Intervista a Homeboy Sandman (26/07/2021)

In Italia è lunedì pomeriggio, orario inusuale per un’intervista con qualcuno che si trovi dall’altro lato del Pianeta, ma sicuramente più comodo rispetto alle nottate in cui abbiamo chiacchierato – sempre molto volentieri, sia chiaro – con molti altri artisti Hip-Hop. In questa giornata, Homeboy Sandman ha parecchio da sbrigare: il suo manager gli ha fissato più di qualche appuntamento per promuovere il nuovo EP prodotto da Aesop Rock (“Anjelitu“, in uscita il prossimo 6 agosto), noi siamo i secondi in lista e, non appena arriva l’orario prestabilito, parte la chiamata in direzione New York. Passa solo qualche istante ed ecco la riconoscibile voce di Angel Del Villar II giungere all’orecchio per i classici convenevoli, sottolineati dalla reciproca gratitudine per l’opportunità avuta e per l’interesse ricevuto, per poi partire a razzo con domande da comprimere il più possibile nei circa venticinque minuti di tempo rimanente, i primi dei quali vengono spesi per rievocare il concerto milanese che costituisce a tutt’oggi l’unica data italiana effettuata dall’artista…

Mistadave: sei un artista conosciuto per la capacità esplorativa della propria mente. Quanto è stata importante, nel tuo fare musica, la capacità di far convivere assieme tutte le sfaccettature della tua personalità?
Homeboy Sandman: l’esplorazione è alla base della mia musica, è analisi sulle vicende della vita e del mondo, è la mia personale decompressione e capacità di autoanalisi. Faccio musica per me stesso, non per finalità industriali. Sono molto felice e grato di poter andare in tour e avere dei fan che acquistano i miei dischi, ma l’intento principale del mio fare musica è creare il mio diario di bordo, la mia fuga dal consueto. E’ la mia passione più profonda. Pubblico album da quindici anni, ho cominciato a farlo nel 2007, e dopo tutto questo tempo speso a scrivere, mi sono accorto di aver sempre avuto questa propensione a voler essere personale, introspettivo e soprattutto onesto. Ho necessità di creare dischi in grado di permettermi di esplorare le mie emozioni, fare musica per me significa aiutarmi a rimanere mentalmente stabile; e sono orgoglioso di averne potuto ricavare una carriera professionale.

M: nei tuoi lavori emergono tante facce di questa personalità. Puoi essere serio, profondo, a volte oscuro e spesso dannatamente divertente…
HS: cerco semplicemente di essere me stesso, tutti abbiamo frazioni di personalità differenti tra loro. Tutti parlano di marketing quando si riferiscono alla musica, ma io non lo faccio col fine di compiacere quel meccanismo. Ci sono giorni durante i quali sento di essere allegro e so di poter essere molto divertente, questo avviene grazie alla mia capacità di comprensione della mia persona; lo stesso accade quando sopraggiungono momenti tristi e difficili da superare, frustranti. Cerco di non mostrare solo parti di me, non recito, quello che offro all’esterno è tutto ciò che sono.

M: c’è una frase contenuta nel tuo pezzo “Straight” (in “Don’t Feed The Monster” – ndM), mi è rimasta impressa a lungo e dice <<the new me is the true me>>. Quindi non si tratta di una transizione dal vecchio al nuovo te, ma da incompleto a maggiormente completo.
HS: è esattamente così. Ed è una cosa pazzesca se penso alla mia crescita qui a New York: ne parlo in “Trauma”, che fa parte dello stesso album che citavi, dove affronto episodi spiacevoli come la mascolinità tossica e tutte queste lezioni impartite sulla figura maschile, che alla fine sono semplicemente sbagliate – e non di poco. Disimparare quelle nozioni con cui sono stato programmato nella prima parte della mia esistenza ha rappresentato un’impresa colossale, sono andato quindi alla ricerca di chi ero senza quel bagaglio e ho scoperto il presunto nuovo me, che alla fine è più che altro un me più completo per il semplice fatto che oggi sono una persona in grado di scoprirsi di più all’esterno in quella che è la propria essenza. Ciò non mi esclude da ricadute, sia chiaro, ma il processo di recupero oggi è molto più lineare e veloce.

