Intervista a Nex Cassel e Dj Craim (07/10/2023)
Vi abbiamo già raccontato di “Fegato”, uscito a inizio ottobre. Proprio quel fine settimana, eravamo a cena con Nex Cassel e Dj Craim per parlare di un progetto che – possiamo svelarlo senza fornire troppi dettagli – avevamo già visto sbocciare nella sua forma embrionale; la chiacchierata, come leggerete, ha preso però numerose altre direzioni, consentendo ai due artisti di fornire dettagli che, ci piace sottolinearlo, nelle interviste fatte col comunicato stampa sul tavolo non troverete mai, per genuina veracità e approfondimento…
Moro: Craim, partiamo da te. Parlando di turntablism, ti possiamo considerare il bambino prodigio di questa disciplina in Italia: raccontaci la tua storia, di come tutto è nato.
Dj Craim: la storia è delle più classiche. Mio fratello ha cinque anni più di me e si è appassionato al Rap negli anni della sua esplosione mediatica, quindi diciamo attorno alla metà dei ‘90, da lì abbiamo cominciato a fare questa cosa assieme. Poi, in realtà, il primo giradischi l’ho toccato a nove anni, quindi era il ‘96…
M: …infatti le prime gare le hai fatte prestissimo.
DjC: sì, le ho fatte tra il ‘99 e il 2000. Era una gara su Internet organizzata dall’Alien Army.
M: e quindi quanti anni avevi? Dodici, tredici? All’epoca, ricordo di un tuo video che mi fece vedere un amico appassionatissimo, mi fa cazzo, beccati ‘sto ragazzino, è un mostro!
DjC: intanto, bisogna dire brava all’Alien Army che al tempo aveva organizzato un contest on-line. Quando ho fatto quella gara, che poi ho vinto, avevo da pochissimo tempo due giradischi, quindi provavo a fare un po’ di juggling e, per qualche misteriosa ragione, mi veniva bene. Poi ho vinto anche la seconda gara e ricordo di essere andare all’Arezzo Wave del 2000 per conoscerli, era un live in cui c’erano Tayone, Gruff, Skizo – l’Armata storica, insomma – e, quando mi hanno visto, non ci credevano che fossi così piccolo. Però devo tutto a mio fratello e al fatto che a lui questa cosa l’abbia subito folgorato, io ho seguito a ruota. Chiaramente mi piaceva il genere, perché comunque i dischi di quegli anni li ho proprio divorati. Mi ricordo il giorno in cui è uscito “107 elementi”: mio fratello è andato a prenderlo alla stazione, alla Galleria del Disco, e non vedevo l’ora che tornasse a casa, me lo sono imparato a memoria in tre giorni. C’era proprio affinità.
M: poi hai fatto il tuo percorso, il tuo exploit appunto nel turntablism e nelle gare, sia a livello italiano che internazionale. Sono passati un po’ di anni e ti sei messo a produrre possiamo dire con parsimonia, perché comunque non sei su tanti album; titoli però difficili da gestire, semplicemente basti pensare a tutta l’aspettativa che c’era dietro all’uscita di “Adversus”, una grossa responsabilità. Com’è andata questa evoluzione: ti senti più produttore o dj?
