Apathy – Where The River Meets The Sea

Voto: 4

Il luogo preciso dove il fiume incontra il mare rappresenta l’origine della grande metafora dell’esistenza: la vita, quel piccolo corso d’acqua a volte così difficile da navigare, confluisce prima o poi nell’infinita vastità dell’oceano, dando forma al titolo scelto da Apathy per apporre il settimo sigillo su una carriera artistica d’ineccepibile qualità. “Where The River Meets The Sea” diviene quindi l’espediente per convogliare un vissuto di gioia e sofferenza all’interno della realizzazione più matura che il rapper di Willimantic, Connecticut, abbia mai pubblicato. Si tratta di una stratificazione di elementi figurativi, talvolta opposti, atti a descrivere la complessità degli stati d’animo recentemente attraversati, suggellati nel particolare dal periodo oscuro trascorso in seguito alla scomparsa del padre – già trattata in “The Widow’s Son” – così come dall’euforia provata per la nascita dei due figli. Aggiungiamo a ciò la nuova attività di agente immobiliare (benvenuto a bordo, collega!) e otteniamo la chiusura di un cerchio di consapevole crescita della persona, oggi investita da maggiori responsabilità familiari e cosciente del fatto che la redditività di uno studio di registrazione non possa più provvedere da sola al proprio e altrui sostentamento.

Non conosciamo il rendimento scolastico del giovane Bromley, ma sappiamo di certo quanto si sia applicato nello studio e nella conseguente applicazione della artform rispetto alla quale condividiamo con lui l’amore. Chad non ha mai mancato di seguire dettagliatamente crismi risalenti a epoche durante le quali i dischi considerati validi erano solo quelli supportati da un concetto forte, una lezione qui traslata su tutta una tracklist che sviluppa a dovere gli aspetti argomentativi centrali. E, come già accadeva in “Connecticut Casual” e nel relativo spin-off “Weekend At The Cape“, molti testi sono sorretti da elementi naturali come l’acqua e la sabbia, che oltre a fungere da stretto omaggio alla terra natia svolgono una determinante funzione figurativa per l’espressione dell’esplorazione di sé.

Le tempeste del passato, per quanto possano ripresentarsi, sembrano oggi meno travolgenti di prima, come testimoniato dalle importanti variazioni meteorologiche su cui si basa l’illustrativa “A Rainy Day In Connecticut”; alcuni tagli restano aperti senza sapere se sarà mai possibile cucirli (<<I’d give my right arm, just to call you on the telephone/I never had closure so I Rap about you too much>>), tentando di acuirne il dolore concentrando il pensiero su presenze che rianimano la prospettiva (<<I’m the compass, I’m your lighthouse that keeps you in check/I never let you go astray, I never let ya shipwreck>>). Ne ricaviamo due strofe di eccelso valore concettuale, in un contesto di spiccata musicalità per merito della scelta di campionare la delicatezza del Jazz, cuore pulsante in identica misura rispetto alla profondità del testo.

L’immaginario subacqueo di “Mermaid Music” vive di una regia esperta, a metà tra il romantico e il piratesco, l’ottimo beat composto da Stu Bangas – solo una delle due presenze esterne in produzione – riesce a calare l’ascolto nella corretta modalità interpretativa, mentre le liriche trasmettono passione e inquietudine tra una sottigliezza tecnica e l’altra (squisita l’assonanza tra <<floor sea>> e <<Florida Keys>>, facendoli sembrare termini quasi identici grazie alla pronuncia). Dato che le leggi non scritte del Rap raccomandano caldamente di rimanere in tema anche quando si ospita qualcuno, risulta senz’altro ben amalgamato il terzetto allestito con Anoyd e Chris Webby, accanto ai quali Apathy trasforma “Underwater” in una masterclass metrica ove i protagonisti tessono continui legami tra strofe accendendo la mitragliatrice a fuoco rapido; e di sicuro impatto emotivo non può che essere “Dream Sequence”, nella quale le strofe dell’attore principale e del collaboratore Snak The Rapper viaggiano all’unisono attraverso i continui parallelismi che innescano una reciproca condivisione e comprensione. L’ultima botta di sensibilità viene data dal denso ritornello della gradevole Bennett, che arricchisce ogni traccia in cui viene chiamata a presenziare.

