Orco si racconta e ci presenta “Memento mori”

Triestino di nascita, amsterdammer di adozione, Marco Nobile – in arte Orco – è un mc e beatmaker classe ‘81, attivo già da fine anni ‘90 e cresciuto tra l’esperienza artistica e quella professionale di tecnico di studio. Ne abbiamo fatto la conoscenza più di tre anni fa, quando pubblicava “Sapere aude” per Moksha Music: l’occhio ci cadde subito su un paio di collaborazioni presenti in scaletta, quelle di El Da Sensei degli Artifacts e di G.O.D. Pt. III degli Infamous Mobb. L’ascolto successivo ci confermò un approccio sorto sopra radici inequivocabili, che assecondava una visione genuina – se non addirittura romantica – dell’Hip-Hop: uno strumento per esprimersi in completa libertà, un veicolo di comunicazione e di condivisione cui ricorrere per risvegliare spirito e coscienza. Temi che, in parallelo a un’attività live che ha acceso connessioni con figure di indiscutibile spicco (dagli italiani Colle der Fomento e Inoki fino agli americani Big Daddy Kane e Artifacts), il Nostro ha ribadito in “Memento mori”, pubblicato lo scorso luglio. Ventitré brani per quasi un’ora e venti di durata, a riconferma di un’urgenza espressiva che reclama spazi ampi (oltre che una passione per le citazioni in latino); e ancora, leggere tra i featuring i nomi di El Da Sensei (concede il bis), Sadat X, Afu-Ra, Canibus, Edo. G e Big Twins non lascia spazio a fraintendimenti. Si rafforza così l’impressione di un profilo dotato di precise peculiarità, il cui sguardo è proiettato con fermezza al di là dell’oceano; per saperne qualcosa in più, abbiamo ceduto la parola al diretto interessato…

Origini. L’incontro con l’Hip-Hop e la decisione di volerne far parte.
Il mio incontro con l’Hip-Hop avviene intorno al 1996 tramite la breakdance, come fu per molti in quel periodo. La prima volta che vidi un cerchio di b-boy a Trieste mi esplose la testa: non credo si possa parlare di decisione di farne parte – mi piace infatti dire che non ho scelto io l’Hip-Hop, è l’Hip-Hop che ha scelto me. E’ la stessa dinamica del vero amore. Di lì a poco, capii che la danza era parte di un movimento più grande che comprendeva anche il writing e quella musica che stava esplodendo in radio allora (soprattutto gli Articolo 31, che avevano appena rilasciato “Così com’è”); conobbi pietre miliari come “Odio pieno” e “Neffa & i messaggeri della dopa”, poi scoprii il Rap americano… “The Score” dei Fugees, “Black Sunday” e “Temples Of Boom” dei Cypress Hill, Snoop, Dr Dre, 2Pac. Lui venne ucciso poco dopo che lo conobbi (artisticamente parlando), il che contribuì a rafforzare ancora più il mio interesse per questo mondo. E quando arrivai a Wu-Tang Clan, Mobb Depp e Gang Starr, me ne andai di testa e capii quali erano davvero il sound e l’approccio che più rispecchiavano i miei gusti e la mia personalità. A inizio ’98 cominciai a scrivere testi e organizzare i primi eventi a Trieste, fino a dedicarmi esclusivamente all’aspetto musicale – registrando demo su basi altrui finché, verso il 2001, cominciai anche a produrre beat. Partecipavo a jam, andavo in stazione a fotografare i graffiti che arrivavano da altre parti d’Italia sui treni e, quando andavo in vacanza con la mia famiglia, il mio solo interesse era connettermi con la scena locale (da Napoli a Salerno, passando per Milano, Crema e via dicendo), catalogare i pezzi fantastici che coloravano i muri e fare freestyle sui beat sparati dal ghetto blaster. Suona magari poetico e romanzato, ma è esattamente così che andavano le cose ed è così che sono cresciuto.