M: mi sento particolarmente legato a ciò che hai appena detto. Per te è stato più difficile lasciar andare gli insegnamenti genitoriali o confrontarti con idee e comportamenti che la società tende a vivere in massa?
HS: guarda, sono due cose che da un certo punto di vista vanno a braccetto. Onestamente, ho due genitori molto amorevoli che mi hanno trasmesso dei grandi valori, ma anche alcune cose che sono state difficilissime da lasciar andare, perché non facevano parte di me. E’ un’ottima domanda, non credo me l’abbiano mai fatta: più ci penso e più credo sia la parte genitoriale a essere la più difficile da affrontare, perché la società bene o male non ti fornisce risposte nella sua natura di circolo dove è ammesso solo chi la pensa alla stessa maniera e se ha risorse comunque non le condivide con chi si sente al di fuori. Perciò arrivi a pensare che molto, a livello di comunità, sia sbagliato. Il che non è così automatico con i tuoi genitori… Voglio tantissimo bene a mio padre ed è stato complesso ammettere che alcuni dei suoi insegnamenti non facevano parte del nutrimento di cui avevo bisogno per crescere nella mia infanzia e adolescenza. Mio padre è il mio eroe, per cui sì, è difficilissimo allontanarsi dalla loro visione.

M: nel tuo nuovo singolo, “Go Hard”, sostieni che solo tu puoi essere il tuo giudice e la tua giuria. E’ corretto sostenere che hai cominciato a vivere interessandoti meno di ciò che gli altri pensano di te?
HS: è assolutamente corretto ed è un valore molto importante per me. E’ sempre stato un aspetto su cui ho dovuto lavorare molto, perché mi ha spesso messo in difficoltà. Non sono certo una persona che se ne frega altamente di tutto, ma è comunque un punto dove vorrei arrivare. Vorrei giungere a essere immune da opinioni divergenti su qualcosa che io ritengo invece essere giusto e adatto a me. E ringrazio sempre Dio che mi manda queste rime con cui posso ispirare altre persone e posso farle sentire comprese e accettate, anche se è tutto condizionato dal successo raggiunto. Mi spiego: nel fare ciò, nasce comunque un desiderio di maggior notorietà e apprezzamento, così come arriva con naturalezza quella spinta emotiva così forte quando si parla bene di te, che porta ad avere attenzione del giudizio degli altri. Quindi, pur essendo grato per il riconoscimento, vorrei arrivare a non preoccuparmi dell’opinione altrui sulla mia arte ed essere capace di restare in collegamento solo con me stesso e con Dio. Sono questioni su cui sto ancora lavorando molto.

M: uno dei temi più frequenti nei tuoi brani è lo stress. Come te ne distanzi normalmente?
HS: cerco di tenere la concentrazione sulla mia fede. Sono grato per il fatto che in tutti quei momenti nei quali lo stress è davvero pesante e le preoccupazioni ansiogene aumentano, riesco a pensare che alla fine dei conti è Dio a condurre lo show, dando un senso a tutto ciò che non ne ha. Per distanziarmi dallo stress amo allenare il fisico, nutrirmi bene, leggere molti libri, cerco di togliermi da tutte quelle situazioni potenzialmente dannose. Non sarei capace di tenermi un lavoro in grado di provocarmi stress; e questa è un’altra imposizione della società, che ti carica di così tante aspettative da farti crollare. Le persone continuano a tornare in situazioni stressanti ogni giorno anche se queste non portano loro giovamento, per la paura di restare senza soldi per quanto riguarda il lavoro, o di restare sole in materia di relazioni, non badando alla quantità di stress che ciò comporta. Quando sei colpito dall’energia negativa, non puoi stare bene. A volte girando per il quartiere sento della musica che per esempio può rendermi triste, ma di certo non è qualcosa che andrei a cercare di mia spontanea iniziativa. Anzi, tendo a sradicare quel che può farmi star male.

M: qual è il concept del tuo nuovo EP, “Anjelitu”?
HS: è un disco che ha richiesto molto tempo di lavorazione, pur non essendo di lunga durata, e ha attraversato due distinti momenti umorali a livello personale. Metà dei pezzi sono stati scritti prima di “Don’t Feed The Monster”, l’energia che ricevevo era più negativa, il resto è arrivato dopo, quando le cose sono migliorate. “Don’t Feed The Monster” ha rappresentato un momento di svolta fondamentale per me e ha fatto da spartiacque tra questi percorsi diversi della mia vita. Scrivendo quel disco ho realizzato di non dover più nutrire quel mostro che rappresentava le mie paure, le ansie e quant’altro; lo dovevo fronteggiare finalmente a viso aperto. I pezzi che ho realizzato prima contenevano infatti egoismo e desiderio personale, mentre l’altra metà è contraddistinta dal mio stare meglio, c’è molta più fede, fa tutto parte del viaggio. Il concept del titolo arriva da un gioco di parole tra Angelito, il vezzeggiativo con cui la mia famiglia mi chiamava da bimbo, e la parola taijitu, ovvero il simbolo dello yin e yang, che rappresenta il dualismo, gli opposti.

