Vinnie Paz – Tortured In The Name Of God’s Unconditional Love

Voto: 3,5/4

E’ come sempre molto, molto difficile elargire un giudizio bilanciato sull’operato di Vinnie Paz, tanti sono gli elementi da mettere assieme, le singole considerazioni da estrarre, gestire al contempo l’affetto o meno che si prova verso il suo personaggio. Andiamo dunque dritti al punto, introducendo l’analisi di “Tortured In The Name Of God’s Unconditional Love“, quarta prova solista in altrettanti anni, sottolineando come anche quest’album segua fedelmente le linee guida stilate dai suoi predecessori: cinquantanove minuti di viaggio, diciotto pezzi di puro affronto alle sveltine odierne, contenuti tematici ingabbiati in argomentazioni ben note, agglomerati di citazioni culturali popolari, riferimenti derivati dall’islamismo, incroci tra sacralità, guerra e tortura, non ultimo un orecchio sopraffino per i beat.

Il plus di questo lavoro, al pari dei precedenti, è costituito proprio dal modus operandi del Nostro, perché da lui, alla fine, i dischi li si vogliono esattamente così come sono: la difficoltà nell’assegnare valutazioni nasce esattamente da ciò, ovvero dal riuscire a equilibrare correttamente la totale assenza d’innovazione, sperimentazione o evoluzione – sovente sinonimo di bilanci sufficienti, se non addirittura negativi – e il continuo desiderio di fare pressione sul tasto play man mano che l’ascolto diviene sempre più attraente, conseguimento che Vinnie ha sinora ottenuto con innegabile – e forse sorprendente! – puntualità. Non sarà illuminante nel modo di proporsi, per carità, e a quarantacinque anni, con una ricca e certificata attività da leader di due crew e un seguito che non accenna a diminuire l’entusiasmo nel sostegno, non ha certo senso modificare un’attitudine significativamente distintiva, peculiarità che ha funto da accattivante traino sin dal primo degli otto lavori a proprio nome – includendo nel conteggio anche l’EP “Carry On Tradition” – che costituiscono solo parte di una discografia ben più corposa.

The sicilian shooter conosce molto bene i suoi limiti e non prova il benché minimo interesse nel compiacere nessuno al di fuori di una delle fanbase più leali che ci si possa vantare di possedere. Conoscendo le premesse – ed essendo strettamente attaccati alla natura ideologica di questa frangia Hip-Hop – cambia quindi solo il peso soggettivo che ciascuno può assegnare alla ristretta circoscrizione dell’arsenale lirico, alla metrica metodica, pressoché inamovibile dalle schematiche predilette, alla scrittura che ben assembla rime a coppie, quartine o ricoprenti mezze strofe, all’immutabilità nell’utilizzo della roca tonalità vocale. Eppure, funziona tutto come deve o quasi, perché oltre a qualche doppio senso assai carino (<<I’m Armageddon, I’m the thunder maker/greatest threat to mankind since the undertaker>>) e ai pesanti ceffoni lirici che Vinnie sferra verso chi confonde questa Cultura per altro, erigendosi a fiero condottiero della purezza Hip-Hop anche per conto di chi l’ascolta, si riscontra una produzione potente, magnetica, la quale mai perde la sua omogeneità nel susseguirsi di tracce procurate da mani differenti ma raccolte e sequenziate all’interno di una regia precisa e perfettamente aderente agli intenti. La produzione tocca spesso e volentieri picchi stratosferici: è rude, grezza, cinematica, tenebrosa e, con la sola eccezione dell’immancabile manciata di beat composti con automatismi già noti, è davvero apprezzabile come un’ora di musica possa filare via così liscia e lasciare al tempo stesso un gusto tanto soddisfacente, preparando il terreno per ripetere l’esperienza a stretto giro.

Ci sono momenti durante i quali il gusto selettivo di Vinnie pare non avere eguali: episodi quali “Be Wise As Serpents” gettano fuori un misticismo intimidatorio e coinvolgente abbinandovi sezioni ritmiche classiche e profondamente muscolari, per poi rivolgersi a un tradizionalismo ancor più esplicito dinanzi alla precisa combinazione di un sample come quello di “Loro Piana Robes”, che – diciamolo apertamente – se non vi piace allora è meglio cambiate genere musicale alla svelta. Medesimo discorso per “Slight Rebellion Off Madison”, consueto singolone grezzo e infettivo molto ben architettato da C-Lance, altrettanto bravo a spaziare giungendo alla modernità più accentuata di “Faith Healer”. La digestione di momenti come “A War Chest And A Propaganda Machine” è invece un tantino più difficoltosa, se non altro perché la narcotizzata proposta di Muggs pare eccessivamente lenta per un flow così statico, smorzando il ritmo complessivo del pezzo; non funziona invece nulla del trionfalismo del tutto incolore utilizzato da Oh No sulla deludente “3 Levels Of Hikmah”, qualitativamente non all’altezza delle altre offerte in scaletta, alla pari di quella noia mortale che si rivela essere “Deadman’s Hand”.