Mcing e beatmaking. Studiare, praticare e vivere le discipline.
Coltivare il proprio talento attraverso lo studio e la pratica costante della propria disciplina artistica, qualunque essa sia, è l’unica strada per diventare davvero bravi in ciò che si fa. E, nonostante dopo molto tempo si possa raggiungere un punto di non ritorno oltre il quale oramai si sa che qualunque cosa si crei è a un certo livello qualitativo, l’apprendimento e il miglioramento sono processi infiniti. Personalmente, già prima d’iniziare a scrivere testi ero interessato a letteratura, filosofia, psicologia, spiritualità e così via – tutte tematiche che più o meno consapevolmente ho iniziato a inserire da subito nelle mie liriche. Per imparare, ascoltavo il Rap americano soprattutto per la metrica, mentre quello italiano mi ha fatto comprendere l’utilizzo applicato a questa forma espressiva di quella che considero essere una delle migliori lingue del mondo. Dopo qualche anno trascorso a registrare su produzioni di altri, ho capito che volevo essere completamente in controllo della mia musica e in grado di potermi creare da solo le tele su misura sulle quali dipingere le mie storie in rima. Ho rubato con gli occhi in studi professionali e da grandi ingegneri audio, produttori e musicisti fin dalla fine degli anni ‘90; l’avvento del digitale e dell’hard disk recording rese poi chiunque in grado di produrre musica a casa con una spesa minima, così mi ritrovai a creare i primi, rudimentali beat. Da qualche anno ho aggiunto anche piatti e mixer alla mia attrezzatura e mi diletto, quando non collaboro con qualche dj, a fare da solo piccole cose con gli scratch sui ritornelli dei miei pezzi. Le discipline dell’Hip-Hop, come dici tu, vanno studiate, praticate ma soprattutto vissute; devi essere e sentirti un b-boy prima di fare breakdance, devi essere e sentirti un mc – vivere da mc – prima di fare Rap. Devi essere l’incarnazione della tua disciplina artistica e, di conseguenza, praticarla con la stessa spontaneità con la quale respiri. Solo questo ti porterà all’apice dell’espressione delle tue capacità.

Riferimenti e ispirazioni. Acquisire un solido background per individuare uno stile proprio.
Non importa quanto si sia bravi, bisogna sempre ricordarsi che si cammina sulle spalle dei giganti. Questo vuol dire che, senza l’esempio dei grandi che sono venuti prima di noi e che hanno fondato e portato all’eccellenza i canoni artistici ai quali ci riferiamo, noi saremmo nulla. Il genio è colui il quale ruba con stile, si dice. Io non negherei mai di essere il frutto – ovviamente rielaborato – di quelle che sono sempre state le mie fonti d’ispirazione: non farei l’uso di assonanze e consonanze che faccio se non fosse stato per l’esempio di Kaos, non avrei la visione musicale che ho se non fosse stato per Neffa, non saprei cosa vuol dire hardcore se non fosse stato per il Colle, non avrei mai fatto beat se non fosse stato per Dj Premier e 9th Wonder, non avrei mai perseguito il bilancio tra contenuti ed eccellenza tecnica se non fosse stato per Big Pun, Canibus e K-Otix, non avrei mai avuto il gusto di New York che mi caratterizza senza l’esempio di Wu-Tang e Mobb Deep. Sostanzialmente si ritorna al punto precedente: bisogna studiare – e poi praticare fino allo sfinimento – per poter creare qualcosa di originale e innovativo, che sia stimolante sia per chi lo fa che per chi ne fruisce. Se sei sulla strada giusta, se sei destinato a fare quella cosa, allora per raggiungere l’eccellenza devi solo fare su te stesso ciò che faceva Michelangelo sul marmo: vedere la scultura già finita e lavorare per togliere la pietra superflua.

