Intervista a El Da Sensei (31/03/2023)

Venerdì sera, fuori è ancora chiaro e le temperature cominciano a essere finalmente accettabili: sono appena arrivato a casa dopo il lavoro e preparo immediatamente il portatile per la chiamata Zoom, tra poco arriverà El Da Sensei! Sono trascorsi quattro anni e mezzo dalla nostra ultima chiacchierata, lo ricordo molto disponibile ed entusiasta di poter parlare di Hip-Hop, in particolare con qualcuno di così distante a livello geografico; nella precedente occasione ci eravamo focalizzati sulla sua carriera solista e sul possibile ritorno degli Artifacts con un nuovo album, del quale ci aveva fornito un’anticipazione: non solo era effettivamente in corso di lavorazione, ma era stato deciso che a produrlo sarebbe stato nientemeno che Buckwild, leggendario componente della crew Diggin’ In The Crates. Prendo spunto proprio da ciò per formulare la mia prima domanda a Elliot, il quale è appena uscito dalla palestra (I’m tryin’ to be regular, mi dice) e, mentre mi parla, cammina spedito verso un’auto dove qualcuno lo attende per dargli un passaggio, con il cappellino all’indietro, due cuffie enormi e zainetto sulle spalle. Pieno stile b-boy di una volta, insomma…

Mistadave: El, l’ultima volta che ci siamo parlati mi avevi accennato alla lavorazione del nuovo e attesissimo disco degli Artifacts. Era il 2018 e l’album è poi uscito nel 2022. Cos’è accaduto nel frattempo? Come mai ci sono voluti quattro anni prima che il lavoro venisse pubblicato?
El Da Sensei: caspita, ne è passato di tempo da quando ci siamo sentiti… Ad ogni modo ci abbiamo messo così tanto perché in quei quattro anni io e Tame abbiamo fatto parecchi live in tour, partecipato a tante collaborazioni e, per coordinare adeguatamente la creazione del nuovo disco, ci siamo dovuti incastrare l’uno con gli impegni dell’altro, cosa non sempre facile. E’ stato un processo molto lungo ma è così che dev’essere, ogni cosa deve andare al suo posto e avere il suo tempo, un po’ come quando ho registrato con Sadat X (si riferisce al progetto “XL” – ndMistadave), dove ci sono voluti sette anni prima di finalizzare l’album (ride – ndM). In realtà, la fase di registrazione è stata molto veloce, a portare via più tempo è stato tutto il processo creativo a monte, ci è voluto parecchio ma siamo stati molto contenti del risultato finale. Poi c’è stata tutta l’attesa per la realizzazione delle copie fisiche, che mi ha particolarmente frustrato perché oggi capisco i meccanismi dell’industria musicale molto meglio di quando ho cominciato; pensa che quando abbiamo iniziato il processo di stampa ci siamo dovuti dividere tra la Germania e l’Olanda (il disco è stato pubblicato dall’etichetta tedesca Smoke On Records – ndM) e tutto è diventato più complicato.

M: cosa vi ha portato a scegliere Buckwild quale unico produttore del disco?
E: la connessione principale è derivata appunto dall’etichetta con cui stavamo lavorando, che era la stessa con cui Buckwild stava realizzando tutta una serie di progetti suoi. L’etichetta ha deciso di metterci assieme e la cosa aveva perfettamente senso, perché Buckwild è parte integrante della storia degli Artifacts, dato che ha prodotto il nostro primo singolo, “C’mon Wit Da Git Down“, e firmato altri due brani sul nostro album d’esordio (Attack Of New Jeruzalem” e “What Goes On?” – ndM), per cui abbiamo deciso di estendere il tipico sound D.I.T.C. a tutto il disco. Buck aveva inoltre prodotto un mio pezzo solista, “Live Shit“, che aveva il featuring di Big Kwam, Diamond D e Pacewon, per cui è un rapporto che ho mantenuto vivo nel corso del tempo.
M: tu e Tame avete registrato assieme in studio?
E: certo, abbiamo registrato tutto nel mio seminterrato, niente studi professionali o roba del genere. A questo proposito, mando un grande shout-out al nostro grande amico Big Joker che si è occupato di tutte le registrazioni per noi – e devo dire che non mi sono mai trovato così tanto a mio agio come stavolta, proprio perché ero a casa mia, in un ambiente conosciuto.
M: avevate già i beat prima di mettere assieme i testi?
E: sì, Buckwild è passato un giorno da casa mia e aveva le idee molto chiare. I beat che ci ha suonato erano quelli che sono successivamente finiti nel disco, lui sapeva già su cosa saremmo stati meglio, non siamo stati lì ad ascoltare trenta o quaranta beat per poi scremare. Abbiamo trovato le sue proposte molto adatte a noi e quindi da lì siamo partiti a lavorare immediatamente, con grande entusiasmo.

