Intervista a FFiume e Clas K. (31/10/2018)

Un’intervista comincia sempre – o quasi – facendo le dovute presentazioni. In questo caso le salto a piè pari, come dicono quelli che parlano bene, un po’ perché si auto-raccontano egregiamente i due diretti interessati, un po’ perché tutto quel che occorre sapere – se non lo sapete già – è all’interno di “Underlife”, che vi invito a mettere in play durante la lettura.

Bra: la prima domanda che mi viene in mente, di fronte a un mc classe ‘75 che affianca un produttore classe ‘91, è come sia possibile che due generazioni in teoria così distanti – musicalmente parlando – stiano tanto bene assieme. Come ci siete riusciti?
FFiume: la cosa che ci ha fatto conoscere e ci ha legato è la musica, quella bella e senza tempo. E un comune sentire rispetto a questa, un gusto che condividiamo. E certe cose non hanno età, quindi penso sia tutto lì…
Clas K.: esatto. L’avvicinamento artistico, ma anche umano, è stato naturale, perché nonostante le età differenti abbiamo scoperto di avere molti interessi musicali comuni – e non parlo solo del Rap. Certi groove e un certo tipo di atmosfere toccano le stesse corde a entrambi. Per esempio, siamo tutti e due grandi estimatori dei Gang Starr, ci piace il Jazz, il Funk, collezionare dischi, sgamare i campioni. Certe cose vanno perdendosi perché i tempi cambiano e determinati discorsi non interessano più alle nuove generazioni, o almeno non quanto prima; io però sono del ‘91 e ho avuto un approccio e un interesse nel Rap tale da trovare poi affinità con un veterano come lui. Non parlerei di un approccio proprio scolastico, però c’è stata quella genuina curiosità di scavare, di guardarmi indietro, ma anche di cercare il particolare, curiosità che è stata sicuramente un elemento chiave della sua generazione e che quindi ci accomuna. Personalmente, poi, mi piace spaziare molto, negli ascolti così come nel lato creativo della faccenda, nel senso che un giorno mi capita di ascoltare Travis Scott e il giorno dopo Dresta e B.G. Knocc Out, un giorno mi va di fare boom bap e un altro faccio un beat Trap, o Grime, non mi creo problemi o infrastrutture mentali, faccio solo ciò che mi piace.

B: il tutto nasce in scia a un remix di Clas K. di “Nelle case”, brano poi inserito nella raccolta “#TheIrhuExperienceRMX”; a chi dei due è venuta l’intuizione di coinvolgere l’altro per un progetto collaborativo più ampio?
FF: ho proposto io, formalmente, ma ho sfondato una porta aperta. E’ stato tutto molto liscio, diciamo. Siamo due persone diverse, identiche però in quanto a meticolosità, maniacalità del dettaglio e prudenza nell’aprirsi a collaborazioni, quindi la quadra è venuta abbastanza presto. Ci siamo confrontati e gradualmente fidati l’uno dell’altro, completando una visione comune con una risultante nuova per entrambi.
C: dopo che FFiume aveva iniziato a mostrare interesse in ciò che facevo, mi sono preso un lasso di tempo per creare qualche beat e mandarglielo, però non avevo affatto idea di realizzare un disco o un progetto; l’intenzione era quella di fare uno, due pezzi così. L’idea del disco è stata presa poi di comune accordo quando pian piano abbiamo capito che c’era quella coerenza a livello di sound che rendeva possibile la raccolta dei pezzi realizzati all’interno di un progetto unico. Non è stato studiato a tavolino, la finalizzazione ovviamente ha richiesto un po’ di ragionamento face to face, ma non l’esecuzione vera e propria: è stato un lavoro di getto, in totale spontaneità, ci siamo lasciati trasportare dal flusso creativo.

