EPMD – Unfinished Business

Voto: 4 –

Nonostante si riscontrino loro tracce anche nell’attualità, Erick Sermon e Parrish Smith provengono da un’altra epoca, contraddistinta dalla capacità di generare sequele di dischi oggi meritatamente considerati classici. I loro leggendari viaggi negli affari erano partiti da un esordio col botto, quello “Strictly Business” sintesi del talento creativo di due giovanissimi ragazzi provenienti da Brentwood, New York, i quali avevano condiviso l’interesse per la musica e i sogni nel cassetto in età scolastica, muovendo i primi passi di una carriera che li avrebbe poi visti vergare pagine essenziali del Rap. In possesso di un’eccellente chimica di squadra, i due avevano incanalato quella forte pulsazione verso la comune passione in un’attività vera e propria, gestita in maniera imprenditoriale non solo visto l’utilizzo del termine business per ogni successiva uscita, ma soprattutto per la capacità di unire a competenza e attitudine un’iconografia che, per quanto si addentrasse nei topoi dell’epoca, era diventata immediatamente distintiva.

Da questo punto di vista, il biglietto da visita di “Unfinished Business” è pienamente rappresentativo dell’essenza dei due personaggi: adagiati alle loro conquiste, una Mercedes e una Corvette, gli EPMD si ripresentavano adornati con preziosità di ogni genere, vestiario esattamente uguale, scarpe da ginnastica bianche, lucenti, fresche come le acque dell’oceano che si stagliava timidamente sotto l’imponente logo del gruppo, a confine con quella piazzola cementata che immortalava in copertina parte del fascino selvaggio di Long Island, allontanando per un istante il concetto metropolitano naturalmente accostabile a New York. I due fishermen hats corredavano il tutto gettando i presupposti per diventare il simbolo riconoscitivo che più di ogni altro avrebbe portato all’immediata associazione di questa realtà. Il disco era arrivato sugli scaffali a un anno di distanza da quel capolavoro di debutto: c’era molto altro da comunicare, la reputazione andava tenuta alta evitando accuratamente di assentarsi troppo a lungo dal giro e le sfide motivazionali erano alimentate tanto dal dover nuovamente dimostrare di essere i migliori della competizione, quanto da qualche sassolino scomodo se presente nelle suole delle Timberland, intenzioni già abbondantemente sviluppate dallo svolgersi dei primi secondi dell’album.

“So Wat Cha Sayin'” è difatti una hit di proporzioni devastanti (lo diciamo? E’ il miglior pezzo mai scritto dal duo), idrocarburi paraffinici miscelati e gettati sul fuoco vivo. Un’offensiva epica, che scandisce il passo di marcia attraverso una batteria residente nell’incrocio tra Soul II Soul e “Impeach The President”, sopra alla quale viene steso a tempo un loop ricavato dalle evoluzioni del chitarrista dei B.T. Express. Erick e Parrish non sono abili solo nello scambiarsi il microfono, coesistono simbioticamente l’uno nelle strofe dell’altro, infilando rime interne semplici ma inesorabili come frecce che si conficcano nel centro del bersaglio, sdoganando pacchi di carisma e un’audacia opportunamente riassunta da quel prendere coraggiosamente in mezzo addirittura sua maestà Rakim, con cui Parrish aveva un piccolo conto in sospeso (<<people round town talkin’ this and that/of how we sound like the R, and our music was wack/dropped the album “Strictly Business” and you thought we was bold/thirty days later, the LP went gold>>), il tutto mentre il coro campionato dai Parliament per il ritornello crea un effetto quasi gregoriano accompagnandosi all’esaltante prestazione ai piatti del nuovo acquisto, Dj Scratch, elemento di classe sopraffina. Si potrebbe citare qualsiasi strofa in tutta la sua lunghezza, ma quel <<one wrecks, the other destroys>> riassume perfettamente etica e dinamica del gruppo.