M: in che modo l’EP differisce dalla serie “Lice”, precedentemente realizzata con Aesop Rock?
HS: è tutto relativo al periodo che ho trascorso tra l’inizio di “Anjelitu” e il suo termine, un momento che ha rappresentato un grande cambiamento per me. Nonostante pubblicassi tanti dischi non ero mai arrivato al punto da rendermi conto di dover lavorare ancora molto su determinati aspetti di me e questo è accaduto proprio con “Don’t Feed The Monster”. Mi sono reso conto che provavo odio, gelosia…e tutto faceva parte di un meccanismo di autodifesa. Desideravo riporre tutto in un armadio e chiuderlo a chiave, mi sono concentrato sul problema quando ho capito che provavo troppa delusione e negazione e in questo modo mente, cuore e corpo hanno cominciato a dare segni di cedimento. “Anjelitu” è diverso perché è il primo lavoro che riesce a mostrare entrambe le facce di quel periodo.

M: possiamo dire quindi che hai vissuto un processo di liberazione?
HS: direi di sì ed è arrivato tutto comprendendo di dover affrontare queste paure radicate nelle profondità meno raggiungibili della mia psiche, nonché dal realizzare che, se avevo paura di qualcosa, lo dovevo usare per mettermi alla prova. Affrontare paure e colpe mi ha effettivamente reso più libero come essere umano.

M: è per questo motivo che ti abbiamo visto saltare da un tetto all’altro in uno dei tuoi video (Don’t Look Down” – ndM)?
HS: proprio così! Ed è stato incredibilmente divertente.

M: è il quarto EP in cui lavori con Aesop Rock. Pensate di realizzare qualcosa di durata maggiore, strada facendo?
HS: vorrei anzitutto precisare che “Anjelitu” è un mio EP prodotto da Aesop Rock, mentre la serie “Lice” siamo io e lui al microfono con produzioni per la maggior parte esterne. Non ho idea di cosa realizzeremo in futuro ma posso garantirti che Aesop è un grandissimo, il più grande che conosco. Adoro lavorare con lui, perciò non escludo mai nulla di ciò che potrà accadere. Ma abbiamo altro in serbo per voi, non ti preoccupare…

M: credo che la vostra sintonia nasca dall’essere due persone in grado di esprimersi in maniera anticonvenzionale e indipendente…
HS: la penso anch’io esattamente così, io e lui siamo anime gemelle. E’ un discorso di affinità personale, conosco e ho collaborato con tanti altri artisti ma nessuno è legato a me come lui e credo che tutto nasca dalla condivisione di questa energia creativa che entrambi sentiamo di dover rilasciare ogni giorno, nonché dalla capacità di pensare a certe cose in un modo che altri forse non farebbero.

M: sarai impegnato in un tour americano per tutto il mese di settembre…
HS: …sì. E ti raccomando di evidenziare che sto per fare questo tour, deve saperlo più gente possibile!
M: quand’è stata l’ultima volta che ti sei esibito dal vivo?
HS: era marzo 2020, in Europa in un tour che è stato interrotto a metà. Era in Francia, a Lione, erano dodici date in tutto e le rimanenti sei sono state cancellate a causa della pandemia.

M: per il tuo prossimo disco pensi di continuare con la formula dell’unico produttore?
HS: sì, ho in mente qualcuno con cui vorrei lavorare in futuro e ho parecchia roba pronta a partire. In realtà è da tempo che non faccio più un disco con molteplici produttori (l’ultimo è stato “Veins” nel 2017 – ndM) e prima o poi vorrei tornare a fare anche quello.

M: com’è lavorare con la Mello Music Group?
HS: è fantastico! Ne approfitto per salutare Mike (Michael Tolle, fondatore dell’etichetta – ndM), ho un’ottima opinione di questa realtà. Adoro i compagni che condividono questa casa con me, mi piace un sacco Quelle Chris, sono un grande fan di Oddisee, così come mi piace la diversità portata da Kool Keith e Joell Ortiz.

M: dal mio punto di vista, la Mello ha salvato l’Hip-Hop più autentico.
HS: è un bel pensiero. Quando vedrò Mike glielo dirò senz’altro, loro mi hanno restituito l’energia giusta con cui lavorare, sono dei grandi!

Non ho altro da chiedere, anche perché siamo arrivati al trentesimo minuto di colloquio e chi viene dopo di noi starà già aspettando con impazienza. E’ stata una chiacchierata tra le più interessanti che abbia potuto fare dal punto di vista umano, Homeboy Sandman ha confermato i valori da sempre espressi nei suoi dischi, il suo spessore, la sua profondità, la capacità di distinguersi e ascoltarsi, interessandosi con fermezza a una delle imprese più complesse della vita: la ricerca di sé.

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