B: piccola parentesi. “The Irhu experience” è ancora nel mio stereo a un anno e mezzo dalla sua uscita: nel realizzarlo, intuivi già il potenziale di un lavoro che di fatto ha ottenuto apprezzamenti unanimi?
FF: be’, grazie, mi fa molto piacere. “TIE” è stato uno sforzo senza precedenti per me: l’ho iniziato a scrivere in un momento pesante della mia vita, mentre la malattia portava via mio padre, e l’ho finito dopo la sua morte, prima di lasciare la Francia per trasferirmi a Londra. Ha sedimentato per diverso tempo prima di uscire, direi che ha avuto un iter molto tortuoso. Nel realizzarlo mi sono lasciato andare alla scrittura e basta, al confronto artistico con Irhu, senza pensare ad altro. Non mi sono mai preoccupato di un certo potenziale, come dici tu, forse qualcosa mi è balenato prima e dopo l’uscita, ma boh… Nel realizzare un lavoro non penso agli apprezzamenti altrui, la conditio sine qua non è che io e chi ci lavora ne siamo soddisfatti, è il nostro quality control che conta, con tutte le difficoltà del caso. A volte, mentre fai un album, perdi di lucidità, a discapito di cose che invece sono valide – e viceversa. Generalmente, ho con me il mio entourage ristretto, gente di cui mi fido molto: se piace a noi, siamo a cavallo.
B: e noti delle aderenze, delle similitudini, tra quest’ultimo e “Underlife”?
FF: entrambi sono nati spontaneamente dall’amore per la musica che accomuna me, Irhu e Clas. E nel farli ci siamo fidati delle reciproche intuizioni. Per il resto, tempi, modi, suoni, liriche, concetti e risultati diversi.

B: tornando invece al presente, considerate le circa mille miglia che vi separano – l’uno vive a Roma, l’altro a Londra – l’album è stato concepito a distanza o vi siete ritrovati assieme in studio? E quanto tempo vi è occorso tra ideazione, registrazioni e rifiniture varie?
FF: a distanza, via chat, ognuno nel suo studio, con uno scambio d’ispirazioni, idee e informazioni pressoché costante. E birre a Roma, prima della fase di mastering.
C: ci siamo incontrati a Roma che il mix dell’album era praticamente terminato e doveva solo essere masterizzato, per il resto è stato un lavoro realizzato a distanza, gli mandavo i beat, lui registrava, mi rimandava le separate delle voci, io mixavo in studio da me e rimandavo a lui il tutto. Sono abbastanza abituato a questo modus operandi, avendo lavorato così anche nei primi progetti con Revo (che abita a Gorizia) e con altre persone nel corso degli anni. E’ un modo che può risultare complicato se la persona dall’altra parte ha delle idee molto diverse dalle tue, ma se c’è affinità, come in questo caso, tutto fila liscio; e infatti dalla produzione del primo beat alla consegna del master definitivo saranno passati sì e no quattro mesi; che – considerando le vite che facciamo, non totalmente dedicate alla musica, con gli impegni quotidiani e le difficoltà del caso – è abbastanza poco.

B: la scelta del formato breve è casuale o risponde a un necessario adattamento alle attuali modalità di fruizione, orientate principalmente verso lo streaming?
FF: no, non è casuale… E’ una visione artistica, che casualmente incontra e combacia con le attuali modalità di fruizione, ma non nasce in base a queste. Cercavamo immediatezza.
C: personalmente, credo che oltre quelle sette tracce avremmo rischiato di ripeterci o sforare, ogni pezzo ha la sua funzione e rientra allo stesso tempo nel disegno generale. Dopo la settima traccia abbiamo semplicemente detto ok, basta, non c’è molto altro da dire. Questo progetto è come un cortometraggio, altre scene avrebbero solo allungato il brodo senza dare ulteriori sviluppi alla trama.

