Intervista a Squito Babe (07/12/2023)
Leonardo Posca, in arte Squito Babe, originario di Como, rapper e beatmaker classe ’98. Giovane, sì, ma con un curriculum già ricco di annotazioni, oltre che variegato nel taglio delle sonorità sulle quali, in gruppo o da solista, ha anzitutto messo in chiaro di possedere una consapevolezza attraverso la quale raggiungere obiettivi via via crescenti. “Andate in pace” è il suo nuovo disco, occasione ideale per provare a fare il punto sui passi compiuti fino a qui…
Bra: trattandosi della nostra prima chiacchierata, direi di procedere in ordine cronologico. Partiamo quindi dalla tua formazione in senso lato: sei figlio d’arte, avendo un papà pittore e scultore, aspetto che poi in qualche modo si è riversato nella tua musica; quanto è stato importante crescere in un ambiente così stimolante e in che modo arrivi a esprimerti attraverso l’Hip-Hop?
Squito Babe: credo sia stato importante fin dall’inizio, anche senza che me ne rendessi conto. Nel senso che da bambino non mi interessava molto ciò che faceva mio padre, ha iniziato a darmi spunti molto più tardi, ma ripensandoci quell’ambiente deve aver forgiato in me il gusto e il senso critico artistico che ho tutt’ora. Comunque, niente di tutto questo mi ha portato a esprimermi attraverso la musica: è da molto tempo che produco, inizialmente per gioco, non ricordo neppure come ho iniziato, forse da un’app per il telefono… Ma per arrivare a decidere di esprimermi a parole con la musica, c’è voluto molto di più, dopo aver raggiunto un livello che ritenessi buono e dopo varie esperienze di vita, ho capito che potevo dire la mia anche io.
B: siccome non è nostra abitudine nasconderci dietro a un dito, ammettiamo di non averti seguito molto prima di “Minnesota 8 – Spree”, singolo realizzato per MxRxGxA – abbiamo recuperato a ritroso, però… Com’è nata questa collaborazione, che sembra un po’ anche la fotografia di un tuo momento di transizione?
SB: semplicemente, io e Gioielli ci siamo sentiti e il resto è venuto da sé. Penso mi abbia scoperto dopo che ho iniziato a far uscire i video estratti da “Sepia”, album che è uscito solo su Bandcamp; mi ha mandato dei beat, ne ho scelto uno, ho reccato la strofa e, quando me l’ha rimandato, era su un beat diverso da quello iniziale ma molto più azzeccato – il resto è storia. Tengo molto a quella traccia, è la prima volta che qualcuno di molto più affermato di me mi ha dato spazio per esprimermi.
B: prima di misurarti con l’esperienza solista, gran parte della tua gavetta è legata al trio SmokeStackStudio (che prende il nome dal tuo studio di registrazione), con PoloBoiShisso e CicoSuave. Potremmo definirlo un progetto meticcio, che fonde stili e approcci differenti, pur muovendosi nel solco dell’Hip-Hop: qual è, in breve, la vostra storia?
SB: io e PoloBoiShisso siamo cugini, inizialmente SSS era formato solo da noi e infatti “Stackboiz EP” è un progetto in duo, Cico si è aggiunto poco dopo. I nostri primi due album uscirono solo su Soundcloud, andarono molto più forte di quanto ci aspettassimo, era un bel momento per fare musica forse perché rispetto a ora c’era ancora poca gente che la faceva, c’era molto da sperimentare. Dopodiché, abbiamo fatto uscire il nostro album più conosciuto che è “Deadly combination”, facevamo tutti i video con Wozza, ci siamo resi conto di aver creato uno stile riconoscibile, un suono abbinato a delle immagini, ispirando moltissimi altri artisti. Il collettivo tra l’altro è attivo tutt’ora, SmokeStackStudio è il nostro campo base, è qualcosa che ci unisce tutti.
B: dopo un EP introduttivo, appunto, pubblicate “Villains!” nel 2019, più sbilanciato verso la Trap, e “Deadly combination” l’anno successivo, confermando un certo eclettismo ma addizionando alla formula un carattere più hardcore. Cos’hai portato di queste esperienze, supponiamo caratterizzate da un metodo di lavoro differente, nel tuo percorso solista?
SB: semplicemente l’atteggiamento. Il suono è diverso ma l’atteggiamento è lo stesso, sto ancora trappando ma sui beat più fly.
B: hai curato la quasi totalità della produzione delle uscite appena citate e del primo disco che hai realizzato in proprio, “Il Golem d’argilla”. Quali sono le coordinate del tuo sound, i riferimenti principali di uno stile compositivo che rilegge tanta tradizione sia più che meno recente?