Conoscere e ammettere i propri confini può portare a mosse determinanti per il successo di un progetto ed è così che ci spieghiamo la fortunata decisione di adornare il disco con un congruo numero d’illustri maestranze, fornendo quanto necessario per elevare un tasso lirico altrimenti troppo assestato sulla poca variabilità dei valori schierati in campo. “Invisible Ether” parte a bastonare da subito, Stu Bangas fa tremare l’impianto stereo con un boom bap granitico, Meth conferma una volta in più il teorema matematico secondo il quale suoni meglio fuori di casa centrando impressivi filotti (<<Staten in the buildin’, ain’t no accident/we might take a knee, amen, Kaepernick/I’m dope but I ain’t traffickin’/nah, ain’t no comparison/babblin’ rappers imaginin’ they battlin’ Eminem usin’ them bars, embarassin’>>), il tutto gira a meraviglia e l’highlight istantaneo è servito. Bene anche Kurupt, che non si sentiva così sciolto da un po’ e coglie la partecipazione in “Curse Of Canaan” per dimostrare che nella tanica c’è ancora benzina, anche se un coppino alla Jethro Gibbs, a causa di quel ritornello insulso, se lo meriterebbe tutto. Geechi Suede sottrae la scena con estrema eleganza metrica, infarcendo la ruvida “Heroin On A Harpoon” di allitterazioni e squisitezze in slang degne dei suoi Camp Lo, confezionando una prestazione così disinvolta da non poter pretendere che Vinnie vi stia congruamente dietro, impressione poi suggellata dalla pimpante scaltrezza del sempreverde Ras Kass, il quale condisce “Winged Assassins” con un wordplay creativo (<<gangstas on rooftops kickin’ Rap lines/my whole life look like Super Bowl halftime/my cousin touched more keys than Mozart/I’m talkin’ Ozark/season four Hawk>>), rendendo gradevole tanto una formuletta produttiva già risalente all’epoca dei Faraoni, quanto il gettone sprecato per l’inconcludente Boob Bronx.

L’abbinata con Fame e Billy è più opportunamente livellata, “Killpoint” morde con veemenza sputando generose dosi di energia su un beat che riporta ai bei vecchi tempi; anche se, a esser franchi, l’operato del mai del tutto convincente Vic Grimes appare più come un calco dell’immagine di Premier che non un’esecuzione personale, affermazione che non condiziona certo l’indubbia riuscita di un pezzo sul quale Guru avrebbe tranquillamente potuto buttar giù un nuovo prosieguo di “The Militia”. Non fa invece troppo clamore l’accoppiata ultraignorante con Twin Gambino in “Spoils Of War”, sulle cui atmosfere avremmo sentito volentieri Prodigy (va bene, ora basta con fantasie intrise di nostalgia…), spalleggiando l’idea che Paz renda infinitamente meglio accanto a colleghi a lui più affini come Ill Bill – che continua a confermare di aver perso qualcosa in agilità – e Goretex, nonostante “Father Yod” esibisca un’ovvietà musicale ai limiti dello sconforto.

Chiaro che funambolismi lirici e Rap all’ultima moda mai troveranno domicilio presso quest’indirizzo: la scuola di pensiero di Vinnie Paz è nota e apprezzabilmente incontrovertibile. Non rimane che registrare l’ennesimo must firmato da un artista che sa farsi apprezzare come pochissimi altri e al quale faremo presto spazio nell’apposito scaffale, arricchendo con immutata gioia la nostra collezione di casa sul tema.

Tracklist

Vinnie Paz – Tortured In The Name Of God’s Unconditional Love (Iron Tusk Records 2022)

  1. Pistol Opera
  2. Invisible Ether [Feat. Method Man]
  3. Faith Healer
  4. Be Wise As Serpents
  5. Heroin On A Harpoon [Feat. Geechi Suede]
  6. Curse Of Canaan [Feat. Kurupt]
  7. Rambo Knife
  8. 3 Levels Of Hikmah
  9. Killpoint [Feat. M.O.P.]
  10. Deadman’s Hand
  11. Winged Assassins [Feat. Boob Bronx and Ras Kass]
  12. A War Chest And A Propaganda Machine
  13. Gunpowder Plot [Feat. OT The Real]
  14. Slight Rebellion Off Madison
  15. Father Yod [Feat. Ill Bill and Lord Goat]
  16. Spoils Of War [Feat. Big Twins]
  17. Loro Piana Robes [Feat. Thirstin Howl III]
  18. Zafiro Añejo [Feat. Boob Bronx and Recognize Ali]

Beatz

  • Abraham Lilson: 1
  • Stu Bangas: 2, 6, 10, 15
  • C-Lance: 3, 14
  • Bear-One: 4
  • The Custodian Of Records: 5
  • Agor: 7
  • Oh No: 8
  • Vic Grimes: 9
  • Nickel Plated: 11
  • Dj Muggs: 12
  • C-Lance and Aaron Hiltz: 13
  • Beatnik Dee and Dj Rybe: 16
  • H. Potta: 17
  • Farmabeats: 18

Scratches

  • Dj 7L: 1, 8, 9
  • Dj Eclipse: 17
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