B: ascoltando “Underlife” mi vengono in mente concetti – ahinoi – un po’ desueti come stile e attitudine; eppure non si tratta di un album congelato nel passato, nostalgico nel senso negativo del termine. Diciamo invece che è celebrativo di un certo modo d’intendere il groove Hip-Hop e il Rap in quanto tecnica e linguaggio; che tipo di emozioni vorreste veicolare con l’EP e quanto un pubblico non specializzato ritenete riuscirà a coglierle?
C: di sicuro, se ti piace un certo tipo di boom bap, ascoltandolo potrai cogliere dei particolari e delle connessioni più o meno nascoste, sia a livello di Rap che di beat, o apprezzare meglio il groove; ma in generale, usando lo stesso paragone di prima, da ascoltatore considererei “Underlife” come un film, magari d’autore (per FF eh, non per me…), un po’ ricercato, un film tenebroso e a tratti malinconico. Te lo guardi, poi magari dopo che lo vedi ti fa schifo, un film non deve piacerti per forza, però magari se ti piace, lo consigli a un amico; o meglio a un’amica, direbbe FFiume…
FF: conoscenza di sé, spirito di sacrificio e adattamento, tempra mentale e tutto il set del b-boy evoluto nella giungla urbana. Stile e attitudine, appunto. Manco dovrei dirtelo, o starne qua a parlare… Un pubblico non specializzato coglierà quel che coglierà. Qualcuno ci vedrà una certa amarezza, qualcuno la cupezza degli scenari, le troppe parole usate, la mancanza di strutture tipiche del Pop… E ti sto riportando commenti che mi sono stati fatti da non adepti, dopo un primo ascolto. Oppure capiranno altro ancora, vai a sapere. Non ho mai fatto musica spiegona, non m’interessa, non mi preoccupo di quanto o cosa possa o debba cogliere quel pubblico lì. Ho scelto da un pezzo di non doverci pagare l’affitto col Rap; e credo sia impossibile piacere a tutti, o essere capito da tutti, altrimenti forse farei altro e starei altrove. Per il resto, dici bene: questa roba non è congelata in niente. E’ qui, adesso. A chi pensa che sia nostalgia, non avete capito un cazzo. Da ieri. Come quando sento discorsi tipo eh no, l’Hip-Hop è morto, il Rap non va e su e giù… Vaffanculo. Non funzionerà a te perché sei un preso male o ti sei fatto il viaggio sbagliato. O tutt’e due insieme. Io sto benissimo e come me tanti altri che fanno roba potente, l’ascoltano e la spingono; e se noi stiamo bene, l’Hip-Hop è a posto. Se dall’Hip-Hop ti sposti e fai altro, liberissimo di, ma non menarla. Qualunque cosa tu faccia, falla e stai bene tu. C’è un sacco di gente che se la vive male, con le capate più strambe: datevi pace. Non ho alcun rispetto né simpatia per chi sputa nel piatto in cui ha provato a mangiare, senza successo, per un motivo o un altro. Non stimo chi, quando smolla, sminuisce la mossa di chi vuole andare avanti per la sua. Tanto, il vostro incredibile Pop sound fa cagare ed è riciclo di stilemi, la cassa dritta at work è morta da un pezzo ed è ancora riciclo di stilemi, le tastierine, i synth e il cantautorato finto Funk come sopra e peggio ancora. Nessuno dà nulla di nuovo a nessuno, vi fate le stesse pugnette di prima, peggio di prima, e le rinfacciate pure agli altri. Siete degli sfigati, puttanelle tristi in cerca di attenzioni; lo eravate prima e lo siete peggio adesso. Fate quello che vi fa star bene e ciao. Ma state zitti quando parlate di Hip-Hop, dai…

B: liricamente abbiamo svarioni, storytelling, intermezzi sentimentali (ovviamente alla tua maniera); raccontaci come articoli il processo di scrittura e in che modo abbini un testo a una strumentale.
FF: non esiste il modo. Ho diversi approcci. Di solito parto sempre dalla musica, dalla strumentale. Ascolto e se mi prende inizio subito a scriverci di getto, come successo per pezzi come “Margot” o “Alieni”, oppure a farci freestyle, anche solo scat, mi prefiguro un approccio metrico, ci gioco, immagino accenti e pause. Poi l’atmosfera mi porta alla mente visioni, temi; e da un concetto o da un gioco di parole, sviluppo il testo. Altre volte ho degli appunti, delle bozze lasciate lì, delle tracce tematiche da sviluppare e, se collanti all’atmosfera, arrangio le metriche al beat, adatto testi e limo, arricchisco, stravolgo. Dipende.