Hip-Hop U.S.A. e Hip-Hop italiano. Dimensioni e prospettive differenti, all’interno di un percorso di crescita artistico unico.
Nell’ambito di un parallelismo tra cultura Hip-Hop americana e italiana, ritengo che, per quanto riguarda writing, breaking e djing, l’Italia sia sempre stata fortemente in linea con gli Stati Uniti: abbiamo mostri sacri che fin dagli albori hanno rappresentato queste forme artistiche nel nostro paese, attenendosi ai canoni originali e portandole all’eccellenza. Con riferimento invece al Rap – essendo uno strumento linguistico – credo ci siano state forti reinterpretazioni sia in termini di sonorità che di contenuti e tecnica. Va detto che il Rap americano, specie quello più crudo, è spesso il frutto e la cronaca di situazioni di vita ben diverse dalle nostre: non importa che tu venga da Scampia o dalla peggiore periferia di Milano, che tu venda i pezzi ai tuoi amici per pagarti lo studio di registrazione eccetera, non sei un nero della periferia di Philadelphia o un bianco che vive in una roulotte a Detroit. E neanche devi aspirare a esserlo. Il percorso di crescita artistico unico che questa Cultura ha sviluppato prevede infatti che, a prescindere da dove tu provenga, possa avere la possibilità di sublimare il tuo male d’esistere in una forma d’espressione artistica che, oltre a permettere a te di sfogarti, potrebbe potenzialmente cambiare la vita di tante persone toccate dalla tua arte. Poi io parlo da un punto di vista ideale prettamente artistico; per quanto riguarda il lato mainstream, invece, le similarità sono marcate e non può essere altrimenti, visto il potere delle mode – ingigantito a dismisura dai social. Intendo che un fenomeno che diventa virale in America nel 2021 non può che diventarlo istantaneamente anche in Italia, dando poi luogo a emulazioni e reinterpretazioni. Prima del 2013 nessuno avrebbe potuto immaginarsi che il tipo di contenuti proposti ad esempio dalla Trap americana sarebbe diventato Pop in Italia, sparato su tutte le radio – che avremmo avuto bambini di 10 anni a cantare in coro al karaoke sciroppo cade basso come l’MD. Ma negli U.S.A. ciò funziona e nell’epoca dei social può andare ed essere adattato in maniera localizzata in qualunque mercato. Ma è Hip-Hop, quello? O Hip-Hop è una Cultura formata da quattro discipline e nata per sublimare la violenza di strada e dare voce a chi non ne aveva? Per quanto mi riguarda, l’Hip-Hop è come Dio: uno solo, a prescindere dal paese o dalle interpretazioni locali. E cerco di esprimere me stesso e le mie prospettive personali secondo quelli che sento essere dentro me i canoni artistici originali delle discipline che rappresento.

Presente, passato, futuro. L’Hip-Hop può mutare forma e linguaggio restando se stesso.
La definizione più corretta di Hip-Hop, a mio avviso, è quella classica di KRS-One: Rap is something you do, Hip-Hop is something you live. E pure la sua visione di questa Cultura come un veicolo di elevazione spirituale e di ribellione contro il sistema è quella che ritengo essere la più corretta: the temple of Hip-Hop. L’Hip-Hop sarà sempre lo stesso, quel che si evolve sono le tecniche tramite le quali si praticano le discipline che lo compongono: nuovi flow nel Rap, nuove combo di moves nel ballo, modi mai pensati prima di collegare gli scratch o nuovi spunti grafici nei graffiti nasceranno ogni giorno. Ma è possibile considerare fenomeni come la Trap o il mumble Rap afferenti alla cultura Hip-Hop originale? Tekashi69 e i vari Lil qualcosa sono degli mc’s? La loro musica vibra in sintonia con l’Hip-Hop? E Drake? O Nicki Minaj? Alla fin fine, se sei Hip-Hop, riconoscerai chi lo è nella stessa maniera – è una questione di odore, di vibrazione. E, per quanto mi riguarda, credo che il vertice evolutivo del Rap si sia avuto a fine anni ‘90: l’apice di un percorso che – dalla scoperta di questa disciplina – è passato da metriche basilari e concetti da party, ha attraversato tutti gli anni ‘80, si è complicato in termini tecnici e contenutistici grazie a maestri come Big Daddy Kane, Kool G Rap e Rakim, ha raggiunto il massimo appunto a fine millennio con Big Pun, Big L, Canibus, R.A. The Rugged Man e via via gli altri. Stessa cosa il percorso evolutivo dei beat. Attenzione: non dico che dopo quel periodo sia tutto finito; sarebbe come dire, in ambito pittorico, che dopo Raffaello non avrebbe avuto più senso dipingere perché si era toccata la vetta tecnica ed estetica di ciò che è possibile fare con un pennello. Eppure dopo 500 anni sono nati Dalí e il Surrealismo, Picasso e il Cubismo. Ma prima che qualche mumble trapper si paragoni a questi geni, sottolineo che loro sapevano dipingere madonne con la stessa maestria classica di Raffaello: hanno deciso di sovvertire tutti i canoni perché li conoscevano. Quanti di coloro che oggi fanno Trap in Italia sanno fare freestyle, sanno cos’è uno schema di rime interne o sanno citare un testo di Guru? A quanti di loro esplode il cervello di fronte a un wildestyle su un muro o guardando una session di beat juggling e scratch?

