De La Soul – Stakes Is High

Voto: 4,5

Nei quattro anni intercorrenti tra “3 Feet High And Rising” e “Buhloone Mind State”, con ben tre titoli scolpiti ad perpetuam rei memoriam in quella che avremmo imparato a chiamare golden age, i De La Soul hanno significativamente contribuito a traghettare l’Hip-Hop da un passato di indiscutibile valore a un presente di assoluta centralità all’interno di un’industria musicale che stava macinando cifre record. Allo scoccare del settembre 1993, ovvero in concomitanza alla pubblicazione del terzo disco realizzato dal trio di Long Island, i ragazzini che avevano consumato i nastri dei Run-DMC e poi di Eric B. & Rakim erano cresciuti e costituivano un vero e proprio esercito, riversando il loro talento nell’ennesimo cambio d’abito che avrebbe ridisegnato ancora una volta (e non per l’ultima) i connotati di un genere divenuto oramai globale – tanto per capirci, in quegli stessi mesi esordivano o si apprestavano a farlo Black Moon, Mobb Deep, Onyx, Snoop Dogg, Alkaholiks, The Roots, Wu-Tang Clan, Artifacts, Nas, O.C., Organized Konfusion, Outkast e Notorious B.I.G.; in un clima di comprensibile euforia generale, i De La furono però tra i primi a percepire le potenziali insidie correlate alla crescente esposizione di un movimento nato in una saletta del civico 1520 di Sedgwick Avenue, nel Bronx, e divenuto preda di schiere di A&R alla spasmodica ricerca di rapper da mettere sotto contratto.

Questo – a grandi linee – lo scenario da cui origina “Stakes Is High”, disco che conferma il passaggio di Maseo alle macchine (fino a “De La Soul Is Dead” in un numero minoritario di strofe) e segna l’inatteso divorzio artistico tra il gruppo e Prince Paul, determinante nella definizione di un profilo identitario subito impostosi per la sua spiccata originalità. Il tema non è certo secondario: sebbene i quattro avessero avviato i lavori assieme, i De La Soul ritennero quanto proposto incoerente con lo spirito che li motivava in quel momento, tanto da giungere alla scelta (supponiamo sofferta) di rinunciare all’ex Stetsasonic e gestire in autonomia la quasi totalità della produzione – per fortuna senza contraccolpi sui rapporti reciproci, come dimostrerà presto “A Prince Among Thieves”; in sostanza, ai Nostri toccò reinventarsi di nuovo (dopo tre album già caratterizzati da marcate differenze stilistiche) e il risultato, frutto di un umore parecchio incupito, si rivelò asciutto come mai in precedenza. Col senno di poi, volendo forzare un parallelo, “Stakes Is High” spalancò le porte all’era Rawkus (suggestione che troverà effettiva concretizzazione nella side a di “Lyricist Lounge Volume One”); nel senso che, per taglio del sound, per concept lirico e per atteggiamento complessivo (l’ironia e i colori sgargianti di “3 Feet…” sono solo un lontano ricordo), quasi ne anticipava il filone. Forse non a caso, il progetto ottenne giudizi non unanimi, né sfondò sul fronte delle vendite; ingiustamente, a opinione di chi scrive.

Perché, anzitutto, “Stakes Is High” sfoggia il suo quarto di secolo appena trascorso con invidiabile freschezza; e perché nei suoi quasi settanta minuti di durata c’è davvero molto da ascoltare. A cominciare da una titletrack posizionata in coda e che propone un flusso lirico torrenziale, alternando riflessioni sul sociale (Posdnuos: <<gun control means usin’ both hands in my land/where it’s all about the cautious livin’>>) e stoccate verso la scena (Trugoy: <<I’m sick of bitches shakin’ asses/I’m sick of talkin’ ‘bout blunts, sick of Versace glasses/…/sick of R’n’B bitches over bullshit tracks/cocaine and crack, which brings sickness to blacks>>) su una snella strumentale a firma Jay Dee: è il manifesto dell’album e un nuovo gioiellino inscritto nel repertorio del gruppo. Quindi proseguendo con l’affilata doppietta che arriva dopo l’ottimo intro: la rissosa “Supa Emcees” (<<but bring attention to my words like some ass in tights/I heard you want to fight me, with your words on stage/so Mase pulls that instrumental from the jam you made/and as he starts cutting what you sold, I’ll talk all over your tones>>), scandita da un appropriato beat minimale, e “The Bizness”, efficace collaborazione con Common che verrà replicata nel successivo “One Day It’ll All Make Sense”.

A proposito di featuring, tanto per ribadire che la Rawkus era proprio lì dietro l’angolo, in “Big Brother Beat” è il turno di un Mos Def che non aveva ancora neppure rilasciato “The Universal Magnetic”: in questo caso i tre rapper si scambiano il microfono su misure corte, simulando una jam (<<but we be easy on the cut, no mistakes allowed/’cause to me, mc mean makin’ cream/when I speak on groups and I’m smooth like gabardine/tryin’ to hang out with Dove and catch love in Aberdeen>>) cui sembrano mancare solo le grida della folla. La tracklist rimanente è in discreta parte su toni simili: la ciccettosa “Wonce Again Long Island” – solista per Pos – aggiunge ulteriori considerazioni sulle condizioni di salute dell’Hip-Hop; “Brakes” è una sorta di versione aggiornata del classico per eccellenza di Kurtis Blow, “The Breaks”; “Down Syndrome” è Rap allo stato puro, barre e punchline; “Sunshine” è una chiusura di alleggerimento, un piccolo raggio di luce (<<we’re just here to move your mind and soul>>) fatto filtrare in mezzo a punti di vista per lo più negativi. E se qualche rima avrebbe attirato le ire del Gangsta Rap, “Baby Baby Baby Ooh Baby” è una parodia, una presa per il culo, accostabile a un lungo elenco di star del mainstream. Minime le deviazioni dalla strada maestra: “Betta Listen” e “4 More”, ad esempio, rivolte alla signorine, o il singolo dal piglio scanzonato “Itzsoweezee (HOT)”, affidato a Trugoy.

Che “Stakes Is High” non abbia la dirompenza, la genialità e l’imprevedibilità dei suoi tre straordinari predecessori è un dato di fatto. A venticinque anni dalla sua uscita, tuttavia, è semplice collocarlo giusto a ridosso di questi, distanziando di diverse lunghezze la mai conclusa trilogia di “Art Official Intelligence”: l’intreccio tra liriche, suoni e tematiche ha una robusta solidità, espressione di una lucida analisi che, tanto più oggi, appare inattaccabile nei suoi assunti di base. Una ragione in più per recuperarlo, laddove vi sia sfuggito.

Tracklist

De La Soul – Stakes Is High (Tommy Boy Music 1996)

  1. Intro
  2. Supa Emcees
  3. The Bizness [Feat. Common]
  4. Wonce Again Long Island
  5. Dinninit
  6. Brakes
  7. Dog Eat Dog
  8. Baby Baby Baby Ooh Baby
  9. Long Island Degrees
  10. Betta Listen
  11. Itzsoweezee (HOT)
  12. 4 More [Feat. Zhane]
  13. Big Brother Beat [Feat. Mos Def]
  14. Down Syndrome
  15. Pony Ride [Feat. Truth Enola]
  16. Stakes Is High
  17. Sunshine

Beatz

  • De La Soul: 1, 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 14, 15, 17
  • Spearhead X: 5
  • Ogee with the co-production by De La Soul: 12
  • Skeff Anselm: 13
  • Jay Dee with the co-production by De La Soul: 16