Intervista a Kento (01/12/2016)

Roma, giovedì 1° dicembre, ore 20.00. Raggiungo Kento negli studi di Radio Popolare Roma e, mentre faccio la conoscenza di Dj Fuzzten, attendo che termini un’intervista telefonica con una radio di Torino. L’mc sta raccontando di un laboratorio Rap tenuto all’inaugurazione della nuova scuola di Arquata del Tronto, ne parla con sincera emozione e un po’ di (meritato) orgoglio; come immaginavo – e come avrete modo di leggere – ho di fronte una persona vera prima ancora che un rapper, l’occasione è quindi troppo ghiotta e il ventaglio di domande si allarga quasi da sé…

Bra: rispetto a “Radici“, “Da Sud” ha un suono che al Blues aggiunge diversi altri tasselli. E’ una mia impressione o siamo di fronte a una nuova fase del tuo percorso discografico, pur al netto dei temi di cui ti sei sempre occupato?
Kento: nel bene e nel male, piaccia o non piaccia, “Radici” era un disco fortemente caratterizzato e ho l’ambizione e la presunzione di dire che si trattava di un progetto unico nel panorama musicale italiano. Il rischio era quindi di ripeterci, di citarci e fare un “Radici 2”; ecco, “Radici 2” era esattamente ciò che non volevamo fare. Come dicevano i Monty Python, volevamo qualcosa di completamente diverso e abbiamo cominciato a lavorare dai beat, dalla batteria, provando a mantenere il nostro approccio analogico ascoltando però il miglior Hip-Hop degli ultimi anni, periodo in cui ho tritato i dischi dei Run The Jewels e questa cosa viene un po’ fuori negli spunti dati proprio al batterista o anche nel modo di rimare, facendo ciò che in passato non facevo. Ad esempio c’è della rima alternata ed è la prima volta che lo faccio, ci sono degli extrabeat, ci sono bpm un po’ più veloci rispetto al solito. Avevamo insomma la fame di sperimentare, di fare qualcosa di nuovo e diverso. Dal punto di vista delle liriche, avevo voglia di farle più strette, più dense, più mature, più moderne; non volevo farmi sconti.

B: dieci pezzi per meno di quaranta minuti di durata. “Da Sud” è un disco istintivo, realizzato in tempi brevi?
K: “Radici” è stato scritto in tre anni, “Da sud” in tre mesi. E ciononostante abbiamo buttato quattro/cinque pezzi… Ci tenevamo che il disco fosse un filo teso dalla prima all’ultima traccia, che avesse una sua coerenza interna, che non fosse una compilation, che avesse un suono compatto. “Da sud” è più scuro di “Radici”, ma è qualcosa di cercato perché è un prodotto figlio dei nostri tempi, il primo disco dell’era Trump…

B: durante l’ascolto mi ritrovavo ad annotare mentalmente termini che nel Rap italiano incontriamo poco, ovvero capitale, bolscevico, resistenza, lotta… Nella realtà musicale di oggi avere un credo politico preciso è un rischio o un’opportunità?
K: l’Hip-Hop è politica. Il microfono è politica. La parola è politica. Dire legalizziamo la marijuana è politica. Forse anche dire io non voglio fare un cazzo dalla mattina alla sera è politica. Per cui, dal mio punto di vista, non è una scelta ma l’unica cosa che so e che posso fare. E’ anche vero che non tutte le tracce sono politiche, trovi pezzi di punchline che mi diverto moltissimo a fare, c’è l’amore, c’è l’introspezione; però io sono questo e scrivo così. Tra l’altro non sono un super fan di tutto il conscious Rap o del Rap militante, che spesso secondo me hanno il vizio di essere noiosi e di – come dice Damir su Mucchio – predicare ai convertiti. Io voglio dire cose facendo Rap figo e facendo Rap che non fa nessun altro, ma non è nulla di costruito: le mie strofe si scrivono da sole, per me il Rap è instant music, deve colpire l’attimo.

