, come dicevo prima, è la costante, mentre per quanto riguarda l’affollamento di cui dici non sono affatto preoccupato, competo solo con me stesso e sono modestamente convinto che a fare questa roba così siamo il meglio. D’altra parte, sono anche dell’idea che oramai ci sia abbastanza spazio per chiunque voglia mettersi in gioco.

B: in “Anni venti” aggiungi alla formula un pizzico di introspezione. In particolare, la barra <<questa vita scorre troppo piano stando in provincia/e sono ancora dietro a chiedermi ma quando comincia?>> ci avvicina a un quotidiano nel quale per molti non sarà difficile specchiarsi. Nel tuo caso, crescere nell’hinterland milanese – se non erro a Rho – in che misura ha influito sulla tua formazione nell’Hip-Hop?
RR: la mia vita chiaramente influisce sulla musica che realizzo in maniera diretta e il contesto in cui sono cresciuto le ha dato una culla, diciamo; se non fossi di qui, farei senza dubbio musica diversa da quella che faccio ora. La provincia regala molto poco, specie da adolescenti senza mezzi, ma allo stesso tempo mi ha sempre spronato a cercare qualcosa di più in ogni ambito.

B: una curiosità più tecnica sul beatmaking. Con che macchine produci, da che supporto peschi i suoni e fai digging nel senso fisico del termine?
RR: sono un mouse click producer, solo PC, FL Studio e campiono praticamente tutto da YouTube. Capita anche di diggare vinilate ma più in sessioni di produzione collettive con Carlo o Antee.

B: “To cry in a Rolls Royce” è fuori da poco, vorremmo sapere che feedback ha ricevuto e se stai preparando anche qualcosa sul fronte live.
RR: non ho ancora impegni live schedulati, ma chiaramente l’intenzione c’è. Il feedback dai nostri ascoltatori è sempre caldissimo e ci tengo a ringraziare chiunque abbia ascoltato, divulgato ad amici e portato con sé questo disco.

B: escludendo dal conto i tuoi, quali sono i tre dischi di Hip-Hop italiano che avresti voluto fare tu, che – da autore – ritieni praticamente perfetti?
RR: la verità è che di Rap italiano non ho riferimenti così tanto a cuore da dirti che li avrei voluti fare io. Magari oltreoceano, oramai ascolto praticamente solo quell’universo…

B: c’è qualcosa che vorresti dire e che non ti ho chiesto?
RR: va bene così, grazie per il tempo dedicatomi e per l’interesse!