M: come vi siete sentiti registrando di nuovo assieme dopo 25 anni?
E: in realtà, era come se non avessimo mai smesso di farlo, dato che abbiamo fatto tantissime registrazioni assieme negli anni. Quando ci siamo ritrovati, prima nel duemiladieci e quindi un paio d’anni dopo, il tempo sembrava davvero non essere trascorso, la nostra chimica è sempre rimasta intatta. Allora però avevamo registrato dei singoli e devo dire che fare di nuovo un album intero dopo tutto quel tempo è stata un’esperienza diversa. La cosa aveva un peso differente, perché le aspettative dei fan erano altre rispetto all’uscita di un pezzo, di un featuring o di un EP. Soprattutto, avevamo molte più cose da dire, perché la cosa non si limitava a una singola strofa.
M: ascoltando “No Expiration Date“, la prima cosa che ho notato è stata proprio la vostra interazione, esattamente la stessa dei primi due storici album che avete pubblicato.
E: è vero. E’ come riprendere in mano una bicicletta dopo qualche anno di inattività, nulla è cambiato nei meccanismi nonostante sia trascorso un bel po’ di tempo. Non nascondo che avevo delle preoccupazioni date dal fatto che non siamo più stati un gruppo per tanti anni, ma alla fine appena abbiamo cominciato il lavoro mi sono reso subito conto che nulla era cambiato e ha cominciato a prendere forma il desiderio che i fan potessero disporre di un album che rispondesse alle domande che si erano fatti per tanti anni, ovvero come sarebbe stato un disco degli Artifacts se non si fossero mai sciolti.
M: e pensi che avrebbe suonato così se fosse stato pubblicato nei primi anni duemila?
E: è una domanda cui è difficile rispondere, soprattutto perché non so se in quel frangente lo avrebbe prodotto Buckwild, di conseguenza, senza lui, non avremmo disposto dei beat di cui avevamo bisogno. Di certo posso sostenere che si tratti di una grande aggiunta alla nostra collezione e il fatto che io e Tame stiamo così bene sui beat che Buck ha fatto per noi credo faccia chiedere a molte persone perché non abbiamo fatto prima un’operazione del genere. C’è anche un altro fattore da considerare, ovvero che per i dischi precedenti ci siamo sempre affidati a molteplici produttori e probabilmente avremmo continuato a seguire la stessa strada. Abbiamo sempre avuto una sorta di lista dei desideri per la produzione e l’abbiamo sempre proposta alle nostre etichette. Buckwild ne faceva senz’altro parte e, vista la coincidenza con la Smoke On Records di cui parlavo prima, tutto ha preso immediatamente senso e forma. Mi piace molto che quest’album non suoni per nulla come gli altri due. E’ come quando realizzi un film e il suo sequel con lo stesso regista; poi ne esce un terzo, molto tempo dopo, ed è un’altra persona a realizzare il tutto, mettendoci la sua visione personale, magari sorprendente. “No Expiration Date” è molto più scuro rispetto ad altra musica che abbiamo realizzato, mi piace molto per questo motivo. Così come, personalmente, mi piace moltissimo “Dare Iz A Darkside” di Redman, che per me è il suo album migliore ma se lo chiedi a lui non è assolutamente d’accordo, odia quel disco (ride di gusto – ndM) perché commercialmente non ha avuto successo. Io invece lo apprezzo moltissimo perché da mc sono capace di notare come lui abbia letteralmente ucciso la competizione come non mai. E applico lo stesso concetto a “No Expiration Date”, relativamente al quale penso che, dopo oltre vent’anni di inattività corale, sia venuto fuori benissimo.