B: la domanda successiva si scrive ugualmente da sé. Un brano come “Piazzale Loreto”, che a qualcuno suonerà forse anacronistico o retorico, ha un fine didattico? A manifestare il proprio antifascismo sono rimasti in pochi, oramai…
K: “Piazzale Loreto” ha indubbiamente un fine didattico, anche a costo di risultare didascalico. Mi sono preso la responsabilità di mettere in un disco già duro quello che è un pugno nello stomaco, però sentivo l’esigenza di parlare di antifascismo in maniera contemporanea, cioè riferendomi a mafia capitale, alla presunta sinistra (virgoletta con le dita, ndBra) che ha fatto affari con loro, al neofascismo, a CasaPound e Forza Nuova che ora fanno le convention su Rap e graffiti ma fino a ieri facevano le ronde per picchiare i writers… Dimmi se queste cose non vanno dette in un contesto Hip-Hop e portami un altro pezzo Hip-Hop che parla degli stessi argomenti! Scrivere “Piazzale Loreto” era una responsabilità cui non potevo sfuggire…
Dj Fuzzten: …tra l’altro questo pezzo ha un impatto live inimmaginabile. Quando l’abbiamo proposto al pubblico la risposta è stata più grossa di quanto mi aspettassi e il merito è anche di una delivery che arriva bene all’ascoltatore…
K: …a questo proposito aggiungo che, essendo il tema pesante, ho lavorato molto sulla metrica. Ci sono due battute in extrabeat e due on beat, quindi un’accelerazione seguita da un rallentamento, dando la sensazione voluta di un continuo movimento.

B: tra i brani più sentiti c’è di sicuro “Totò Speranza”, uno storytelling che nasce da una storia vera dandoti l’occasione di parlare di Calabria, di ‘ndrangheta e di fatti che non emergono quasi mai nelle cronache nazionali. E’ un episodio di cui sembri avere una conoscenza diretta…
K: senza saperlo mi fai un gran complimento! Ho letto di lui, mi sono informato, mi sono fatto un’idea. Chiaramente, prima di far uscire il pezzo abbiamo chiesto il permesso alla famiglia e la sorella mi ha risposto che sembrava lo conoscessi davvero, ringraziandomi per averlo fatto rivivere – diciamo così. Totò Speranza era il bassista di un gruppo Reggae ucciso dalla ‘ndrangheta per un debito di trecentomila lire di marijuana e tra un po’ sarà il ventennale della sua morte. Nel pezzo immagino che lui da qualche parte ci sia ancora e racconti la sua storia, è un altro pezzo che si è scritto da solo e sono felice che alla famiglia e agli amici sia piaciuto.
B: il tuo rapporto con la Calabria com’è?
K: è molto viscerale. Nel senso che, come tutti i rapporti di amore profondo, mi tocca e non riesco ad essere oggettivo. Ma come tutti gli amori profondi provo un forte odio nei confronti di chi affossa la Calabria, la vuole rendere schiava e non le permette di progredire. In questi anni l’ho vista andare avanti e poi fare passi indietro, però sono sicuro che la sua forza, la sua bellezza e la sua ricchezza non risiedano nella natura, nella storia e nella cultura, ma nella gente. Ho tanta speranza nei ragazzi e in chi fa Rap, come diceva Sam Cook a change is gonna come.

B: in “H.I.P. H.O.P.” dici <<non dirmi sono bravi se hanno liriche da idioti/ma l’hardcore è questo pezzo oppure dirci quanto scopi?>>. A cosa o a chi ti riferisci?
K: letteralmente, al fatto che sia diventato più hardcore mettere dei contenuti in un pezzo invece che vantarsi di roba molto superficiale come avere tanti soldi o fare esperienze di vita edonistiche. Sono cose che non lasciano un vero impatto nell’ascoltatore, mentre dare dei contenuti importanti o anche controversi – che in passato poteva essere quasi la norma – ora è diventato un atteggiamento alternativo, diciamo.

