El Gant – O.S.L.O.

Voto: 3,5

Esiste una linea di demarcazione assai sottile tra il talento di un rapper da competizione e l’idea – spesso erroneamente automatica – che il medesimo sia in grado di realizzare un classico. Se da un lato è quantomeno ovvio che la formazione artistica debba incunearsi attraverso il confronto diretto per ragioni a rigor di logica legate alla natura stessa della Cultura, dall’altro la storia presenta numerose casistiche di attese che non si sono poi tramutate in registrazioni particolarmente memorabili, dal momento che l’infilare un’effervescente punchline dietro l’altra non equivale certo al possedere stoffa a tutto tondo.

Non servono ascolti particolarmente approfonditi per evincere le origini nell’educazione al Rap di El Gant, il quale si è fatto largo collezionando vittime sul palco laureandosi più volte campione del programma televisivo MTV Direct Effect, definendo un’esperienza pluriventennale che non si è mai tramutata in una discografia particolarmente ricca o significativa. L’uso frequente delle similitudini, l’estetica vigorosa delle barre, il cospicuo impacchettamento di sillabe all’interno delle stesse, il vigore energetico nell’espressività e la vorticosità di un flow perfettamente punteggiato tanto nel controllo del fiato quanto nell’enunciazione verbale, corrispondono infatti agli elementi tipici del freestyler capace di evocare rime per giorni, che si è fatto le ossa salendo un gradino dopo l’altro in quel vasto mare di opportunità che è New York City cercando di costruirsi credibilità in un circuito al quale – in un mondo ideale – andrebbe sempre dimostrato di poter appartenere.

O.S.L.O.“, il quale perviene a distanza di ben otto anni dal suo predecessore “Beast Academy“, centra con pochi dubbi l’obiettivo di delineare una visione artistica senz’altro più larga della mera competitività, andando ad asseverare il già ottimo lavoro lirico svolto col collettivo Jamo Gang, attraverso il quale Gant ha raggiunto un’esposizione mediatica finalmente degna delle abilità possedute. Il suo è un Rap meticoloso, durante l’ascolto si intuisce chiaramente la volontà di accontentare l’utente con costruzioni metriche eterogenee, reperendo soluzioni che vanno dall’assonanza ben piazzata alle mitragliate di termini alloggiati consecutivamente in rima multipla, riempiendo il rigo del block notes oltre la sua normale capienza senza particolari fatiche, fruendo semplicemente dell’accelerazione del flow, comprimendo le parole tra le misure con la sicurezza del paroliere d’esperienza e le accortezze tipiche di chi ha lavorato sodo sul perfezionamento delle proprie capacità. I testi sono molto tecnici ma non per questo monotematici: lo spitter newyorkese sa infatti svolgere la traccia tematica a occhi chiusi, lasciando che la metrica avvolgente sia uno strumento per giungere allo scopo del pezzo anziché una dimostrazione velleitaria fine a se stessa, utilizzando opportunamente il contesto solista per esporre materiale più personale e sensibile verso particolari emozioni o situazioni.

Ciò rappresenta al contempo un aspetto che El Gant fa tuttavia solo intravedere, sottolineando come il successo di un disco non sia totalmente racchiuso in un’esecuzione lirica impeccabile e come le decisioni esecutive possano esercitare un peso determinante nel complesso di un’operazione. Sono due gli aspetti da sottolineare da tale punto di vista: la prima riguarda il rapporto proporzionale tra i trentatré minuti di durata del lavoro e l’eccessiva infarcitura di collaborazioni esterne, qualitativamente soddisfacenti ma penalizzanti per la conseguente rinuncia a uno spazio personale importante; la seconda tocca da vicino l’argomento produzioni, dato che pure a seguito di numerosi ascolti permane l’impressione che il disco decolli solo nel momento in cui riesce a scrollarsi di dosso beat oggettivamente forzati nel loro suonare alla vecchia maniera (sebbene forniti da un paio di firme illustri), esplorando le sue vere potenzialità proprio in coincidenza dell’immissione di un boom bap più moderno, in alcuni casi trascinante.