DjC: negli anni in cui ho fatto le gare, eravamo già alla seconda o terza generazione di dj turntablist e sicuramente ho avuto la fortuna, oltre che di cominciare molto presto, di aver visto arrivare le tecnologie più rivoluzionarie nel mondo del djing, perché quando è arrivato Serato è cambiato tutto. Allo stesso tempo – e non voglio sembrare poco rispettoso – sentivo che un po’ cominciavo ad annoiarmi, nel senso creativo del termine. Ho cominciato a essere coinvolto da artisti che stimavo e di cui ero fan, Danno è stato il primo, ci siamo conosciuti durante una gara e mi ha coinvolto nel progetto Artificial Kid, quindi mi sono affacciato concretamente sul mondo del Rap italiano facendo una bella palestra a casa di Stabber provando a rubare il lavoro con gli occhi, ho visto per la prima volta come si faceva un beat, tutte le strumentazioni… Da una parte era la prima volta che vedevo questa cosa, dall’altra mi è sempre stato insegnato che bisognava studiare tanto, dunque ho pensato di andarci con calma, fino a che il Danno non mi ha spinto a fare i beat e quindi devo ringraziare lui, Simone, che mi ha lanciato in questa direzione. Ho prodotto poco, è vero, perché producevo persone che erano mie amiche e che conoscevo, fortuna vuole che siano state Kaos e il Colle, non sono mai andato da nessuno a proporre i miei beat. Forse produco poco per questa ragione, ho fatto uscire pochi dischi ma avrò migliaia di beat che magari non usciranno mai o che un giorno troveranno il loro spazio, chi lo sa.
M: rispetto a “Fegato”, pensando appunto agli altri album che hai prodotto, si nota sicuramente una maniacalità, tanto perfezionismo, che forse indica la grande libertà di cui hai goduto nel realizzarlo. E’ così?
DjC: sono molto maniacale… Ho scoperto questa cosa facendo le produzioni, mi piace fare i dischi più che fare i pezzi dentro gli album, anche se è un po’ anacronistico e controproducente per me, perché i dischi non sono più di moda.
M: però a te piace essere fuori moda, dai.
DjC: è bellissimo essere fuori moda! Essere fuori moda significa essere alla moda; e poi i dischi mi danno la possibilità di raccontare una cosa su distanza maggiore, mi piace pensare che rimangano più a lungo nel tempo forse perché sono affezionato ai dischi in senso fisico. Facendo il dj, quando ho un set, non è che butto lì robe a caso, ho un certo flow: per me il disco deve essere dinamico proprio come un set, come lo deve essere un mixtape, come mi piace costruire i live con gli mc’s. Ci sono dischi che sono semplicemente delle sequenze di pezzi, a me invece piace fare un disco che sia unitario, che abbia un’anima. Penso sia una cosa che posso dare in più, rispetto a qualcun’altro.
M: ecco, appunto. Come avete costruito il live? C’è una parte tua più tecnica…
Nex Cassel: …qua rispondo io. Non è che devo fare tutta la fatica da solo: sudore, polmoni, fiato, sangue… Anche lui deve guadagnarsi la pagnotta. Crime dovrà lavorare parecchio, fare gli scratch. Anche nel disco, lui voleva fare solo le basi; e invece no!
M: be’, c’hai Craim e non ne approfitti per fargli fare gli scratch?
NC: ma lui all’inizio non voleva essere invadente… E io gli ho detto: no, cazzo, li fai.
DjC: è vero, mi ha costretto lui a fare gli scratch.
NC: ora, quando ascolto il disco, mi sembra perfetto così. Però all’inizio ne avrei voluti anche di più, siamo arrivati a un compromesso, al numero giusto. Quando la gente ha saputo che avrei fatto un disco con Craim, immaginava ci sarebbero stati gli scratch che uscivano anche dai tombini, capito? Da ovunque. E in realtà nel live è un continuo! L’importante è che, in tutti i pezzi, si senta che c’è Dj Craim, la sua presenza.
DjC: ma io sono contento che lui mi abbia spinto a fare questa cosa di nuovo, per me lo scratch è musicalmente una delle cose più fighe di sempre, più moderne. Poi non voglio mancare di rispetto a nessuno e discutere le scelte artistiche altrui, però oggi nei dischi non c’è quasi più lo scratch.
M: forse anche perché non molti li sanno fare bene…
NC: è fuori moda il dj che fa gli scrarch nel disco, ma io li volevo.