B: il momento più personale del disco è “Il debito”, che però interpreti con Gianni Spezzano. Come mai?
K: nel pezzo ci passiamo la palla io e Gianni, che è un amico e un bravissimo attore sopravvissuto contro ogni aspettativa alla seconda serie di “Gomorra” – io lo davo per morto! Scherzi a parte, condividiamo alcune esperienze, il sud, la partenza…dividere quel pezzo è un po’ come rendere il mio vissuto una sorta di vissuto collettivo, dare il segno che non voglio parlare solo di me, ma della mia generazione. Quei versi – ed è stato molto bello farlo in maniera libera, senza rime – non li ho scritti io, li hanno scritti tutti i miei compagni di scuola, tutto il mio quartiere e tre quarti della mia città. E’ la storia di tutti noi.

B: tolto Masta P, che ha condiviso con te l’esperienza dei Kalafro, proponi collaborazioni sempre diverse. Come selezioni i featuring dei tuoi dischi?
K: ho dei collaboratori stretti che tali non sono, come Fuzzten e appunto Masta P, ma sono famiglia. Tolti loro, abbiamo voluto provare qualcosa di diverso chiamando due liricisti puri come Soulcè e Murubutu, averli sul disco per me è un segno di rispetto nei loro confronti e devo dire che sono estremamente contento di entrambi. Potevamo avere più featuring, potevamo avere qualche nome più altisonante, abbiamo preferito asciugare il tutto; Miles Davis diceva che non è quello che suoni ma è quello che non suoni, quindi togliere note, togliere canzoni, togliere parole e far venir fuori l’essenza della musica. Tra l’altro c’è un aneddoto divertente che ti racconto. Il pezzo con Murubutu fa riferimento a un concetto filosofico che è la poiesis, termine che in greco significa produzione e al tempo stesso è radice della parola poesia – ora lo spiego così in due parole, ma ci si potrebbe star sopra parecchio. A Murubutu l’ho proposto per telefono e lui mi fa ah, fichissimo, facciamolo; tempo ventiquattr’ore e aveva già la strofa pronta!

B: chi è il tuo rapper italiano preferito?
K: Lou X! Sono cresciuto con lui e secondo me tuttora se ascolti i suoi pezzi ne ricevi una botta incredibile. Era molto, molto avanti per tante cose che ha fatto, tanto sottovalutato…bisognerebbe riascoltarlo.
B: e quando, invece, ti sei detto voglio essere anch’io un mc?
K: il mese scorso quando mi sono licenziato dall’ufficio… (risata generale, ndBra) No dai, io ho sempre scritto rime, hanno sempre fatto parte di me e ho difficoltà a ricordare un periodo in cui non lo facevo. Fortunatamente, l’Hip-Hop non devo più andarlo a cercare perché è parte di me e non posso certo farne a meno, fare Rap per me è come essere mancino: posso anche provare con la destra, ma non ci riesco. Per molti anni non ho pensato a fare il rapper come lavoro, anche perché sono convinto che fare musica non significhi sentire la pressione di dover cacciare due dischi l’anno sennò non mi pago le bollette, altrimenti finisci a fare dischi solo per queste ragioni. Però devo dire che nell’ultimo periodo sono successe così tante belle cose, tante coincidenze fortunate o meritate, che mi hanno portato a un punto che non prevedevo. Alla fine vediamo quello che succede, io vengo dal niente e sono prontissimo a tornare al niente, sono la stessa persona che ero dieci anni fa quando i rapper non se li calcolava nessuno e quindi ora cerco di fare del mio meglio, di sfruttare tutte le occasioni che la vita mi pone davanti; domani tornerò a lavorare come ho sempre fatto e non avrò nessuna difficoltà a farlo.