B: le tue strofe abbondano di allitterazioni, trick fonetici, significati nascosti, rime posizionate dove più ti pare – a me ricordi, con le necessarie approssimazioni, sia Neffa che Dj Gruff. Diciamo che vieni da una scuola che dava pari importanza sia al cosa che al come (talvolta magari preoccupandosi anzitutto del secondo…): da osservatore, da utente, che approccio riscontri nel Rap dei millennial e quanto ti senti lontano o vicino alla loro esperienza artistica, in rapporto così diretto con i social e l’informazione liquida?
FF: …mmmm… Mi paragoni ai migliori ad averlo fatto in Italia. Da una parte, grazie: quelli per me sono sempre stati i livelli da raggiungere, gli uomini da battere. Dall’altra, non lo so; il paragone trovo sia limitante, per chi lo propone e per chi lo riceve. Non mi interessano le etichette, però aiutano, mi rendo conto, a inquadrare qualcosa. Il mio modus operandi è mio, i trick fonetici sono figure retoriche della prosodia e della metrica più classiche, il mio fare era ed è verticale, cerco di andare in profondità alle cose, non fermarmi alla superficie. Sono un Rap scholar da quando avevo tredici anni, suppergiù, prima da ascoltatore e poi da mc. Vengo dalle jam, dai freestyle inna sound system stylee tutta la notte a pazzi, dalle sfide coi più grossi e bla bla bla. Ovviamente, sono molto lontano dall’esperienza millennial in sé, ma non mi faccio problemi dove trovo dell’autenticità. Il rap dei millennial… Ma lo fanno il Rap, questi? Se lo fanno, il Rap è il Rap, anche se oggi c’è molta confusione al riguardo. Tra Pop, Trap, Hip-Pop, vattelappesca. Di base, il fatto è che se vai a tempo, fai le rime, ti esprimi a modo tuo, non canti, usi bene la voce, fai quella roba lì. Se hai una cultura e dei valori, li difendi e diffondi, approfondisci, cerchi una tua via originale e di cuore, non abbiamo nessuna differenza, al di là dell’anagrafica o del sound. Altrimenti, parliamo di nulla. Non è un discorso generazionale, la stessa cosa posso dire di coetanei miei, da cui disto abissalmente. Mi sento vicino alle esperienze artistiche di ragazzi che vengono fuori adesso, se sono autentiche. Le supporto, anche. Se è vero che i mezzi a loro disposizione sono più abbondanti rispetto al passato, non è necessariamente sempre un bene o un male. La differenza, però, non la fa solo lo strumento in sé, ma come lo usi, la stessa esperienza artistica varia in base al modo in cui ti poni nei confronti dell’arte. Se ci sono energia e amore, arrivano a chi ascolta e si azzera il resto. Ad esempio, recentemente ho avuto il piacere di collaborare al nuovo album dei Float A Flow: loro sono super e sono millennial, ma le differenze tra noi ci sono e non ci sono e comunque mi arricchisce come roba. E’ un fil rouge che lega ed è dato dalla Cultura, appunto, e dalle sue declinazioni.

B: il mood dell’EP è scurissimo, notturno, una vera e propria soundtrack che al tempo stesso accompagna e ispira le liriche di FFiume (parafrasandovi: <<un Blues che sa di luminol>>). Nella preparazione dei beat hai preso come riferimento le sue uscite precedenti o hai cercato un percorso che fosse unicamente tuo?
C: da ascoltatore, in generale, ho sempre associato FF alla parola Funk, tutti i suoi precedenti lavori trasudano Funk, è inevitabile. “Underlife” ha quindi del Funk in mezzo, ma è un retrogusto più che un sapore vero e proprio; “Underlife” è principalmente Jazz ed è molto cupo, non so esattamente come mi sia venuto fuori, sarà che ho sempre avuto una propensione per le atmosfere notturne e malinconiche. Se non facessi Hip-Hop di sicuro farei Trip Hop (anzi, penso arriverò a fare anche quello!). La voce e lo stile di FFiume hanno sposato alla perfezione queste atmosfere, ma il tutto non è stato molto studiato: ho fatto i beat di getto, mi è venuto in automatico e solo durante la realizzazione, mentre ricevevo le strofe, mi sono reso conto che in un certo senso ci avevo preso, ma anche che lui in precedenza aveva fatto roba decisamente più allegra.

B: e nella scelta dei sample ti sei mosso in un genere specifico? Te lo chiedo perché il risultato finale è davvero molto omogeneo.
C: senza andare troppo nel dettaglio, ti dico che a me piace molto mischiare, quindi la risposta è no, c’è di tutto e di più. Anzi – e questo è un piccolo segreto – tutti i beat dell’album sono composti da almeno due sample diversi tra loro.
B: essendo a sua volta un beatmaker esperto, FFiume ha fornito dei consigli, delle indicazioni, o è rimasto sempre nell’ombra, limitandosi a pescare tra ciò che riceveva?
C: devo dire che mi ha lasciato fare. E gli sono grato per la fiducia. Anche per quanto riguarda il mix mi ha dato parecchio retta, il che è stato cruciale perché il tipo di mix, come è giusto che sia, ha molto condizionato la riuscita dell’album.
FF: fammi solo dire una cosa. Io sono un maniaco, Clas è uguale o peggio, forse. Perfect match. Ha un tocco che ho riconosciuto e rispettato da subito; e, visto il comune amore per il suono, ho saputo che avrei viaggiato sul velluto. Aspetto con ansia il vinile.