SB: la musica che faccio è un miscuglio di tutto ciò che ho ascoltato. Di base viene dall’underground, sia nella Trap che nella merda più fly ho sempre ricercato la roba grezza e nascosta, ovviamente dopo aver conosciuto per bene gli stili più classici; sarebbe inutile stare a elencare gli artisti di riferimento e via dicendo, anche perché sicuramente me ne dimenticherei più di metà, sono troppi…
B: per “Andate in pace”, venendo finalmente al presente, affidi invece l’intera produzione a Jiz – era già suo il master del “Golem…”. Scelta dettata dal voler cambiare qualcosa, negli ingranaggi della tua musica, o necessaria per impegnare il 100% di te stesso sulle liriche?
SB: guarda, la scelta deriva unicamente dall’aver capito che i suoi beat erano veramente di livello! Perciò, per una volta ho deciso di dedicarmi solo alle rime.
B: calendario alla mano, “Andate in pace” esce a meno di un anno e mezzo dal titolo che lo precede; in concreto, quanto tempo ha richiesto la sua realizzazione e come si è svolto il tutto?
SB: la verità è che quest’album ha richiesto tre anni per completarsi, nel senso che le prime tracce – ovvero “Blu”, “Stussy Bucket”, “Polaroid”, “Credo più in me che a Dio” e le mie strofe di “Heaven” e “Giacca antipioggia” – le ho fatte nella prima quarantena del 2020, poi sono andato avanti a strappi e alla fine ho completato tutto quest’anno. Più o meno faccio così con tutti i miei progetti: inizio a realizzare tracce a caso fino a quando non arrivo a un punto in corrispondenza del quale capisco che alcune di queste possano essere raggruppate assieme e avere un senso, da lì completo il puzzle coi restanti tasselli. Diciamo che è come se prima scarabocchiassi, poi nello scarabocchio ci vedo qualcosa di concreto e finalmente ne inizio a delineare bene i contorni.
B: la tua scrittura procede per immagini, proposizioni spesso brevi staccate l’una dall’altra e molto enfatiche dal punto di vista dell’interpretazione, anche grazie a una voce parecchio riconoscibile. I tuoi testi nascono attraverso un metodo preciso, rigoroso, o – come fai per i dischi – raccogli ciò che appunti in maniera spontanea, sull’onda dell’ispirazione?
SB: principalmente, non sono il tipo che scrive di getto. Ritorno molto sui testi, cerco di fare in modo che le rime e gli schemi suonino davvero bene e abbiano un senso. Altre volte, però, mi capita il contrario, dipende dall’ispirazione. Non c’è una regola.
B: <<tu sei ancora lì che ti chiedi se partono le drums/non capisci/siamo la nuova direzione>> (“Heaven”). Ti faccio una domanda difficile… Premesso che Roc Marciano ha tolto le batterie dalle strumentali poco meno di quindici anni fa e il filone che ne è seguito è in gran parte figlio suo, essere sempre nuovi, fresh, è uno dei comandamenti non scritti dell’Hip-Hop; per quel che riguarda la scena italiana, percepisci effettivamente un vento nuovo o ti senti comunque parte di una piccola nicchia che si pone quale alternativa al solito binomio mainstream/underground?
SB: come ti spiegavo, quelle barre le ho scritte oramai più di tre anni fa, le cose erano diverse e percepivo molto di più quella cosa nuova in Italia, anche perché – diversamente dagli U.S.A. – non conoscevo affatto le realtà che qui avevano già tolto le batterie. In ogni caso, siamo tutt’ora un vento nuovo per la maggior parte degli ascoltatori di Rap italiano, che non hanno la minima idea di cosa sia e da dove venga questa roba. In generale, invece, non mi faccio troppe pippe mentali sulla questione mainstream/underground, io cerco di fare la miglior musica che posso nel modo più originale possibile.
B: a questo proposito, tra i featuring abbiamo subito notato Armani Doc, RollzRois e ZZ dei Triflusso, che per anagrafica ti sono abbastanza vicini. Tendi a creare delle vere e proprie sinergie per le collaborazioni, magari stando anche in studio assieme, o sei più pragmatico e ti accontenti di spedire il beat e attendere la strofa registrata?