B: il tuo percorso artistico conta diverse esperienze che vanno al di là del produrre dischi. Due anni fa sei stato in Palestina e hai partecipato al progetto Hip-Hop Smash The Wall: quanto ti ha arricchito umanamente e pensavi di arrivare un giorno così lontano con la musica?
K: lo sognavo. La Palestina era uno di quei luoghi mitici, un territorio della rivoluzione, pericoloso, non esattamente una prospettiva che ritenevo reale. L’esperienza in sé è senza dubbio di quelle che ti cambiano la vita e consiglio a chiunque voglia sapere cosa succede davvero lì di andarci, ci sono tante associazioni e realtà che organizzano dei viaggi di solidarietà cui è possibile unirsi. Alla fine io sapevo già che l’Hip-Hop in Palestina era molto sviluppato, ha la sua storia e ha il suo senso, ma in qualche modo vederlo coi miei occhi ha forse addirittura cambiato il mio modo di scrivere; non tanto dal punto di vista tecnico, quanto da quello della consapevolezza. Tu cambi e con te cambia la scrittura, più sono forti le esperienze vissute più queste le ritrovi in ciò che scrivi.

B: un’altra esperienza che avrà di sicuro influito sul tuo Rap è quella con la LIPS (Lega Italiana Poetry Slam). Come ti sei avvicinato alla poesia slam e quanto – ancora – questa disciplina ha modificato il tuo modo di scrivere?
K: nella slam poetry il concetto chiave, al contrario di quello che a volte si pensa, non è l’improvvisazione quanto il fatto che debba trattarsi di poesia performativa, fatta per essere scritta e recitata ad alta voce – così come il Rap. Ed è un altro di quegli argomenti di cui ho cominciato ad informarmi un po’ di anni fa, quando leggevo delle prime cose che si facevano in Italia; poi ho avuto la fortuna di riscuotere interesse in qualcuno della scena slam e così sono finito su un palco, pensa che la mia prima esperienza è stata con Saul Williams…
B: …ecco, io stavo per farti una domanda su “Slam” di Marc Levin…
K: …comunque il mio Rap si rafforza molto con la poesia, il fatto di frequentare e sfidare dei poeti credo mi abbia aiutato ad asciugare il verso e a renderlo più potente.
B: e sul film di cui ti dicevo? Io l’ho trovato utilissimo per chi voglia avvicinarsi alla slam.
K: “Slam” è uno dei miei film preferiti, tant’è che quando, qualche mese fa, c’è stato un laboratorio Hip-Hop qui a Roma abbinato alla visione di un film, io ho portato proprio “Slam”. Tra l’altro è stato un incubo trovarlo, perché non esiste – che io sappia – un’edizione italiana in DVD (ovviamente sottotitolata), ho trovato solo un rip da vhs… Considera che quando uscì il film (nel 1998, ndBra) andai al cinema, al Quattro Fontane, e in sala eravamo io e un mio amico.

B: hai appena pubblicato anche un libro, “Resistenza Rap“. Di cosa si tratta?
K: il libro è uscito il 18 novembre per Round Robin, una piccola casa editrice indipendente che lavora molto bene. In sostanta, “Resistenza Rap” ha due tipi di contenuti: un racconto di viaggio e di viaggi, quindi l’esperienza in vent’anni di palchi dalla Palestina alla Val di Susa fino al presidio No Muos, i palchi più beli e quelli più assurdi con tutto ciò che c’è in mezzo; una parte di – termine improprio – manualistica, racconto un approccio che può risultare interessante anche a chi comincia adesso a fare Rap e cosa significa per me scrivere, studiare la parola.
B: pubblicare un libro in contemporanea a un disco è un impegno non da poco…
K: sai, al nono disco posso dire con un po’ di presunzione che so come si fa; il libro invece è il primo. Quando ho cominciato a leggere i primi pareri ero ansioso di sapere cosa se ne dicesse e sono contento perché è stato recepito altrettanto bene rispetto al disco. A livello personale, lo ritengo un gran punto d’arrivo perché non era scontato che fossi in grado di scrivere un libro pubblicabile, infatti si può dire che durante i mesi in cui lo preparavo il mio editore mi faceva da psicologo… Io gli avevo detto pubblicalo solo se ha la dignità di essere un libro, lui mi ha risposto va bene, scrivi il primo capitolo e mandamelo; quel primo capitolo è piaciuto e così siamo andati avanti…
B: …magari lo rifarete.
K: lo spero. Ma in questo momento, per come intendo io l’arte, bisogna portare in giro libro e disco, darli alle altre persone – che poi è la teoria dei prodotti culturali di Bertrand Russell: un prodotto culturale è tale quando smette di essere di chi lo fa e diventa di chi ne fruisce. Io ora voglio fare questo.
B: un libro che consigli sull’Hip-Hop?
K: non consiglio libri sull’Hip-Hop. Consiglio di ascoltare i rapper e imparare l’inglese per tradurre i loro testi.