DjC: ad esempio, quando abbiamo ragionato sulle cose da fare e lui magari nei pezzi aveva già pensato a dei bridge con delle frasi che aveva rappato, mi ha detto di scratchare con altra roba. Lo dico perché, da quando è arrivato Serato, fanno tutti gli scratch con le a-cappella del disco: questa roba non ha un senso filologico, perché gli scratch si fanno con materiale di repertorio, non in corso d’opera. E questa sintonia tra noi mi è piaciuta tanto, perché Nex ha ragionato proprio su ogni cosa e io ho cercato di dargli seguito. Come in “Ghiacciolo al polo”, lo scratch dice you’re gonna search for me, mi cercherai, e lui attacca con non lo sai che bravo sono in ‘sto lavoro, che ha un senso; o in “Brutti consigli”, lo scratch è O.C. che dice my advice, il mio consiglio. Non è a caso, è uno strumento e una forma di linguaggio, a più livelli.
NC: Craim ha fatto un lavoro incredibile. A volte certi producer ti danno delle strumentali con delle vocine che fanno parte del beat, tu le senti e non c’entrano nulla col resto. Lui è andato in profondità, oltre che nelle atmosfere e nell’arrangiamento, entrando nel mood dell’album. Le strofe erano preesistenti ai beat, le ho date a lui e ha fatto un lavoro incredibile, più ascolti il disco e più te ne rendi conto, non serve lo dica io. Ogni cosa su cui interviene ha un preciso motivo, musicale, ritmico o di significato. La musica va fatta su più livelli: io spesso non faccio pezzi molto profondi, ma se vai a scomporli ti rendi conto che hanno più livelli. Per me la musica è così, l’arte è così. Se guardi “2001: odissea nello spazio” e lo vedi solo come un film di fantascienza, va bene così; però ci sono tanti livelli di comprensione che perdi.
M: in questo disco ci sono forse meno tecnicismi dal punto di vista del Rap, però viene fuori un po’ più la tua persona – se vuoi, anche quella molesta e selvaggia. Avevi bisogno di esprimere più liberamente te stesso?
NC: sì, sono molto più istintivo e inviterei tutti a rileggere i testi, scomporre le metriche, vedere davvero come sono fatte. Risulta molto semplice, sembro proprio un rapper basic che rappa dritto per dritto, però ci sono sempre delle strutture complesse per fare in modo che appaiano semplici. Se compro un quadro e lo metto in salotto, deve essere bello da vedere e avere mille altri motivi tecnici per cui è migliore di un altro; questo disco, invece, doveva essere brutto a prima vista, ma in maniera figa – non so se è chiaro.
M: chiarissimo. Anche il titolo, appunto: “Fegato”, è una roba tanto diretta se dici di basare il concetto su una parte del corpo. Il fegato serve per affrontare la vita, per smaltire l’alcool, per fare il Rap, però ci sono anche il cuore, il cervello, le palle… Perché il fegato?
NC: in certi casi, il fegato è sinonimo di coraggio, significa avere le palle. A me ha permesso, non perché abbia scritto i testi in questo senso, di prendere le robe negative e depurarle, farle venire fuori pulite. C’è anche questo significato. Il disco parte dal piccolo per andare verso il grande e, per quanto sia forse il mio progetto più ignorante, è forse l’unico di vera arte che ho fatto, perché alla fine ci metto la verità.
M: i featuring sono ridotti all’osso e uno non poteva mancare perché è coi tuoi soci della vita, ovvero Micromala.
NC: secondo me questo disco poteva tranquillamente non avere featuring, ma poi sarebbe stato un filo più corto. Il nucleo centrale non è nei pezzi con le collaborazioni, anche se ci stanno bene perché sono coerenti. Quando ascolto altri dischi e c’è un rapper solo in tutta la durata, mi annoio. Qui i featuring sono appunto una divagazione sul tema principale.
M: ci sta e appunto non potevi che chiamare Gioelli e Grano, per farlo. Com’è nato, invece, il pezzo con Egreen ed Ensi?
NC: se pensi alla scena Rap italiana, chi è che poteva starci bene su “Fegato”? Loro sono tra i pochissimi che potevano entrare in questo contesto e starci bene. Sicuramente poteva starci bene anche qualcun’altro, ma lo spazio era ristretto, volendo rimanere su un alto livello di qualità. L’alternativa era appunto non fare featuring, però così è più divertente, è più bello.