L’album soffre difatti di una partenza molto lenta: strana la scelta di porre “Roar The Lions” in apertura, che ci sta dal punto di vista dell’aggressività lirica – la barra energetica è sempre vicina al massimo della tenuta – ma non certo per il lineare piattume dimostrato da sezione ritmica e basso, ritrovandosi a salvare esclusivamente gli entusiasmanti scratch di Grazzhoppa. “Leave It Alone” cattura l’attenzione per come svolge i suoi contenuti, passando tra critiche sociali e dimostrazioni di mancata coerenza con generosità nell’affluenza di sillabe, la composizione offerta da Premier veste però semplicemente un taglio e montaggio troppo automatizzato dei sample, dando l’idea di un assemblaggio frettoloso e scontato. Marco Polo non si danna certo per elevare le quotazioni di “Pageants”, che sembra più una riedizione malriuscita di “Scientifical Madness” – l’andazzo del piano è malcelatamente lo stesso – e scala peraltro di nota in maniera antiarmonica, lasciando il salvataggio del pezzo all’ottima compresenza di Ras Kass, come sempre ineccepibile nel coniugare sostanza concettuale e tecnica, oltre che titolare di un’innata chimica che lo appaia all’attore principale.

Tocca quindi attendere l’ingresso in campo di un altro membro della Gang, il creativo J57, per fornire la spinta giusta al decollo: il sound preparato per l’eccellente “Rubber Match” è minuziosamente organizzato attraverso sonorità minimali ma incisive, funzionali l’una all’altra, le secche pressioni del pad corrispondente alla cassa segnano una ritmica lenta, adeguatamente contrastata dall’estrema velocità dei piattini metallici che si inseriscono tra una scarica di assonanze e la successiva. Lo scenario celestiale preparato per “Beautiful Disaster”, unito a un testo toccante, sembra suggerire che un maggior coinvolgimento dell’esponente della crew Brown Bag AllStars avrebbe potuto significativamente variare gli esiti del disco, alla stregua di un pari utilizzo di atmosfere dall’impatto immediato come per la futuristica sci-fi che caratterizza “Aladdin”, la cui modernità allestita da Brainiac Beats non impedisce certo il movimento verticale del collo unito a quel senso di melodia perfettamente centrata. Tale tappeto si unisce a una prestazione lirica entusiasmante, di equivalente qualità tanto per Gant, che preme l’acceleratore per poi togliere il piede con stordente bravura, quanto per il suo ospite H3ro, attrezzato di personalità, cadenza e – perché no? – anche di una vaga somiglianza timbrica rispetto a un signore che non troppo tempo fa ha rimesso Compton sulla mappa.

Il fatto che non serva affidarsi esclusivamente alla melodia per aumentare l’efficacia del brano è una tesi rumorosamente avvalorata da “Chromed Out”, spettacolare singolo confezionato alla vecchia maniera da J57 con l’assistenza di Rob Viktum, inserendo un giro di campane sintetizzato su una batteria assassina e condendo il piatto con un terzetto di mc’s da paura (Ras timbra ancora il cartellino alla grande, poi chiude Planet Asia…). Peccato non si possa sostenere lo stesso navigando tra brani come “Eagle Talents”, nel quale il Rap è molto buono ma le musiche soffrono nuovamente di pochezza inventiva, o ancora “Avirex”, interessante per l’allineamento tematico testuale ma non adeguatamente supportata da quei due insipidi tocchi di piano che aumentano i punti di domanda sul beatmaking.

“O.S.L.O.” è dunque un album più che adeguato nel confermare l’ampiezza delle doti del suo autore, fugando ogni possibile incertezza sui ragionamenti eseguiti in apertura; l’affermazione risulta tuttavia vera solo in scala ridotta, proprio per la mancata proporzione tra la certificata bravura dell’artista e un album che non appaga sempre quanto vorremmo, considerato il sound non sempre all’altezza del protagonista.

Tracklist

El Gant – O.S.L.O. (No label 2022)

  1. Roar The Lions
  2. Pageants [FFeat. Ras Kass]
  3. Leave It Alone
  4. Aladdin [Feat. H3ro]
  5. Rubber Match
  6. Eagle Talents [Feat. Phase One and BobbyJ]
  7. Chromed Out [Feat. Ras Kass and Planet Asia]
  8. Nothing To Lose [Feat. Killah Priest and Lana Shea]
  9. Avirex [Feat. Innocent? and King Magnetic]
  10. Beautiful Distaster [Feat. Georgette]

Beatz

  • Motif Alumni: 1
  • Marco Polo: 2
  • Dj Premier: 3
  • Brainiac Beats: 4
  • J57: 5, 10
  • Ab The Audicrat: 6
  • J57 and Rob Viktum: 7
  • Bizzythowed: 8
  • Dj Jon Doe: 9

Scratches

  • Dj Grazzhoppa: 1
  • Dj Premier: 3
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