La scena. L’importanza di esprimersi con e per un movimento in costante crescita.
La cultura Hip-Hop è one nation under a groove. Gli mc’s sono responsabili del messaggio che tramandano attraverso la loro musica se parlano per l’Hip-Hop. Nas ha scritto pezzi come “I Gave You Power”, “One Mic” o “I Can”, che sono tutti esempi di come la Cultura nel suo insieme abbia giovato dall’associazione a tematiche così profonde e importanti. Quando però qualcuno parla di come muove mattoni di cocaina, di come ti riempie il sedere di buchi di proiettile e di come le tipe apprezzano la sua Bentley – comprata coi proventi derivati dal fare questo tipo di musica – allora è questa l’immagine che viene inviata; ed è così che chi è esterno a questa Cultura la catalogherà. Credo che l’Hip-Hop sia appunto un movimento transnazionale e che la scena sia globale. Dall’Africa all’Asia fino al Sudamerica, la lingua del vero Hip-Hop è una sola e chi la parla è in grado di riconoscerla. L’Hip-Hop non smetterà mai di evolversi e di fornire una chiave espressiva a chiunque lo scelga per manifestare il proprio potenziale creativo e artistico.

La gavetta. Giungere all’esordio ufficiale senza affrettare i tempi.
Per quanto mi riguarda, il fatto è che – come dicevo sopra – sono e vivo l’Hip-Hop. Questa è l’unica cosa che ha sempre contato per me, ben al di là del rilasciare materiale, di ottenere riconoscimento per le mie capacità. Parlando di gavetta, ho registrato il mio primo demo di 16 tracce nel 1998 con Dj Color, ho collaborato con vari artisti del triveneto e militato in diversi gruppi (4RK, La Bieca Loggia, Seasons, Aqabonja), ho registrato attorno al 2005 un disco con Al Castellana e il rapper El Nero, ho rilasciato il mio primo demo interamente autoprodotto nel 2007 (il cui singolo divenne virale su MySpace e fu passato in rotazione su Radio DeeJay e molte altre radio nazionali e locali), ho partecipato a un’edizione del Tecniche Perfette… Insomma, per me l’importante è sempre stato fare e vivere questa cosa, dunque tutte le esperienze citate sopra hanno contribuito a forgiare la mia figura artistica e a migliorare le mie capacità di scrittore e di mc. Se poi per esordio ufficiale intendiamo la distribuzione di un album sui digital store, il trasferimento ad Amsterdam è stato per me un punto di svolta: mi sono trovato a vivere e a lavorare in un paese straniero, dovendo fare forza solo su me stesso e dovendomi mettere in carico di decidere in ogni aspetto l’andamento della mia vita, senza influenze di famiglia, amici e necessità economiche. Ho avuto modo di far ruotare tutto il resto attorno all’Hip-Hop e all’arte, non il contrario, riuscendo quindi a canalizzare tutte le mie energie nella produzione del mio primo album ufficiale distribuito su tutte le piattaforme, “Sapere aude”. Vorrei anche far notare che, per questioni di contingenza ma anche di visione artistica, controllo personalmente ogni aspetto della mia musica; il che richiede molto tempo, oltre che una dedizione e una capacità interdisciplinare a mio avviso non da poco: intendo dire che “Sapere aude”, per fare un esempio, è un album di 21 tracce di cui sono l’ideatore, il beatmaker, il rapper, l’ingegnere audio che si occupa di registrare ed editare le voci, il mixing engineer, il mastering engineer, il grafico, il web designer, l’etichetta, il promoter, lo sceneggiatore – e spesso il regista – dei video… Tutta questa mole di lavoro (che metto in campo non solo per me, ma anche per altri artisti coi quali lavoro) non sarebbe mai stata possibile nei miei anni in Italia, dove vivevo coi miei genitori facendo soprattutto il grafico in un paio di aziende multimediali aperte da me, guadagnando il minimo sufficiente a non dover chiudere. Ad Amsterdam il tenore di vita è molto più elevato – inoltre mi guadagno la paga giocando con l’erba – quindi ho tempo e modo di vivere la mia passione con tutta la dedizione che merita, mettendo nella mia musica esperienze e sonorità che so essere davvero mature. Non mi do scadenze, mi vedo come un architetto che sta costruendo dei monumenti che resteranno dopo che me ne sarò andato.