M: non so se vuoi entrare nell’argomento, ma è da qualche anno che hai in cantiere questo progetto e si vociferava di un altro artista alle produzioni…
NC: questo è un argomento in cui magari entreremo tra qualche anno, che ci porterebbe un minimo di hype, non dico tanto, però…
M: ok. Allora in “Palio di Siena” ce l’hai con qualcuno in particolare? Dici: <<non puoi fare l’attore fuori dal Teatro Regio (a Torino)>>.
NC: vabbe’… Quella rima lì, giusto per spiegare, è una di quelle che non tutti potranno capire. Quando dico che non puoi fare l’attore fuori dal Teatro Regio, significa che non puoi farlo se sei fuori da quel Teatro, dove ci sono sempre stati i breaker, dove non puoi fingere. Dunque: non puoi venire qui a fingere, non puoi fare l’attore in mezzo ai breaker. Significa questo.
M: con noi c’è anche Leonardo Amati, che ha curato la parte grafica. Com’è andata?
Leonardo Amati: devo essere sincero, è stato divertente! Per fare delle cose belle ci vogliono tempo e un po’ di ricerca, quindi c’è stato tutto il ping-pong tra me e loro, non è stato one shot one kill. A una certa sono andato anche in accanimento terapeutico, perché ci sono stati due mesi di test.
DjC: per colpa nostra, non di Leonardo – posso dirlo chiaramente. Due mesi per la copertina! Però si è creata un’atmosfera attorno alla quale ruota tutto e che dà un senso al disco. C’è la grafica di quello che prende il pugno al fegato, c’è una rima che dice <<sei steso al primo round, se io scendo in guerra>>, ci sono le mani, quella con la palla di neve e quella con la moneta…
NC: non è il nostro lavoro essere grafici, ma non è neanche il suo essere così paziente. Io non capisco subito le grafiche, mi ci vuole del tempo. C’è stata tanta ricerca e, come dire, tutto concorre a dare un senso. E’ importante che ogni cosa abbia un significato, sottostante al bello – che è lo stesso concetto che ho detto prima; lo vedo, mi piace, ma deve avere un senso. Non è la supercazzola dell’arte moderna che se uno non te la spiega, fa cagare. Deve essere bello e diretto. Io voglio essere un rapper semplice al primo approccio, complesso al secondo, terzo e quarto.
M: negli ultimi anni hai fatto tante cose e tanto diverse tra loro. Quest’album su beat di Craim, quello precedente sul quale curavi produzioni e Rap ma con tanti featuring, poi “Sardinia assassins” per Lil Pin (spero Gioielli non s’incazzi se dico che per me è uno degli album più belli di M*R*G*A). Come tieni assieme tutti questi aspetti del tuo percorso?
NC: guarda, io mi sento sempre in colpa per fare poca musica… Tanta gente mi dice che sono molto produttivo, io invece cerco semplicemente di non ripetermi mai, di cambiare sempre formula. In questo disco, oltre ad aver cambiato produttore, ho cambiato anche il metodo, perché appunto siamo partiti dalle strofe, una roba che ha divertito sia me che Craim. Se non cambi un po’ prospettiva, dopo venticinque anni o più che fai musica, potresti annoiarti. Io non voglio annoiarmi. Penso di essere sempre riconoscibile, però cerco di seguire dei percorsi diversi. Poi tutte le strade portano all’AdriaCosta, chiaro.
M: e quindi, anche se l’album è uscito da poco, hai altre cose in cantiere?
NC: se fai musica, la fai tutti i giorni. Fai e basta. Anche Craim, prima ha detto di avere un sacco di basi che non usciranno mai, è inevitabile. Se tutta la roba che fai esce, non va bene.
M: pensieri sull’attuale situazione dell’underground?