B: complessivamente, credi di aver raggiunto la tua maturità artistica?
K: riesco a vedere l’importanza aumentata dello studio. Mi spiego. A sedici anni scrivi un testo, poi scrivi quello successivo ed è migliore, poi un altro… Stai crescendo, stai evolvendo, impari e metti in pratica. In seguito, però, se vuoi migliorare devi studiare e quindi cerchi anche una direzione precisa, sei più consapevole. I rapper che continuano a migliorare o ad essere fortemente competitivi sono quelli più bravi.

B: qualche mese fa ho intervistato Lord Madness, che mi accennava di un progetto in corso d’opera con te ed Apoc. A che punto siete?
K: purtroppo siamo in stand by per ragioni indipendenti dalla nostra volontà, ma di sicuro lo faremo – non so quando.

B: ultimo giro di domande. Il tuo punto di vista su tre fatti di attualità molto recente: l’elezione di Trump negli Stati Uniti; il referendum del prossimo fine settimana (l’intervista si è svolta tre giorni prima, ndBra); la morte del líder máximo Fidel Castro.
K: per quel che riguarda l’elezione di Trump, ne ho parlato in maniera molto diffusa coi miei amici di Black Live Matter, attivisti afroamericani molto dentro anche all’Hip-Hop. Loro sono rimasti tanto stupiti e hanno avuto dei giorni in cui erano parecchio scoraggiati; poi si sono rifatti sotto e BLM ha fatto questo statement su mic.com per dire che bisogna serrare le fila e combattere. La cosa che mi ha colpito di più è che mi hanno chiesto dei consigli perché, per loro stessa affermazione, la loro lotta deve essere oggi riscritta e ripensata in chiave antifascista, ragion per cui volevano conoscere degli autori da leggere e io gli ho parlato di Gramsci, che ora stanno studiando. Sul referendum, a parte che non mi piace com’è posto il quesito perché è un minestrone, il concetto principale è se riteniamo che l’opposizione debba avere un ruolo o no. In questo secondo caso, diamo le chiavi a chi vince e ci vediamo tra cinque anni; se invece l’opposizione ha un ruolo, allora devi tutelarla: diciamo che io sento parlare molto di governabilità e mai di rappresentatività… Attenzione, non significa che io mi senta rappresentato dalle opposizioni che ci sono ora, ma in generale l’idea di un’opposizione forte è a garanzia di tutti. Infine, su Fidel… Sono stato a Cuba per il cinquantesimo della Rivoluzione ed è stato il primo anniversario in cui si era ritirato a vita privata; mi sento di dire che aveva novant’anni e perciò non è morto in culla, mi dispiace come per qualsiasi essere umano ma non credo che le rivoluzioni siano persone, le rivoluzioni viaggiano sulle gambe delle persone e mi auguro che Cuba non diventi il 51esimo stato degli U.S.A. né ciò che era ai tempi di Batista. Sono fiducioso non tanto nel nonnetto Raúl – ha un’età pure lui… – ma in una generazione che mi è sembrata in grado di portare Cuba ancora avanti nel segno del socialismo e della resistenza al capitalismo. Staremo a vedere…

Questa l’intervista, utile per capire qualcosa in più su “Da sud”, su “Resistenza Rap” e su Francesco. Dal canto mio, basandomi anche su ciò che è rimasto off the record, posso aggiungere di aver avuto una piacevole conferma: Kento vive l’Hip-Hop con passione, conservando lo spirito originario di questa Cultura, aprendo se stesso a nuove esperienze e condividendo il proprio punto di vista con chiunque sia interessato ad ascoltarlo. Seguitelo (imperativo!), anche perché ho come l’impressione che le novità in cantiere non siano finite…