Viro The Virus – Jersey’s Finest

Voto: 4 +

La pubblicazione dell’edizione interamente remixata di “Jersey’s Finest”, lodevole iniziativa promossa lo scorso aprile dal produttore Caliph-NOW, è la coincidenza perfetta per un riesame del disco originale e per approfondire la figura di Viro The Virus, cristallino talento underground prematuramente scomparso nel duemiladodici con solo trentatre primavere all’attivo. All’epoca, l’annuncio della tragica scomparsa – apparente suicidio a seguito di un misterioso trasferimento dalla east coast in Arizona – campeggiò su tutti i social network appartenenti agli Snowgoons (coi quali la collaborazione era assai stretta) creando cordoglio per la perdita di un giovane dal radioso futuro, in possesso di peculiarità artistiche ben elevate rispetto alla media.

L’ascolto di quello che in tutta probabilità è il suo album più rappresentativo, si rivela dunque propedeutico per rendere giustizia alla fama di quest’astro nascente stroncato, un mc vero, dotato di una voce ben distinta e dizione impeccabile, nonché di tutta una serie di tecnicismi rintracciabili nella proprietà linguistica di prima fascia, nell’estrema facilità d’intarsio di barre colme di rime doppie, assonanze multiple, punchline ad alto tasso di riuscita, nonché nella distinguibile efficacia nello scrivere un ritornello interessante tenendo conto della musicalità dello stesso, aspetto in apparenza frivolo ma sempre troppo sottovalutato.

L’impressione che l’album inequivocabilmente lascia è quella di ritrovarsi a riflettere su un ragazzo che aveva gettato correttamente le premesse della sua carriera Hip Hop costruendovi sopra fondamenta solidissime, innalzando un piano alla volta con un traguardo ben chiaro in testa, senza compromettersi forzando tappe fondamentali per la crescita di un mc. “Jersey’s Finest” è un disco che autocelebra ma lo fa portando grande rispetto per l’Hip-Hop e la sua vera essenza, ciò che risulta maggiormente apprezzabile è il fatto che Viro, pur essendo già baciato da madre natura grazie al notevole bagaglio di schemi metrici complessi posseduti e dalla capacità di oltrepassare un confine lirico per altri nemmeno raggiungibile (basti pensare a quante barre sono arricchite dal giusto paio di termini assonanti in più quando qualcun altro si sarebbe fermato prima), mantiene un costante atteggiamento umile e sognatore verso i propri obiettivi, essendo consapevole tanto delle sue innegabili qualità quanto del lavoro rimasto da fare per raggiungere il gradino successivo nella scalata alla notorietà.

Pezzi del livello di “Almost Famous” – dove eleganza del cantato e sezione ritmica di qualità sono in primo piano mentre i campioni scorrono in sottofondo – fanno i conti con la propria realtà, bramano di vivere facendo ciò che si ama pur partendo da una posizione non privilegiata, poggiando la fede sulle proprie capacità; altri, vedasi la titletrack, chiamano giustizia e attenzione a suon di combinazioni tra rime multisillabiche e vertiginose allitterazioni (<<unsigned and undiscovered, unseen, uncleaned slept on like bugs under the covers>>); infine, le sonorità trionfali di “Heaven” si rivelano un tappeto più che adatto per un talentuoso ragazzo in rampa di lancio, che sa affrontare il microfono con grande personalità gestendo l’incedere del testo con una semplicità davvero naturale (<<this flow is like heaven>> – aveva ragione lui…) creando infiniti passaggi da rewind immediato, sferrando astuti colpi bassi e intelligenti doppi sensi.

Sono difatti presenti ovunque linee ad alto tasso di difficoltà che evidenziano come l’ampio arsenale lirico rappresenti la qualità principale del lavoro, dato che in qualche caso il carisma di Viro riesce a rendere scorrevoli perfino le tracce attrezzate dei beat meno interessanti, vedasi il dissacrante umorismo di una “Honesty” divertente, irrispettosa, piacevolmente scorretta e sessualmente esplicita, che inneggia al vostro muscolo dell’amore preferito (<<when I’m sober you ain’t as pretty as I told ya/’cause beauty is in the eye of the beerholder/and honesty is the best policy/so honestly, why don’t you swallow me?>>), un passaggio più o meno analogo a quello a “Do What I Gotta Do”, base solo sufficiente ma pezzo liricamente esaltante (<<I just wanna be the sequel to Shawn Carter/I’m the big V, there’s no equal you’re all goners/you know my flow’s best so don’t test/just hang’em up like Hogan Knows Best>>). Il picco creativo va assegnato invece a “Double Click”, che racconta dell’assuefazione da siti porno in maniera del tutto esilarante (<<…but every man with a Dell know what I mean>> – e ci fermiamo qui per non rovinare il divertimento).