“Memento mori”. La genesi di un disco nato nel pieno della pandemia.
L’idea di “Memento mori” è nata nel 2018: subito dopo l’uscita di “Sapere aude”, infatti, avevo già creato la copertina e trovato il nome e il concetto di fondo. Ho avuto poi un periodo durante il quale ho prodotto per molti artisti (cito Deams, Truth, Mr Melt e Mad G): se ciò, da un certo punto di vista, mi ha distolto dal mio lavoro solista, dall’altro mi ha fatto ritrovare con molti beat che ho poi veicolato nel mio progetto – oltre a permettermi d’intessere sempre più quella rete di contatti che mi ha portato poi ad avere dei nomi leggendari del Rap americano come ospiti sul disco. Dallo scoppio della pandemia a inizio 2020 mi sono trovato con più tempo a disposizione e ho concepito la tracklist definitiva, lavorato al rilascio dei singoli (ognuno con la propria copertina e campagna promozionale) fino ad arrivare – tra vicissitudini di vita come un trasloco in pieno centro ad Amsterdam e una promozione lavorativa – a registrare gli ultimi pezzi e creare il master tra aprile e giugno di quest’anno. Nello stesso periodo, tra l’altro, ho curato l’uscita del disco d’esordio di Mad G, “Follia con logica”, oltre ad averlo interamente prodotto e registrato. Diciamo che questo particolare periodo si è rivelato molto produttivo per me.

I temi. L’Hip-Hop come filosofia e maestra di vita.
Sono sempre stato un profondo amante della filosofia: la mia definizione della stessa è chiedersi il perché e il perché del perché. Filosofia come parola vuol dire amore per il pensiero, esattamente ciò che l’Hip-Hop significa per me: nella sua forma più intima e personale, è un sistema filosofico e spirituale che permette di connettersi alla Mente Universale – come durante la meditazione – per canalizzare flow, parole e scratch in questa realtà. L’Hip-Hop mi ha reso ciò che sono; e, come mi piace spesso dire, il BPM tipico del Rap è lo stesso del battito cardiaco. Per me l’Hip-Hop è il substrato dell’esistenza, permea ogni aspetto del mio essere. Ed è proprio in segno di riconoscimento che mi sento in dovere di sfruttare al massimo il dono che mi è stato fatto e restituire alla Cultura quello che mi ha offerto in tutti questi anni. Io faccio la musica che faccio perché lo devo all’Hip-Hop, non c’è nessun’altra ragione. E le tematiche che tratto sono quello di cui è fatta la mia vita.