SB: con Rollz e ZZ si è creata una bella sinergia, abbiamo fatto ballotta insieme un po’ di volte, Armani lo sto conoscendo meglio adesso. L’importante, secondo me, non è tanto andare in studio ma conoscersi, le tracce le abbiamo fatte a distanza ma non mi cambia molto, sinceramente. Anzi, io ho la fissa di registrarmi da solo e perfezionare bene il tutto, sarebbe palloso subirsi una sessione con me: sono molto meticoloso nel processo di registrazione…
B: “Andate in pace” fa spesso riferimento al tema religioso, talvolta quasi a un livello subliminale e altre in maniera più diretta, come ad esempio in “Credo più in me che a Dio”. Ne emerge un parallelo con l’ambito musicale che si presta a molteplici interpretazioni e in qualche modo è anche un racconto dei tempi che viviamo: qual è il tuo rapporto con il trascendente e quanto è stato difficile scriverne, parlarne, sebbene principalmente a titolo di metafora?
SB: mah, non ho questo grande rapporto col trascendente, credo solo che ci sia una forte energia che collega tutto e che alcuni siano in grado di comprenderla e sfruttarla meglio. L’approccio positivo a ciò che ci accade attorno, secondo me, è il primo passo per rendersene conto, la forza di volontà è credere in se stessi, tutto è possibile se lo vuoi. Per questo credo più in me che a Dio, nel senso che effettivamente non so se esista un Dio, ma so che esiste una forza di volontà. Comunque, il concetto che sta dietro a questo disco è duplice, la chiara metafora è quella nella quale io mi pongo come profeta rispetto a una folla, ma allo stesso tempo sto cercando di svegliarla e di fare in modo che prenda in mano il suo destino. Mi rendo conto che sia un significato difficile da cogliere, però in maniera subliminale, come dici, spesso lo lascio intendere.
B: alla luce di quanto abbiamo detto, ritieni che questo sia un disco di svolta per la tua carriera? E quali ambizioni ha mosso, dentro te?
SB: non so se sia un disco di svolta, questo si vedrà. E’ sicuramente un disco che serviva a me e che serve alla gente. Le mie ambizioni rimangono le stesse di sempre, cioè spingere questa Cultura più che posso e arrivare a più gente possibile, ispirare altre persone a esprimersi, migliorarmi sia come artista che come persona e vivere facendo ciò che mi piace. Questo è realmente ciò a cui ambisco di più e a volte mi accorgo che è proprio quello che sto facendo.
B: tornando in un certo senso alla prima domanda dell’intervista, la realizzazione grafica di tutti i tuoi dischi è accuratissima, premiando l’acquisto dell’edizione fisica. E’ un aspetto che segui sempre in prima persona? E sei a tua volta un collezionista?
SB: assolutamente sì, seguo sempre in prima persona l’aspetto grafico dei miei progetti. Anzitutto perché ho studiato come grafico, poi perché sono uno che giudica gli album anche dalle copertine, nel senso che per essere un classico per me un album deve essere al top sia a livello musicale che a livello di immagine. Per questo curo molto l’aspetto del mio progetto in generale, anche ma non solo a livello visivo e soprattutto nel design delle copie fisiche. E infatti “Andate in pace” sarà il primo all’interno del catalogo SSS a essere stampato in vinile, cosa che permetterà a chi lo avrà tra le mani di apprezzare gli artwork nei minimi dettagli. Di mio sono un collezionista, certo, ma parecchio selettivo, appunto perché compro solo le cose che hanno tutte le prerogative di cui parlavo.
B: quanto sei soddisfatto di “Andate in pace” e, complessivamente, di quanto fatto fino a ora, non solo da solista?
SB: sono molto soddisfatto, perché – ripeto – è un disco che in primis serviva a me, volevo avere tra le mani un lavoro fatto e finito con un senso e una completezza tale da poterlo definire un album come si deve. Quest’anno sono successe molte cose e sono contento di ciò che ho fatto finora, ho bei progetti anche per il prossimo anno, la strada è lunga e credo non ci sia una linea d’arrivo. Potrei andare avanti così all’infinito finché non mi stanco e piano piano estendere i confini del mio impero…
B: lato promozione, state lavorando a qualcosa in particolare? Live, video, ecc…
SB: il 23 dicembre farò un live di presentazione del disco al Legend di Milano, un’occasione d’oro. Intanto stiamo pensando a delle possibili date per fare una sorta di mini tour, il progetto andrà avanti per molto. Farò uscire anche vari video, nuovi episodi del documentario legato al disco, a brevissimo uscirà il merch (una bomba!) e, per finire, il vinile.
B: ci tenevi ad aggiungere qualcosa che non ti abbiamo chiesto?
SB: che tutto quadra, perché il 2023 è l’anno del coniglio (il riferimento è all’artwork – ndBra)…
Bra
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