Intervista a Lord Madness (Settembre 2011)

Bra: cominciamo dalle tue prime esperienze al microfono, tutte in gruppo; dai Codice Personale ai DEFCODE, fino a Gli Inquilini, qual è la differenza tra una carriera solista e l’affiliazione a un collettivo e come nasce l’esigenza di tentare percorsi esclusivamente propri?
Lord Madness: le differenze sono fin troppe. Quando sei in un gruppo, gli spazi sono ridotti e non parlo solo di spazi all’interno di un pezzo, ma anche di spazi espressivi, non puoi decidere tutti gli argomenti ed è assai complicato essere autobiografici, visto che si è in tanti. Ecco, questa è sicuramente una delle motivazioni che mi ha portato a una scelta solista. Anche se non ci fosse stato nessun beef personale avrei comunque preso questa strada. Da soli è più difficile ma più gratificante. Il palco è mio, il disco è mio, i fan sono miei e gli hater pure!

B: rispetto al Rap, invece, quando ne sei stato folgorato e quali sono state le prime difficoltà incontrate?
LM: mi avvicinai al Rap con un disco che credo conosciate molto bene, “Bigger And Deffer” di LL Cool J, anche se precedentemente il primo vago contatto ci fu con Jovanotti e il suo “Jovanotti for president”. Ero proprio un bamboccio ancora senza gusto, visto che pensavo che MC Hammer fosse un grande almeno quanto i De La Soul o i Public Enemy, so che suona come una bestemmia ma mettetevi nei miei pannolini! Cosa volevate che ne capissi… La fortuna è stata scoprire l’Hip-Hop da molto giovane e in un periodo comunque molto importante per la crescita di questo genere. Inizialmente non credevo esistesse il Rap in italiano, invece gli Articolo 31 e poco dopo i Sangue Misto fecero luce in mezzo al buio, pensai che allora anch’io potevo scrivere delle cose e che da qualche parte ci sarebbero stati altri matti infoiati come me nel Rap. Le difficoltà, seppure tali, erano anche un modo per sentirmi vivo e combattivo, non era facile stringere legami. Come anno ti parlo del 1996; era difficile salire su un palco, trovare le strumentali, ma era stupendo lo stesso, a ogni jam c’era il cypher finale e io volevo sempre strappare il microfono a qualcuno per poter dimostrare. Mi registravo cassettine a casa e seguivo fedelmente quello che Aelle mi diceva. Si respirava un’altra aria, non c’era Internet soprattutto, che sicuramente ne ha guastato lo spirito. Posso dirvi una cosa? Quelle non erano difficoltà, quello era come ‘sta cosa doveva continuare, la vera merda c’è ora, tutti sono artisti e tutti sono hater (leggi coglioni), chiunque, anche senza conoscenza di niente, s’improvvisa rapper, tanto che cazzo ci vuole? Scarichi una base su qualche sito, poi registri e metti su YouTube, non si sa mai che fai views e ti fai notare da qualcuno. Poi ‘sti cazzi se il Rap che si fa è più elementare di una lezione d’italiano a un ragazzino di 8 anni, tanto è quello che piace al pubblico dei più giovani. Ma tutto questo è Hip-Hop? Davvero YouTube può dirci se un’artista abbia talento? Mi sembra una gara a chi fa meglio le veci di un pagliaccio, poi non so, perché come parli sbagli qua.

B: se ti chiedessi i nomi di tre mc’s (italiani o non) che, per ragioni differenti, hanno senz’altro influenzato il tuo modo di approcciare la scrittura, chi citeresti?
LM: be’, con il numero tre mi restringi molto il range devo dire… Cerco di attenermi però. Ti direi Eminem e Redman come rapper d’oltreoceano. Loro si combattono il primo e il secondo posto nel mio cuore. La loro lirica è sempre stata provocatoria, bipolare ed estrema. Direi che le suddette caratteristiche le ritrovo nel mio ego, indi per cui… Poi ti direi Kento come mc italiano. Può sembrare paradossale, perché il suo stile è totalmente opposto al mio, ma comunque sia guardo a lui come un grande scrittore, tra i pochi che mi impressionano ogni volta che li ascolto. La tua domanda era sulle influenze in effetti, che non significa copiare, posso essere me stesso al cento per cento, però guardare certi artisti come il punto massimo di un certo tipo di scrittura. Se mi permetti ne aggiungerei un altro, che è J-Ax, per me certe cose fatte da lui sono state spettacolari, è difficilissimo essere descrittivi nello storytelling come lo era lui anche negli argomenti più facili.