Le ambizioni. Dire la propria in un genere che, in apparenza, ha già detto tutto ciò che poteva.
Come detto sopra, dopo Raffaello sembrava che la pittura avesse oramai dato tutto ciò che poteva, che non fosse possibile superare vette pittoriche così eccelse. Ma l’arte si esprime diversamente a seconda del veicolo che incontra per manifestarsi; e, dopo Raffaello, venne l’innovazione magistrale di Caravaggio, mentre intanto in Olanda il genio di Bosch prendeva tutte altre strade. E si arriverà poi al Dadaismo, al Surrealismo, all’Iperrealismo… Il Rap permette a chiunque di esprimere il proprio punto di vista in rima, quindi difficilmente si arriverà a un punto in cui si sarà già detto tutto quello che si poteva – come nella pittura, nella filosofia o in qualunque altra disciplina. La filosofia potrebbe terminare con Eraclito e Platone, a mio avviso, ma prima di loro c’erano i Veda e le Upanishad, dopo verranno Schopenhauer e Nietzsche. La tana del bianconiglio è senza fondo… Dico sempre che chiunque avrebbe potuto fare esattamente le mie stesse canzoni: le parole non le ho inventate io, erano lì; stessa cosa per i concetti e le musiche, io ho solo canalizzato il tutto. Se qualcun altro avesse fatto il mio stesso percorso evolutivo, avrebbe potuto creare esattamente “Filosofia perenne” come ho fatto io, parola per parola. Ma toccava a me, era il mio personale contributo. Qualunque cosa tu dica sarà stata già detta infinite altre volte prima, ma non da te.

I bilanci. Dov’era Orco prima di “Sapere aude” e dov’è Orco dopo “Memento mori”.
Prima di “Sapere aude” – e dopo la gavetta di cui ho parlato sopra – non facevo musica da un paio d’anni abbondanti, perché preso dal lavoro e dalla routine in quel di Trieste. Deciso a coronare il mio sogno di lunga data di trasferirmi ad Amsterdam, faccio poi nel 2013 il grande passo; ed essendomi messo sulla strada del mio destino, tutto ha cominciato a funzionare perfettamente. Sono riuscito a entrare nel settore dei coffee shop, ho coltivato valanghe di erba indoor come avevo sempre voluto, ho avuto esperienze personali che hanno completamente trasformato la mia visione della vita. Nel 2015, dopo essermi stabilizzato, è venuto quindi da sé ricominciare a suonare e mi sono reso conto che la mia arte aveva fatto un gran balzo in avanti grazie a tutto il trascorso degli ultimi anni. Nel 2016 ho costruito uno studio di registrazione, ho fondato l’etichetta Moksha Music e mi sono dedicato alla lavorazione del mio album d’esordio, che ha visto la luce due anni dopo. Per quanto riguarda invece il post “Memento mori”, quindi l’oggi, sono al lavoro su un disco di crew coi miei soci Mad G e Vybzniko (eccellente dj, produttore e cantante Raggamuffin), del quale potete già sentire due singoli online (“Fiori di plastica” e “Fidati di niente”). Vi rivelo inoltre in anteprima assoluta che ho recentemente avuto un mese d’intensa attività di beatmaking e che ne sono uscite oltre 20 strumentali molto underground di cui sono incredibilmente soddisfatto. Tra queste, ho selezionato le migliori e ho già ideato il mio prossimo disco solista: ci sono tutti i titoli e l’odine corretto dei brani, ho il nome e la copertina in mente, devo solo scriverlo e registrarlo…

Il palco. La dimensione live come punto di massima espressione del Rap.
La dimensione live è quella più carnale, fatta di saliva e sudore, quella dove la gente che ha ascoltato e apprezzato la tua musica ha la possibilità di vederti eseguirla – e tu quella di ricevere il loro calore in cambio. Ho organizzato eventi e suonato dal vivo con dj e musicisti dal 1998, ho partecipato negli anni a un’infinità di jam facendo freestyle e concerti, ma le mie migliori esperienze dal vivo sono state indubbiamente quelle che ho fatto ad Amsterdam. Nel 2017 venni chiamato ad aprire lo show di Salmo e da lì decisi assieme al mio socio dell’epoca Mr Melt di provare a organizzare live di artisti italiani qui sui canali della Venezia del Nord. Visto l’ascendente che ha questa città sui rapper, sugli italiani e a maggior ragione sui rapper italiani, si sono create situazioni fantastiche, dove l’audience locale mostrava un enorme calore e gli ospiti si divertivano tantissimo, dal Colle a Noyz, fino a Inoki e Dj FastCut. Dal vivo non ci sono secondi take: è lì che si vedono le skill d’intrattenitore e d’interprete dell’mc. Stavo organizzando i live di Alchemist e La Famiglia proprio quando esplose la situazione coronavirus e venne cancellato tutto. Ancora oggi, in Olanda non ci sono eventi dal vivo e tutto deve chiudere alle 20:00. Per mia fortuna, però, per me la cosa più importante è scrivere, comporre, registrare e rilasciare nuova musica – la vita da studio; in questi tempi così strani, ho ancora più ispirazione e tempo per dedicarmici. Se il fulcro del mio interesse e dei miei guadagni fosse stata la dimensione live, invece, sarebbe stato molto diverso e decisamente più traumatico, come lo è stato per tutti quei musicisti per i quali i concerti rappresentano la maggiore fonte d’introito.

