Apathy – King Of Gods. No Second

Voto: 3,5/4

Gli oltre vent’anni che delineano l’attività di Apathy hanno permesso di approfondire la conoscenza di un artista polivalente: man mano che l’età è avanzata e con essa è cresciuta la maturazione della persona, l’attitudine confrontazionale ha preso sempre meno peso a favore della capacità introspettiva, alimentando una serie di pubblicazioni di notevole ampiezza tematica. La costante attenzione verso le sue realizzazioni ha fatto assaporare l’acqua salina del Connecticut, la brezza marina e i rumori dei suoi porti, ha concesso immaginifici tuffi negli abissi più profondi dove chiudere i cerchi della vita, di rinvigorire fantasiose speranze e cercare di comprendere la natura del dolore umano, utilizzando immagini metaforiche per digerire perdite importanti, condividere gioie immense, ripercorrere tratti biografici che hanno portato alla conformazione della sua attuale personalità. All’interno di questo complesso viaggio, la costante è rappresentata dal primo amore, quell’Hip-Hop gelosamente custodito dentro una scatola dei ricordi che, una volta aperta, ripropone suoni, profumi e sensazioni di un’epoca irripetibile, contraddistinta da valorosi eroi e musica sacra, punto fermo di una vita dedicata a perfezionare l’arte, scrivendone egli stesso pagine essenziali.

Il vizioso e letale mc ha sempre creduto nella forza creativa, nell’abbinamento tra liriche e concept, nel mantenere fresco lo stato conservativo di un sound attuato seguendo attentamente i crismi a suo tempo indicati dai grandi Sensei del passato, divenendo egli stesso una pietra angolare del Rap che, agli albori del nuovo secolo, ha portato avanti la sacra fiaccola con grande entusiasmo e orgoglio. Oggi è un padre di famiglia, titolare di un’importante occupazione nel mondo immobiliare, avrà magari lasciato da parte le intenzioni di diventare un rapper famoso al pari dei suoi idoli di gioventù, ma non ha certo dimenticato di esercitare la propria passione cercando di riservarle uno spazio sufficiente nel mezzo di impegni sempre crescenti. Immaginiamo che la nuova situazione gli abbia sottratto quella particolare pressione nel doversi mantenere a fatica scrivendo musica che mai sarà per tutti, contraria alla commerciabilità com’è sempre stata, e che oggi si possa finalmente permettere di registrare un disco come e quando gli piaccia, perseverando nel seguire canoni strettamente personali senza fretta alcuna, tuttavia non rinunciando alla costanza.

Ci viene da interpretare così la pubblicazione di un progetto che presenta quantità inferiori di concettualità rispetto ai passaggi precedenti, ma non per questo è meno valido. Nulla di male, infatti, se la lente si fissa quasi esclusivamente sul talento puro, su quella sistematica capacità di convogliare rime irreverenti, sprezzanti, intrise di accorgimenti tecnici, e se il mirino è orientato sul prossimo fantoccio arricchitosi di fronte al quale sputare in soluzione univoca una superiorità aritmetica coltivata da anni di intense sessioni di workout verbale. Ne consegue che l’Apathy di “King Of Gods. No Second” privilegia la classe all’intimità, ritrovandosi più vicino al rapper che abbiamo conosciuto in seno agli Army Of The Pharaohs, ideale palestra per decimare gli avversari con massacranti giochi di sillabe fissando così l’obiettivo totalmente sul suo innegabile talento lirico.

The Alien Tongue si gioca la manche calando la carta raffigurante il possente Stu Bangas, nei confronti del quale l’affinità è cresciuta proporzionalmente al trascorrere delle reciproche collaborazioni, cogliendo la necessità di presentare atmosfere muscolari, dense di quella miscela tra classicismo e misticismo, consentendo altresì al producer di Boston di fugare vecchi sospetti causati da un beatmaking spesso eccessivo nel suo essere metodico, ma che mostra un chiaro progresso senza dover rinunciare alla tradizionale robustezza. Non che si sia improvvisamente trasformato in un musicista innovativo, chiaro, tuttavia uno dei pregi principali dell’album è proprio quello di testimoniare una sorta di passaggio dalla semplice manipolazione dei tasti a una maggiore supervisione operativa, sensazione dettata dalla forte coesione tra i brani, dalla costruzione tangibilmente più approfondita di beat non più monotematici nella scelta della strumentazione e del ritmo in genere. Poi non tutto funziona sempre a dovere, nulla però distoglie dall’idea che Stu Ferrigno sia salito di almeno un gradino rispetto alle esperienze precedenti.