B: ecco, veniamo proprio ai vari formati che avete scelto. Sarebbe interessante poter ascoltare anche la versione strumentale del disco – ad oggi, se non erro, disponibile solo in un’edizione limitatissima su tape (venti copie: siete dei sadici!); pensate di pubblicarla in un prossimo futuro?
C: in realtà, sia la versione in cassetta che quella in vinile hanno le strumentali al loro interno, quindi chiunque fosse interessato ai beat di “Underlife” può acquistare uno dei due formati. Anzi, solo il vinile perché la cassetta è già andata sold out

B: come dicevamo, “Underlife” è un disco profondamente Hip-Hop, ovvero ci sono i breakbeat, gli incastri più articolati, i cut su Guru che dice <<my religion is Rap>>. Zero ibridazioni, in un periodo caratterizzato da – piacciano o meno – sfumature poco definite e accostamenti spesso azzardati; da questo punto di vista, gli “Alieni” dell’omonimo brano potreste essere voi due?
C: anche. Seppure, in realtà, il ritornello di “Alieni” viene da molto prima di “Underlife” (ma questo lo faccio spiegare a FFiume, che sicuro sa la storia meglio di me). Comunque, anche quella è un’interpretazione… Siamo arrivati a un punto in cui se fai roba classica, se fai Rap col punto dopo, sei considerato controcorrente o fuori dal mondo (dei canoni moderni): un alieno. Poi Guru è il mio rapper preferito e anche il suo, non compare a caso nell’album ma è stata una sorta di citazione necessaria. E non ricordo chi disse che le frasi più scratchabili sono quelle di Guru, però come dargli torto?
FF: Clas, questa è una messa in mezzo… Gli alieni siamo noi, chiaro. “Alieni” rispetto a un sistema di cose. All’appiattimento odierno, sicuramente. Originariamente, il ritornello e il concept stesso nascono sul finire del 1994 da una routine live mia e di Stefano Cuzzocrea, allora noto come Jah Love MC aka Spraal Fenomenal. Pilastro della scena musicale underground calabrese prima, giornalista e critico musicale di caratura nazionale poi. Un fratello. Alieni era anche il nome del nostro crew. Lugi ci aveva dato un po’ di beat e noi improvvisavamo a bestia, girando su quelli e dei breakbeat Funk classici. Era tutto molto spontaneo e non ebbe mai un’uscita propria, anche perché, quando eravamo pronti per registrare, il Danno uscì con la roba sono l’alieno su un pezzo (si riferisce a “Strappali e scuotili” – ndBra); casualità e rosicata per noi, che decidemmo di accantonare l’idea, concentrandoci su altro. Il tutto però ci è sempre rimasto in capa, era roba nostra, viaggi nostri, Funky di base, nulla a che vedere con la roba di Simone – ma l’aveva detta prima lui… Anni fa ne parlavamo, di ritirare fuori concept e ritornello, poi Stefano purtroppo è morto. La storia è che il loop che avvia il pezzo su “Underlife” mi ha immediatamente folgorato, perché mi ha riportato alla mente uno di quei break classici su cui rappavamo e, registrando il take, ho iniziato a canticchiare, così, per scherzo, ma poi mi sono detto sai che c’è? Sticazzi, ferma, cambio tutto… E così ho fatto. Poi fa ridere come cosa, ma ultimamente Simone ha riusato l’allegoria dell’alieno sulla combo con Zoù per “Siamo a casa, pensa la coincidenza…

B: per FFiume si tratta tra l’altro dell’ennesima combo all’interno di una discografia cui manca appunto il tassello solista vero e proprio – perché anche un titolo quale “#Oreeore”, dove eri sia al microfono che alle macchine, in concreto è il frutto di un impegno collettivo. Come te lo spieghi?
FF: non me lo spiego. E manco me lo chiedo. Faccio quel che faccio seguendo il feeling. Fare i dischi da solista dove si produce tutto e si rappa tutto è anche un po’ una rottura di coglioni, in grande onestà… Il confronto con gli altri arricchisce; e poi io cerco il sound, sono il mio producer nel senso che scelgo su cosa suonare e come, faccio musica a modo mio. Quando trovo dei producer con cui scambiare vibes, arrivo dove da solo non arriverei, o non con lo stesso mood, e non mi creo tutti ‘sti problemi. Poi, se proprio vuoi saperlo, un lavoro solista vero e proprio, tutto prodotto e diretto da me, uscirà, esiste già e vedrà la luce subito prima che io smetta col Rap. E l’uscita si sta avvicinando…