M: sul nuovo disco eravate parecchio in forma con rime e flow, ho notato questa cosa in particolare su “The Way I Feel” e “Take A Trip“, che a mio avviso sono di un livello lirico superiore rispetto alle altre tracce.
E: sono completamente d’accordo su questo. In fondo ci siamo costruiti una carriera scrivendo testi molto tecnici, atti a dimostrare la nostra abilità nell’essere mc, di come eravamo bravi a uccidere il microfono. “The Way I Feel” è stato il primo brano che abbiamo registrato per il nuovo album, mentre “Take A Trip” è una traccia più personale, un sacco di concetti che esprimiamo in quel pezzo non li avevate mai sentiti prima da noi. Ascolto ancora oggi la strofa di Tame e continuo a trovarla incredibile, non l’avevo mai sentito esprimersi così. Abbiamo sempre voluto essere rapper puri, non messaggeri, l’intenzione di “Take A Trip” era proprio quella di dimostrare quanto orgogliosi siamo di ciò che abbiamo fatto in carriera e da quanto tempo apparteniamo al gioco. Il fatto che Tame sia venuto a mancare poco dopo la pubblicazione del disco è amaramente ironico.
M: è stata una vera disgrazia, anche perché Tame non ha avuto il tempo di sentire la reazione del pubblico.
E: assolutamente sì, hai perfettamente ragione. Tame era venuto a casa mia un mese prima di morire e sentiva dentro sé questo disco. E’ una cosa difficile da spiegare. Lo sentiva. Era sull’uscio di casa mia e mi diceva dai, metti su il disco e alza il volume. Ho messo le casse del soggiorno al volume più alto che potevo e lui era presissimo. Era la versione finale del disco, già masterizzata. Quello che mi dispiace è che non l’ha mai avuto fisicamente tra le mani. Ma è riuscito a vedere la copertina e tutto il resto. Faceva sempre il modesto, gli facevo notare quanto bravo fosse stato nel suo contributo e lui rispondeva sì, ma non ho fatto io l’artwork, anche altre persone sono state brave. Era orgoglioso e giusto nel distribuire i meriti. E quando ho messo su quella versione finale dovevi vederlo… Batteva le mani sul tavolo al ritmo dei beat… A un certo punto si è messo a ballare in piedi sulla sedia del mio soggiorno… Poi è saltato giù e ha quasi toccato il soffitto con la testa, si è messo a saltellare per la stanza senza riuscire a contenere l’entusiasmo. E’ stata una scena bellissima! Tame non era bravo a parole, ma il suo modo di esprimersi diceva tutto di lui, era molto genuino (mentre racconta l’episodio noto che ricorda tutto con grande gioia, ride sempre, mai un segno di rottura della voce: molto bello… – ndM).

M: il mio brano preferito dell’ultimo disco è, ad ogni modo, “Contagious“. A-F-R-O ha spaccato di brutto.
E: me lo dicono in molti, il pezzo è piaciuto tantissimo al pubblico. A-F-R-O è stato devastante!
M: c’è anche da notare un gran lavoro di Buckwild nell’assemblaggio dei sample, che rende il brano minaccioso e scuro.
E: quel tipo di composizione a mio avviso riassume perfettamente chi sia Buckwild come produttore, la sua roba più scura mi è sempre piaciuta tanto. Ha messo insieme pianoforte, il gracchiare di un vinile, strumentazione sinfonica; insomma, è il pezzo più Buckwild che trovi sul disco.

M: com’è nata la collaborazione con Ras Kass per “Real Rap“?
E: oh, conosciamo Ras da tantissimi anni! Di fatto abbiamo cominciato assieme, siamo emersi in periodi simili. Con lui facevamo il giro delle radio per pubblicizzare i nostri singoli e inizialmente molto del lavoro promozionale per gli Artifacts l’abbiamo fatto proprio in California, il nostro legame arriva da lì. Ras Kass è un mostro lirico, tra tutte le persone che avrei desiderato partecipassero all’album lui era in cima alla lista, non solo perché è un amico e conosco il suo approccio lavorativo, ma perché ha classe da vendere e qui ci stava semplicemente benissimo.
M: l’ho scritto anche sulla recensione del disco, mi sarebbe piaciuto sentire questa collaborazione, che so… Nel ’96?
E: aaaahhhh, questa è un’altra cosa che continuano a ripetermi. Oggigiorno è molto più facile mettere insieme qualcosa con qualche collega che magari è lontano e riuscire a farlo ti dà una soddisfazione pazzesca. E mi riferisco a Ras soprattutto come artista e in secondo luogo come amico, ci tengo a ripeterlo, anche perché se gliene dai l’opportunità lui a livello lirico ti taglia la testa (ride – ndM), è un tipo molto competitivo. Quando gli ho chiesto se voleva partecipare a un pezzo con me e Tame, non ha esitato nemmeno un secondo: mi ha risposto certo amico, dammi il beat, il denaro e consideralo come già fatto! (ridiamo entrambi – ndM)