La vecchia guardia resiste con classe, non solo con dignità. A conferma del fatto che il raggiungimento di una certa età non significhi dover necessariamente fare spazio al nuovo, arriva “Force Fields” dritta come una bastonata sui denti (l’inserimento del ritornello nel ritmo generale del pezzo è fantastico), rinverdendo le quotazioni della crew Hieroglyphics e coniugando l’estrema scioltezza di Apathy all’incessante – e del tutto privo di fatica – sillabare di Pep Love, nonché alla possente andatura di un Tajai in grande spolvero, approfittando di un Teddy Roxpin che sembra aver prelevato da qualche vecchio nastro dedicato ai viaggi interstellari il beat più stuzzicante del lotto. Altre prove concrete di coerenza argomentativa provengono da “P.S.E. (Public School Era)”, una rievocazione dei riottosi anni scolastici molto ben scritta assieme al sommo Styles P e all’intramontabile Lil Fame, con il solo neo di un allestimento musicale francamente noioso.

Preferibili sono le atmosfere desertiche offerte da “River Of The Night”, promemoria di un’auto-referenzialità enunciata tra rappresentazioni visive e citazioni storico/esoteriche (c’è da scommettere su un’ispirazione a cult movie come quelli della saga di Indiana Jones, vista l’indomita passione di Apathy per gli anni ottanta), e più classiche – nonché un tantino prevedibili, data la struttura del beat – nel singolo “We Don’t Fuck Around”, degno rappresentante della tipica morfologia del repertorio del Nostro, che dopo essersi applicato con dovizia negli studi col boom-box a tutto volume diviene serio candidato a una una cattedra universitaria nella facoltà di spitting da battaglia.

Come insegna la morale del gabbiano Jonathan Livingston, protagonista del quarto pezzo in scaletta e soprattutto del libro scritto da Richard Bach più di cinquant’anni fa, anche per Chad Bromley è giunto il momento di raccogliere e godersi i frutti delle sue decisioni anticonformiste, per quanto difficili siano state da prendere credendo in una carriera che persevera nel restituire al Rap underground tutte le emozioni ricevute in gioventù. Alla pari del giovane volatile, per il quale il volo era tutto, anche per Apathy l’Hip-Hop ha sempre rappresentato qualcosa di vitale: entrambi hanno trasgredito regole prestabilite (essere un rapper anziché avere un lavoro vero), finendo per essere esiliati (attraverso il pensiero di non combinare mai niente a causa dei propri ideali), ma venendo condotti alla saggezza (artistica) e all’amore (quello dedicato alla musica, come pure quello ricevuto dai fan in questi anni). Un’opera dedicata al gabbiano Jonathan che vive nel profondo di ognuno, dunque, confidando di poter solcare la calma di quelle acque evocate da “Remember The Night”, alla ricerca di una navigazione finalmente tranquilla, illuminata da un bellissimo cielo stellato estivo, con le preoccupazioni a debita distanza, incapaci di influire sul buon umore che tutti meritiamo.

Pronti a partire?

Tracklist

Apathy – Where The River Meets The Sea (Dirty Version Records 2021)

  1. Headwater
  2. Where The River Meets The Sea [Feat. Bennett]
  3. The Ocean
  4. Jonathan Livingston Seagull [Feat. Brevi]
  5. We Don’t Fuck Around
  6. P.S.E. [Feat. Styles P and Lil Fame]
  7. Underwater [Feat. Anoyd, Chris Webby and Brevi]
  8. River Of Light
  9. Force Fields [Feat. Pep Love and Tajai]
  10. A Rainy Day In Connecticut
  11. Mermaid Music
  12. Dream Sequence [Feat. Snak The Ripper and Bennett]
  13. Remember The Night [Feat. Hayze]
  14. The Mouth

Beatz

  • Apathy: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 10, 12, 13, 14
  • Teddy Roxpin: 9
  • Stu Bangas: 11

Scratch

  • Dj Tone Spliff: 5, 6, 10
  • Teddy Roxpin: 9
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