Riccardo Orlandi: spesso, girando in rete, si trovano commenti e pareri che sminuiscono il cosiddetto Rap tecnico, cioè quello che fa leva principalmente su metriche e rime ricercate. Cosa rispondi a questo genere di ascoltatori e cosa consigli ai rapper emergenti?
LM: un mio amico dice sempre che prima di valutare la critica in sé, bisogna sempre vedere da chi arriva. Chi si cela dietro una critica del genere? Forse un rapper che vorrebbe avere skill al microfono, ma essendo poco dotato si rifugia in un Rap di contenuti ma sconclusionato a livello tecnico e quindi deve ergersi a paladino della giustizia reppusa e dire a tutti cosa è giusto fare e cosa sarebbe facile. Io questo non lo so, però ‘sta cazzata mi puzza abbastanza di sfiga. Io non vado distribuendo pillole di saggezza in giro, anche perché com’è giusto che sia ognuno lo fa nel proprio modo, ma credo che una componente tecnica un minimo ci debba essere, nel Rap come in qualsiasi forma artistica. Questi poveracci levano tra l’altro dignità a questa cosa. Io non ho mai sentito dire che un cantante può stonare o che un pittore può scarabocchiare e l’importante è che esprima qualcosa. Se un bel testo, anche di denuncia sociale, vuoi che arrivi, deve avere metrica, voce, ecc… Insomma, le componenti servono, sennò oh, vai a fare il poeta, almeno ti leggono ma non ti sentono. Anche il ruolo di ghostwriter non sarebbe male se si è bravi a scrivere, ma un po’ meno a rappare. Ma poi che se la prendano con Busta Rhymes, che vogliono da Madness? Sono d’accordo sul fatto che l’equilibrio sia lo zenit artistico, un bel testo, un bel flow e ciao. Al rapper emergente direi hai due scelte: farti amicizie per emergere o rimanere dove sei ma poterti guardare allo specchio… A te la scelta!

B: “Suicidio” è stato accolto in maniera a dir poco positiva dal pubblico di settore, vorrei sapere se ti aspettavi un apprezzamento così generalizzato e che tipo di riscontro hai avuto all’esterno della realtà Hip-Hop.
LM: il disco ha avuto apprezzamenti molto positivi, alcuni inaspettati come il secondo posto come disco dell’anno su MoodMagazine. Ma non solo. Le tante recensioni uscite, i passaggi in qualsiasi trasmissione radiofonica Hip-Hop e le copie vendute sono un indice di gradimento molto alto. Apprezzato un po’ meno da certi rapper, è sempre difficoltoso scoprire che c’è uno più bravo di te… Scherzo, naturalmente. Il mio procurer Peight m’ha detto una cosa che mi ha lusingato e allo stesso tempo fatto riflettere, lui dice che se il mio “Suicidio” fosse uscito qualche anno fa, di certo avrei campato di rendita col primo disco com’è successo ad altri. Io questo non lo so, perché filosofeggiare sui casi della vita mi fa venire l’emicrania, però sono certo che se il disco fosse uscito nel periodo in cui stavo ancora ne Gli Inquilini, avrebbe fatto un botto più pesante. Congetture comunque. Al di fuori dell’ambito Hip-Hop non c’è andato molto ma ha aperto certe porte e ha costruito le basi per qualcosa di più grande, poi starà a me aggiungere mattoni e decidere l’architettura del palazzo; ma, qualsiasi cosa farò dopo, “Suicidio” resterà un tassello fondamentale per la mia crescita artistica.

RO: e a proposito del tuo prossimo progetto, “Suicidio fallito”, potresti anticiparci qualcosa? Ci saranno delle differenze radicali rispetto al lavoro precedente o dobbiamo aspettarci un album sulla stessa falsariga?
LM: non mi piace battere sugli stessi tasti e credo che un disco sia una fotografia di quello che vivi, ora la mia vita è cambiata, ho più rabbia, ho più lacrime versate, meno persone accanto, meno soldi e meno chiarezza sul mio futuro, ma ho anche molta più forza combattiva e decisione. Non posso non tenere conto di tutto questo. Il concept di “Suicidio fallito” sarà un po’ come Bushwick Bill posseduto dal Demonio che ingoia un acido! Metterò in evidenza la mia parte peggiore per far capire qual è la mia parte migliore, quella che agisce male perché stanca di soffrire. Sarà più autobiografico e per niente autocelebrativo. Il mio gusto si è anche allargato, quindi ci saranno diversi flavour di beat, ovvero più producer, anche se Peight curerà circa la metà delle basi.