M: quali sensazioni hai provato nell’essere inserito nel National Hip Hop Museum?
E: il mio amico Jeremy, che viene da D.C. (si riferisce a Jeremy Beaver, fondatore del museo – ndM), si è preso moltissima cura di questa cosa, ha allestito il relativo negozio dove si possono fare acquisti online, sono davvero orgoglioso di lui e di questa iniziativa. Gli sono grato per aver pensato a me e a Tame per questo prestigioso riconoscimento e per aver pensato a miei colleghi come Special Ed, C.L. Smooth, Grandmaster Caz, Dres, tutti insigniti di questa onoreficenza. Adoro il fatto che questo museo esista, per com’è rappresentativo della nostra Cultura.
M: è un posto che gli Artifacts meritano in pieno, soprattutto perché il vostro legame con l’Hip-Hop, il vostro essere indissolubilmente Hip-Hop, è molto più grande dei tre dischi che avete pubblicato.
E: sono completamente d’accordo, perché quello che hai appena detto è sempre stato il nostro intento principale. Eravamo due ragazzi semplici, tre con Dj Kaos, i quali hanno avuto l’opportunità di registrare un album e mostrarsi per ciò che effettivamente erano. Quando abbiamo messo fuori i nostri primi due dischi non avremmo mai pensato di attrarre un numero così alto di persone diverse, di culture differenti, di luoghi così distanti rispetto a dove abitavamo noi.
M: d’altra parte, “Between A Rock And A Hard Place” e “That’s Them” sono due classici che suonano freschi ancora oggi.
E: mi fa molto piacere che tu lo dica perché non tutti i dischi sono capaci di resistere alle intemperie… Abbiamo fatto del nostro meglio con il tempo che abbiamo avuto a disposizione assieme, anche a tanti anni di distanza, quando siamo tornati a essere un gruppo.

M: la reunion degli Artifacts si è chiusa prematuramente e purtroppo per sempre. Quali sono i tuoi prossimi progetti?
E: sto lavorando a un sacco di musica, pensa che ho quattro o cinque album che usciranno prossimamente e che stavo già registrando mentre io e Tame ci eravamo riuniti. Ho un progetto interamente prodotto da Tony Galvin dove ospiterò parecchi colleghi, tipo Shabaam Sahdeeq, Sa-Roc e Dave Ghetto. Sarà il mio progetto più musicale di sempre, un percorso molto differente rispetto a quello degli Artifacts, mi aspetto che piaccia a tutti i mie fan nonostante apporti molte novità. Nel frattempo, sto lavorando al seguito di “XL”, l’album collaborativo che ho fatto qualche hanno fa con Sadat X, per il quale abbiamo già scelto i beat e abbiamo appena iniziato le registrazioni. Dovrebbe inoltre uscire qualche altro pezzo con Tame One, non abbiamo fatto tutti questi album assieme ma abbiamo molte tracce che aspettano di vedere la luce, magari ne ricaveremo una compilation o qualcosa del genere, ma aspettatevi qualche sorpresa…

M: che programmi hai per il tuo prossimo tour? Ho letto che verrai in Europa accompagnato da Mr. Len.
E: sì, sì, abbiamo già fissato qualche data europea e sto cercando di trovare disponibilità anche in Italia, in questo senso siamo molto vicini a trovare un accordo. Per ora saremo in Danimarca, Inghilterra e Repubblica Ceca, ma stiamo aspettando notizie per poter aggiungere Svezia e Svizzera. Apriremo il 19 maggio presso il Jazz Cafè di Londra e staremo oltreoceano per una ventina di giorni.
M: e a cosa è dovuta la scelta di Mr. Len per accompagnarti?
E: Len è venuto in tour con me e Tame cinque anni fa e lo ritengo quanto di più vicino ci sia a Dj Kaos. Lui e Kaos erano ottimi amici, ci conosciamo tutti benissimo da quando eravamo adolescenti, mi fido tantissimo di lui e delle sue capacità, ha molta esperienza in fatto di live e sicuramente sa il fatto suo, quindi rappresenta una preoccupazione in meno per me. E poi, anche Len viene dal New Jersey, come noi.

M: ultima domanda. Hai messo su una florida attività di merchandising online, che tratta numerosi prodotti marchiati Artifacts. Dove possono trovarti tutti gli interessati agli acquisti?
E: principalmente sulla mia pagina Instagram, che è el_da_sensei, nonostante abbia una pagina web apposita per il merchandising consiglio sempre a tutti di andare su Instagram, che è più aggiornato e dove l’interazione è più semplice, tanto poi le modalità d’ordine sono sempre le stesse in entrambi i casi. Lo stesso vale per i miei account Facebook e Twitter, ovunque ordiniate sarete sempre rimandati alla mia mail per concludere il tutto.
M: bene, riporterò quanto mi hai detto in modo che possano raggiungerti anche i fan che non siano a conoscenza della cosa.
E: ti ringrazio moltissimo, davvero. E ricordate, sono l’unico da cui potete acquistare roba ufficiale degli Artifacts. Non andate su Alibaba e simili perché è tutto falso! (scoppia a ridere – ndM)

Nel frattempo, El Da Sensei è arrivato alla sua destinazione, un’officina dove immagino attenda di far eseguire dei lavori alla sua auto. L’ultima parte dell’intervista si svolge lì, in mezzo a treni di gomme, depositi, detriti e tettoie. Sembra quasi lo scenario di un video degli Artifacts, manca solo qualche graffito, che ci starebbe davvero bene. Meglio ancora se proveniente dalla bomboletta di Tame One.

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