In tale contesto Apathy aggredisce ogni proposta con voglia, fame e la solita, grande competenza: apre ad esempio in due il fantasmagorico loop di “Green Olives” confezionando l’unica traccia realmente concettuale del lotto, con piccole dosi di storytelling atte a individuare precise rimembranze suddivise tra frequentazioni di strada e nessi famigliari, collegando il tutto al significato del ritornello; sovrasta il pur ottimo Jadakiss facendo letteralmente a pezzi le sonorità egizie di “No Time To Waste”, sillabando da vero maestro Jedi le consuete referenze culturali della sua (e nostra…) adolescenza (<<I’m a ’79 baby, I grew up in the ’80s in the radius of Raiders shirts/dryin’ on my radiators/Tackleberry with the Ray-Ban aviators/Ronald Reagan with the “Star Wars” space lasers>>); sferra tremende punchline contribuendo a rendere perfetti pezzi come “Face Down”, nel quale funziona davvero tutto come dovrebbe, a partire dal nerboruto attacco del pezzo, passando per l’ottimo loop di mariachi, terminando con l’inconfondibile e pertinente voce di Sick Jacken.

E’ talvolta impervio, per l’ascoltatore, tenere il conto di tutti i sottili collegamenti tra le rime, talmente vasti siano i luoghi dove le stesse vanno a cozzare e complesso risulti tracciare dove inizi uno schema e finisca quello successivo. “The Devil’s Frequency” – la quale ospita altro materiale da leccarsi i baffi per merito di RJ Payne – è una chiusura sontuosa nella quale Ap svolge una metrica vertiginosa, incessante, modificando peraltro l’enfasi nella delivery restando impeccabile nella dizione e nella respirazione, idea altrettanto ben sottolineata da “One Man Army” attraverso un flow semplicemente pazzesco. “Disgusting” è poi una vera e propria congiunzione titanica, il Nostro diverte parecchio col wordplay (<<your body gets so stiff, I shoot up every intruder/Hip-Hop’s nightmare, Fab Five Freddy Krueger>>), mentre l’immenso Black Thought sdoppia rime con una frequenza degna di una pioggia equatoriale, facendo passare in secondo piano il fatto che Stu ficchi dentro a forza – e male – il sample di “Take On Me” dei mitici A-Ha in un contesto per nulla congeniale.

Nonostante – appunto – la produzione viva quel paio di momenti stagnanti, tornando a vecchie abitudini come nel caso di “Cry” o nella mediocre “Draw Blood”, che tuttavia assolda un Esoteric assai pimpante (<<you can bet I put a show on, new mc’s just want to grow on>> la capiranno in pochi, ma vabbè…), Bangas costituisce uno dei motivi di successo dell’album, inserendo accortezze determinanti per diversificare il risultato della composizione. E quindi, seppure “Malediction” evidenzi in toto il gusto del produttore utilizzando chitarra elettrica e basso per costruire il basamento del brano, le varie sezioni sono distinte da deviazioni sul tema, oltre al fatto che il sottofondo è arricchito dall’utilizzo dei bongos, o dall’inserto di qualche altro campione che si scova solamente prestando la dovuta attenzione.

Non avrà la trasversalità argomentativa di altri dischi firmati da Apathy, ma resta il fatto che la stoffa utilizzata sia di quelle pregiate: l’accoppiata con Stu Bangas funziona anche su lunga percorrenza, rendendo “King Of Gods. No Second” pienamente coerente ai suoi intenti, ovvero sferrare una nuova offensiva ai principianti, dimostrando un’essenza lirica che non accetta secondi piazzamenti e consolidando una fama che lo stoico Chad Bromley non ha certo eretto oggi.

Tracklist

Apathy – King Of Gods. No Second (Dirty Version Records 2022)

  1. The Kingdom Of God
  2. Malediction [Feat. Pharoahe Monch]
  3. Green Olives
  4. No Time To Waste [Feat. Jadakiss]
  5. Cry
  6. Face Down [Feat. Sick Jacken]
  7. Disgusting [Feat. Black Thought]
  8. Draw Blood [Feat. Esoteric]
  9. One Man Army
  10. MK Ultra [Feat. Celph Titled]
  11. The Devil’s Frequency [Feat. RJ Payne]

Beatz

All tracks produced by Stu Bangas with the additional production by Apathy

Scratches

  • Dj Tone Spliff: 4, 6, 7, 9, 11
  • Dj Eclipse: 8
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