I sample. Esplorare la musica per realizzare la propria.
Nella mia veste da produttore di beat, la parte principale del lavoro è quella di ascoltare musica. Il suono dell’Hip-Hop è sample based e, per trovare i campioni che si prestano a diventare beat adeguati a quello che si vuole fare, bisogna dedicarsi incessantemente alla vecchia pratica del diggin’ in the crates. A differenza di vent’anni fa, però, oggi chiunque può esplorare infinita musica solo andando su YouTube, senza dover possedere dei giradischi o dover andare a spendere soldi in negozi di vinili a caccia di scuri suoni anni ’70. L’Hip-Hop ha permesso a chi non aveva i mezzi per dedicarsi a una formazione musicale o per comprare degli strumenti di fare musica ugualmente, reinterpretando quella altrui in chiave creativa, donandole nuova vita. Lo stesso sample in mano a due produttori diversi restituirà due distinte visioni. O lo stesso sample lavorato due volte dallo stesso produttore darà vita a due beat completamente differenti. E poi, come per tutto, lo studio e la pratica della disciplina porterà all’affinarsi di uno stile proprio che sarà sempre riconoscibile. Per quanto mi riguarda, un sample può essere messo in loop o choppato con l’Akai, ma in genere aggiungo sempre qualcosa di suonato con la tastiera – il giro di basso, una melodia di violini o synth in armonia col sample nel ritornello. E mi piace credere che, dopo vent’anni di pratica, un beat di Orco sia facilmente riconoscibile in quanto tale – nonostante provi a essere eterogeneo coi miei pezzi e a passare da beat classici alla Dj Premier a produzioni più musicali, quasi interamente suonate e senza sample come “Andiamo”, “Grazie” o “Good news”.

I classici. Tre dischi che dovrebbero figurare nella collezione di ogni appassionato di Hip-Hop.
Domanda da un milione di dollari! Dipende dai parametri presi in considerazione, ma se devo attenermi all’essenziale direi: per l’Hip-Hop italiano “107 elementi” (Neffa feat. Deda & Al Castellana), “Quarantunesimoparallelo” (La Famiglia), “Odio pieno” (Colle der Fomento) e tutto Kaos; per l’Hip-Hop americano “Capital Punishment” (Big Pun), “Moment Of Truth” (Gang Starr) e “Wu-Tang Forever” (Wu-Tang Clan).

Moksha Music. Fondare e gestire una label…ad Amsterdam!
Fondare un’etichetta è stato il passo naturale per una persona che ha la visione e le competenze che io penso di avere, è stato il mio modo di ufficializzare il fatto che, in effetti, sono già la mia stessa etichetta discografica. Mi occupo appunto di tutti gli aspetti connessi alla mia musica in una prospettiva crossmediale e, nell’ottica di dare un tocco di professionalità alla mia attività artistica, ho deciso di compiere questo passo. La cosa migliore è che, poi, il naturale passaggio successivo è stato mettere questa struttura a disposizione di altri artisti che ho apprezzato e coi quali ho voluto lavorare – creandosi così la possibilità per loro di avere beat propri e di rilasciare materiale in maniera professionale, per me di fare esperienza in quest’aspetto più organizzativo del mondo musicale. Si è creato un team di persone che fanno ciò che amano e rappresentano un ottimo esempio di cultura e imprenditorialità giovanile italiana all’estero.

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