NC: io ho sempre pensato male. Tutti gli altri rapper sono concorrenza, perciò fanno cagare! Nel corso degli anni ho sempre ascoltato il Rap italiano, mi sono affezionato ad alcuni dischi perché volevo trovare qualcosa di buono nel Rap italiano. E ogni tanto la trovo, però è sempre stato poco nel passato come lo è nel presente. Non è che adesso sia meglio o peggio di prima, per me è uguale a prima. Magari trovo anche un disco che mi piace, sì, ma è molto, molto difficile. Poi ci sono cose che vanno oltre i gusti. Ti faccio un esempio: non sono mai stato fan degli Assatti Frontali, pur avendo tanta stima per loro. Non mi sono mai piaciuti più di tanto perché erano fuori dalle mie corde, a livello stilistico; eppure sono un fanatico di “Banditi”, per me è un capolavoro vero! E’ arte di Rap italiano, quel disco è fantastico, nella mia top ten.
M: però c’è stato il periodo M*R*G*A che ha cambiato un po’ le carte in tavola, anche se Gioielli ora ha preso la decisione che sappiamo. Ci può essere, secondo te, qualcuno in grado di colmare questo buco?
NC: no, rimarrà un buco. Secondo me non ci sono degli spazi lasciati dai progetti: se si chiudono, nessuno li può riempire. A livello di pubblico, chi vuole sentire il boom bap andrà ai concerti di qualcun’altro e si affezionerà a quella cosa, magari la reputerà dello stesso livello qualitativo anche se andrà solo per fare serata. E guarda che io amo la gente che esce anche solo per fare serata, si accontenta e si diverte, la preferisco a quella che sta sempre a casa; però, invece che andare a una serata Rap di merda, meglio una serata Techno. La Techno di merda la posso accettare, il Rap di merda no perché sono troppo fanatico.
M: resta il fatto che M*R*G*A abbia aperto la strada a tanti giovani e ridato lustro a figure finite un po’ ai margini…
NC: M*R*G*A è stata la cosa giusta per quel periodo. Io mi ci rivedevo molto nella loro visione di underground rispetto ad altre: troppa gente figlia solo del Rap italiano, ma il Rap è americano, capito? E’ come se dici di amare il caffè però hai bevuto solo decaffeinato… Ricordo di un’intervista al Colle, col Danno che diceva tipo questa cosa: noi non vogliamo che in Italia ci siano i fan del Colle, vogliamo che ci siano i fan dell’Hip-Hop. Io ti posso dire che il mio rapper preferito è Prodigy, però è un’approssimazione, un artista, una persona, il movimento invece è una cosa fatta dalla pluralità. Quindi condivido quel pensiero.
M: Craim, hai il fegato abbastanza allenato per reggere i live con Nex?
DjC: secondo te perché le prove le abbiamo fatte in Veneto? Bisogna allenare sì il fegato, però poi li metto io i dischi…
M: domanda finale eno-gastronomica, dato che siamo a tavola. Cosa mangiamo e cosa beviamo per far godere e anche un po’ lavorare il fegato?
DjC: tiramisù. Che va col vino rosso, come insegna Nex.
NC: proprio così! Sto cercando di diffondere questa cosa, che è solo mia e non è una roba veneta: è una roba tipica mia. Sono convinto, però: dolce con dolce non ci sta. Perciò, tiramisù e vino mi sembra un buon consiglio, un accostamento incredibile per il fegato. Perché, quando assapori qualcosa di dolce, devi subito resettarlo, dato che la vita non è così, è dura. L’acidità ti rimette in pari. Pochi momenti dolci, ma intensi.
M: chiaro.
NC: secondo te è venuto fuori qualcosa di sensato, dall’intervista?
M: assolutamente si! Grazie per la diponibilità e anche per “Fegato“, una combo di altissimo livello. Ai nostri lettori diciamo di restare sempre connessi e seguire Nex e Craim, soprattutto se hanno un live in programma dalle vostre parti.
Moro
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