RO: anche la collaborazione con Brain dei Fuoco Negli Occhi è attesa da tutto il pubblico Hip-Hop della Penisola, com’è nata l’idea di realizzare un disco assieme e come si è svolto il tutto?
LM: con Brain è stato tutto molto naturale. So che dire così non significa dire un cazzo, però è vero. Da un paio di reciproci complimenti s’è passato a fare un pezzo insieme. Ci siamo trovati molto bene e anche le nostre capocce mostravano affinità. Siamo diversi io e lui, sia nel gusto che nella forma, ma è proprio questa la forza dello psyco-mad duo, nelle diversità troviamo un equilibrio che alle volte è magia. Ora non vorrei autorecensire un progetto ancor prima della sua uscita, perché non sta a me dire ma sta a me fare. Anticipazioni ne do poche perché sennò Brain non mi fa più la pasta al burro, quindi mi limiterò a dire che il disco si chiamerà “Il settimo cerchio LP” e ha come base ispirativa il cerchio dei violenti nell’Inferno dantesco, ma tutto sarà più che reale e per così dire terreno. Sorry, mi scordavo di dire che chi non crede nelle potenzialità del duo manca del testicolo destro e ha il testicolo sinistro di dimensione inferiore a quella di una nocciolina…

RO: spesso ho letto del tuo scarso interesse (per essere eufemistici) riguardo alla piega che sta prendendo l’Hip-Hop a livello di suoni. Qual è la tua idea di evoluzione in merito?
LM: dipende sempre da che suoni. Ok, la House piace tanto alla figa, ma dipende anche di che House si tratta e chi ci rappa sopra. Le robe a buon mercato per avere 2 grammi di bimbiminchioni in più come pubblico mi fanno cagare più del cappuccino e la sigaretta mattiniera. Amo Tyler, The Creator, il suono G-Unit che mi accompagna ogni giorno in macchina, Kanye West è un grande musicista e Arab Muzic è un genio. In tutto questo, mai scordarsi di quello che ancora esce targato J Dilla. “Suicidio fallito” avrà dalla sua un sound molto vario, sono molto soddisfatto dei beat raccolti fin’ora.

RO: se parliamo di mcing il discorso è simile, immagino. Come dicevi, disapprovi chi dimentica che la tecnica sia la base di ogni buon testo, ma, in quanto a temi, quale pensi sia la strada da percorrere? Credi che l’autobiografismo sia una scelta sempre vincente o preferiresti una scrittura più orientata a narrazioni di fantasia e a puri sfoggi di stile?
LM: come sopra, credo che provare a mettere tutti gli ingredienti nel giusto dosaggio sia la cosa migliore, alle volte puoi essere più diretto, altre più metaforico, puoi scrivere di stile o di contenuto, queste sono scelte tutte rispettabilissime. Mi sono reso conto che per fare qualcosa che duri nel tempo c’è bisogno di cuore, ma tutti gli elementi devono stare al loro posto. Il flow e il concept. Bisogna fare bella musica e io, risentendomi, devo sia emozionarmi come anche piacere nel modo in cui ho rappato il pezzo.

RO: a questo proposito, nel tuo disco troviamo pezzi visceralmente autobiografici. Mi rendo conto che vadano a toccare esperienze – penso anche soltanto agli attacchi di panico – non molto semplici da esternare a un pubblico di sconosciuti, ma la decisione di scrivere testi di tale portata è stata difficile? O forse si è rivelata in parte terapeutica?
LM: macché difficile, tutto il contrario! Ho solo fatto parlare più l’addome che le corde vocali. “Suicidio fallito” avrà più parti autobiografiche, il Rap è un genere autobiografico. Anche quando si tratta di stile, forse, se si sa leggere tra le righe, si può capire altro, questo significa che anche in un pezzo di semplice intrattenimento si possono carpire dei lati caratteriali della persona. Non ho pensato al pubblico al quale mi rivolgevo, ho solo scritto quello che sentivo, tutto qua. Certi pezzi non li so proprio fare a tavolino, vengono da sé, non ci può essere niente di artificioso dietro. Molti che sentono possono non capire o anche prendersi a male, è comprensibile quando il contenuto è così personale. Tra l’altro, in genere la gente non vuole la verità, questa cosa del keep it real appartiene al passato da quello che vedo ed è oramai una leggenda. Se veramente ci fosse verità sai quanti rapper dovrebbero dire che il proprio conto in banca è pieno, che non hanno problemi di nessun tipo, che vivono coi soldi dei genitori e che la strada non la vedono nemmeno dalla finestra? Invece è l’opposto, qua è una lamentela continua, tutti sono presi male con vite difficili, sono di strada, sono cazzuti, ecc… Una vera pallonata sui coglioni, direi. Ma purtroppo fingere è sempre più facile di dire la verità, che alle volte è assai noiosa. La mia verità è che non vorrei questa verità eppure sorrido, ma c’è dietro sempre della insana dose di ironia.