Dato quindi l’alto profilo della prestazione complessiva di Viro, non c’è da stupirsi per il basso numero di collaborazioni inserite (quattro featuring su sedici pezzi, chiaro scarsoni?), peraltro pensate con coerenza in quanto coinvolgenti artisti simili al protagonista, ovvero in grado di reggere il confronto col medesimo e contraddistinti da velleità improntante sulla medesima fame artistica. Ci sembra con pochi dubbi notevole quanto offerto da Side Effect nell’esteticamente datata – ma in ogni caso gradevole – “Low Latency”, così come lo è l’apporto di Slim DSM nella volutamente casinista “Roddy Piper”, beat molto ruvido ideale per tirare pugni allo stomaco in compagnia e ottima interazione tra due stili e timbri differenti, accomunati da una più che pertinente gestione del flow. “Dream Team”, che sembra uscita da un disco dei Cannibal Ox, vede invece Viro mischiare il suo esplosivo armamentario perfezionando un riferimento fisso di assonanze per tutta la durata della sua prima strofa producendo rime multisillabiche come se diluviasse, facendo scivolare il buon Reef in netto secondo piano.

Ma “Jersey’s Finest” è anche un disco che dimostra come il suo autore potesse avere ulteriori margini di crescita. Da un lato brani quali la classica “Kid U Not” (loop infettivo di piano più batteria ultra-cicciona) e la realista “Shit Face” si evidenziano essere tra le poche e gradite divagazioni di un progetto improntato per lo più su liriche competitive e tecnicismi assortiti, virando verso l’accettazione tacita dei propri vizi, i riferimenti a droga e alcool, la coscienza dell’impossibilità di smettere, mentre l’altra faccia della medaglia è rappresentata dal fatto che, giunti all’ultimo quarto del lavoro, la quantità di battle Rap sembra già congrua così com’è, raggiungendo una minima fase di stanca altresì accentuata da un paio di beat non certo malvagi, però di più pesante digestione rispetto ad altri (ci viene in mente “The Rap Up”).

La produzione è per la maggior parte curata proprio da Caliph-NOW, frequente collaboratore di Viro ed amico che, assieme ad altri quattro contribuenti, fornisce all’album un suono costruito sulla potenza dei bassi e la varietà delle batterie, si sentono di frequente hi-hat giusto per non fermarsi all’ovvio e i vari sample sono estratti direttamente da vinili di cui resta traccia attraverso gli appena percettibili fruscii, tenendo un taglio del campione molto breve, alternato a sezioni di trombe e fiati che in alcuni casi caricano d’energia i ritornelli. L’amalgama sonora genera un boom bap assai tradizionale, magari non sempre brillante come nei casi in precedenza citati, ma che sa attrarre magneticamente quando le intuizioni propongono campioni infettivi (la chitarra di “Up & Down”: che bomba!) oppure efficaci combinazioni tra bassi killer e sample di flauto (“Jersey’s Finest”), per poi finire con l’ottimo Blues di “Showtime”.

Se fino a qui avete letto tutto con attenzione, consigliarvi il recupero di questo notevole lavoro pare del tutto superfluo, tanto più che potrete fruirne anche in versione rinfrescata e aggiornata, con scelte musicali completamente differenti per un’esaltazione ancora maggiore delle liriche originali. L’abbiamo conosciuto solo ora, ma per noi è già diventato uno di quei dischi puri, grezzi, tutti d’un pezzo, nei quali poterci rifugiare cercando il conforto che serve quando ci si rende conto di che tipo di musica da discarica sia tristemente posta in circolo tutti i giorni, nonché di quanta gentaglia incapace usufruisca di opportunità che artisti di primo livello come Viro The Virus non hanno mai avuto – nel suo caso per una motivazione tragica.

Il miglior modo per rendergli giustizia è tenere vivo il ricordo del suo nome.

Tracklist

Viro The Virus – Jersey’s Finest (One I Di. Vision 2006)

  1. Jersey’s Finest
  2. Up & Down
  3. Heaven
  4. Almost Famous
  5. Do What I Gotta Do
  6. Low Latency [Feat. Side Effect]
  7. Kid U Not
  8. Dream Team [Feat. Reef The Lost Cauze]
  9. Shit Face
  10. Roddy Piper [Feat. Slim DSM]
  11. Honesty
  12. The Rap Up [Feat. Adam12]
  13. Showtime
  14. Double Click
  15. Word Real
  16. Theme Song

Beatz

  • S.T.W.B. (Stress White Boy): 1, 8, 5
  • Caliph-NOW: 2, 3, 4, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 16
  • Decypher: 6
  • Eyego/Direct: 7
  • EDK: 15

Scratch

All scratches by Caliph-NOW

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