B: speriamo ci voglia ancora un po’! Ma è un discorso che – magari per ragioni differenti – vale grosso modo anche per Clas, che conosciamo fin da quando si firmava Dj Classick e si faceva notare nel gruppo Ndrliners. In neppure dieci anni hai collezionato un discreto numero di apparizioni e ora affianchi un veterano che ha cominciato a fare musica quando tu eri un bambino. Cosa ti ha insegnato la collaborazione con FFiume e cosa stai preparando in questo momento?
C: da Ndrliners è cambiato parecchio, oltre alla caduta di tre lettere dal mio vecchio nome. Ho avuto la possibilità di muovermi di più nella mia città, anche a livello di live, sono entrato in nuove realtà, ne ho create o ho contribuito alla creazione di altre. Quella con FF è stata un’avventura nata casualmente, che mi ha piacevolmente sorpreso e mi ha dato una grossa possibilità di esprimermi. Ai tempi di “The Folto Caruso ensemble” ero suo fan e mai avrei pensato di arrivare a chiudere un album con lui. Ho sicuramente imparato a riscoprire un lato di me che era un po’ in letargo per scelta, ma mai defunto; ho convogliato tutto l’amore per certi dischi classici e per certe sonorità che mi hanno accompagnato per anni in qualcosa di concreto e originale, con una persona che condivide con me determinate idee – oltre che essere un bravo artista. Al momento, sto producendo alcuni amici della mia zona, i Barflies, attivi oramai da tre anni: è in arrivo il disco solista di uno di loro, Waits, si chiama “L’urlo”. Più altri progetti paralleli. Con il mio gruppo, i Fool Effect, stiamo finalizzando il mixtape “Pyramid schemes vol. 1”, in più sto contribuendo a una serie di lavori, alcuni dei quali legati a un altro collettivo di amici, la Boondock Fam.

B: una pura curiosità. Da appassionati di Hip-Hop, quali sono i vostri tre dischi preferiti in assoluto?
FF: impossibile darti tre preferiti, troppi ce ne sarebbero da menzionare, altrettanti e più a cui farei torto. Ti dico i tre che mi hanno aperto il cervello e cambiato la percezione da pischello: “People’s Instinctive Travels And The Paths Of Rhythm”, “Funky Technician” e “Daily Operation”.
C: variano parecchio, però ora come ora mi vengono in mente “Efil4Zaggin” degli NWA, “Moment Of Truth” dei Gang Starr e “Music To Driveby” dei Comptons Most Wanted.
B: e invece qual è il titolo di quest’anno che nessuno dovrebbe perdersi?
FF: “Bulletproof Luh” di Mach-Hommy.
C: “Hell Or High Water Vol. 1” dei City Morgue.

B: nonostante le ovvie difficoltà logistiche del caso, tenterete di portare “Underlife” sui palchi?
FF: indubbiamente sì.
C: ci stiamo mobilitando, credo che nei prossimi mesi avrete delle novità al riguardo. Restate connessi.

B: spazio libero per dire quello che vi pare – saluti (come si faceva una volta), offese, pubblicità ingannevoli, intenzioni di voto, messaggi subliminali…
C: saluto Revo, i Barflies, i Fool Effect e my man Zbuk. Ascoltate “Underlife”, se vi piace prendetevi il vinile e state bene. Grazie a Rapmaniacz!
FF: okay. Saluto e ringrazio Bra e RMZ per il supporto e per l’opportunità di raccontare e raccontarci. E ve lo dico chiaro: uno non vale uno. Fanculo pentastellini leghisti populisti e fascisti di ogni sorta. Viviamo tempi di grande povertà morale e culturale. Esistono delle differenze e non vanno negate o combattute; al contrario, vanno valorizzate. Da queste e dal confronto positivo nascono nuove idee, arricchimento culturale. Studiate, approfondite quello che vi piace e pensate liberamente, cercando di stare bene. Se non conosci il passato non conosci il futuro, diceva Bob Marley. E ‘sta cosa è stata la mia salvezza da sempre. Pensateci. Pace a voi. E un bacio a tutte le mie e le vostre amiche.
B: un grazie di cuore a voi!

Foto di FFiume per gentile concessione di Marco Scozzaro.