RO: tornando a “Suicidio”, in “La mia cultura piange” dai senza mezzi termini il tuo parere sulla scena italiana. La tua valutazione è davvero così drastica? Non vedi un potenziale, delle capacità, una possibilità di cambiamento? La fine è davvero riassumibile, inevitabilmente, nel tuo verso <<volevate il mainstream? Ecco il risultato>>?
LM: ma certo che vedo un potenziale, non penserai che io sia l’unico buono, bravo e simpatico! C’è tantissimo potenziale, solo che i talenti non riescono a emergere. Sia chiaro, ora sto parlando da ascoltatore e da ascoltatore ti dico che c’è gente bravissima che non arriva a mille visite sul tubo, non suona mai proprio perché nessuno la chiama a suonare e non ha supporto alcuno. Il potenziale c’è, ma senza nessuno che lo spinge è un potenziale inespresso. Della serie: tutti si fanno i cazzi propri. Avrebbe più senso se qualcuno non parlasse di Hip-Hop perché questa mentalità non lo è.

RO: un mio dubbio personale. Tu, come tanti altri rapper, fai parte di una sorta di zoccolo duro, radicalmente fedele a un modo di fare Rap che affonda le radici nella tradizione. La posizione può essere ammirevole e, effettivamente, ha dei grandi vantaggi in termini di qualità dei dischi prodotti, ma non credi si corra il forte rischio di fossilizzarsi su stili che appartengono al passato, ignorando le possibilità evolutive possedute da questo mezzo?
LM: hai ragione, ma tieni conto che questo è anche il mio primo disco e volevo fosse così con i suoi pregi e i suoi difetti. “Suicidio” è un sfogo di chi non glie ne fotteva un cazzo di tanti bei discorsi, ma è anche solo un tassello del mosaico, una base di partenza, non un punto di arrivo o un livello su cui mantenersi.

B: spesso (intervistandoli) ho notato che molti mc’s non reputano così essenziale tenersi aggiornati su tutte le ultime uscite Hip-Hop, al contrario preferiscono coltivare gusti musicali anche di altro tipo. Tu da che parte stai e da cosa ti lasci ispirare? Ti ritieni ancora oggi un fan?
LM: oh, io sono un super fan, compro paccate di dischi, non necessariamente del presente, ma fondamentalmente se entro nel mio negozio di fiducia prendo dal Rap anni ’80 fino all’artista del momento e tra l’alto sento tutti i rapper italiani, anche il pischelletto sconosciutissimo che mi posta i pezzi su Facebook. C’è gente che sorprende alle volte, magari m’è capitato di pensare ma questo da dov’è uscito? Spacca! Inoltre, penso che l’Hip-Hop sia tenuto in vita dai super sconosciuti che lo fanno per passione, perché ci mettono cuore ancor prima che testa. Ho capito anche che se voglio che la gente mi ascolti, devo saper ascoltare la gente.

B: se l’Hip-Hop non fosse mai esistito, come avresti passato gli ultimi quindici anni e chi saresti ora?
LM: se l’Hip-Hop non fosse mai esistito, l’avrei probabilmente creato io per trovare uno sfogo e un motivo per cui sopravvivere.

B: domanda conclusiva di rito, ma non troppo. Sei in una fase di, chiamiamola così, iper-produzione: cosa ti aspetti da queste nuove prove, cosa cerchi ancora dal Rap e a che punto del percorso ti vedi?
LM: mi dovrete sopportare ancora per molto direi, sono all’inizio del mio percorso. Non so cosa aspettarmi e per scaramanzia a cosa vorrei arrivare non te lo dico… Posso dirti solo che vorrei fare qualcosa che rimanga nella storia.

B: grazie per la disponibilità.
LM: rispetto per tutti maniaci del Rap… Come me!