Pochi minuti, insomma, e i due avevano già dimostrato di non essere meteore di passaggio, meritando il loro ruolo nell’innaffiamento qualitativo del fertile terreno Hip-Hop, cominciando peraltro a modellare quell’identità Funk che ne avrebbe poi delineato i tratti distintivi plasmando inoltre un’attitudine hardcore più spiccata, ben esplicata dal senso di scarnificazione e ossessività che contraddistingue il suono di alcuni particolari episodi. Strepitosa, da questo punto di vista, la resa di quanto prelevato dai JB’s per dar vita a “The Big Payback”, minacciosa e al contempo ballabile, dedicata a quei crab mc’s troppo spesso sorpresi a pizzicare stili altrui, tematica del tutto in linea con quell’ostentazione di superiorità che si dimostra essere “Knick Knack Patty Wack”, la cui struttura lirica ricorda gli scambi di quella “The Symphony” che Erick e Parrish avrebbero direttamente omaggiato tanti anni dopo. Al di là del sample immediatamente riconoscibile, passi come <<a real swinger, and a real cool cat/like a Jazz player or someone on the accordion/producing crazy hits like, if I was Barry Gordy and/here’s a tip, to show you how to rip/a crab in half, and watch his posse flip>> dimostrano gli indubbi progressi effettuati nella scrittura, anche se poi il palcoscenico viene sottratto da un K-Solo impressionante, dotato di un flow letale che ben si mischia alla nota abilità nello spelling rintracciabile nella frazione finale della strofa.

La componente più claustrofobica del sound che il successivo “Business As Usual” avrebbe portato all’estremo è direttamente riconducibile a tracce come “Strictly Snappin’ Necks”, possente nel suo trasmettere granito puro, così come “It Wasn’t Me, It Was The Fame”, una cronaca dell’ascesa alla notorietà, risulta efficace proprio per la sensazione massiccia che trasmette. “Get The Bozack”, altro brano edificato tramite i B.T. Express, dimostra nelle sua durezza ritmica che la capacità interattiva del duo è determinante tanto quanto la tangibile certezza nei propri mezzi. Alcuni momenti sono invece dirette emanazioni dell’album precedente: “Please Listen To My Demo”, famosa per l’utilizzo di “Riding High” dei Faze-O, offre difatti un lineare resoconto dell’attività di demo shopping atta a siglare il contratto discografico da cui è nato tutto, mentre “Total Kaos” è montata sull’autoreferenzialità di barre prelevate dai maggiori successi di “Strictly…” (esercizio che gli EPMD avrebbero riproposto con costanza, ma sempre minor efficacia); “Jane II” continua infine il racconto dell’omonima saga, affidandosi a un beat non troppo dissimile da quello della prima puntata e, soprattutto, evidenziando la miglior capacità tecnica di un Parrish in pieno comando di sé, a differenza di un Sermon saltuariamente pigro e farfuglione.

Il bandito dagli occhi verdi si rifà con gl’interessi grazie all’ottima verve lirica dimostrata in “It’s Time To Party”, che unitamente a “You Had Too Much To Drink” raggruppa il punto basso di un lavoro che si ferma a un passo dall’essere classico, pur rimanendo di inopinabile qualità. Se il primo caso rappresenta una chiara imposizione dall’esterno nell’assecondare una moda che vedeva moltissimi rapper inserire una traccia Hip-House in scaletta, il secondo è un Rap/Rock con chitarroni che avrebbero suonato certamente in modo più consono su qualche pezzo dei Fat Boys, un pastone di oltre sette minuti con annessa pubblicità progresso che si attesta sull’appena passabile, per quanto la storia sia condita di trovate divertenti.

Su “Unfinished Business” la discussione è tutt’ora aperta: la sua posizione nella graduatoria della discografia degli EPMD varia – com’è giusto che sia – a seconda della soggettività di chi esprime il giudizio. L’opinione personale cui sento di giungere è che sia la meno memorabile delle prime quattro opere di Erick e Parrish, rispetto alle quali è più incompleto e (ascoltato oggi) vetusto; una valutazione in ogni caso difficile e discutibile, tanto più per l’enorme qualità proposta dai termini di paragone. Non una pietra miliare, insomma, ma stiamo parlando pur sempre di virgole.

Tracklist

EPMD – Unfinished Business (Fresh Records 1989)

  1. So Wat Cha Sayin’
  2. Total Kaos
  3. Get The Bozack
  4. Jane II
  5. Please Listen To My Demo
  6. It’s Time To Party
  7. Who’s Booty
  8. The Big Payback
  9. Strictly Snappin’ Necks
  10. Knick Knack Patty Wack [Feat. K-Solo]
  11. You Had Too Much To Drink [Feat. Frank-B]
  12. It Wasn’t Me, It Was The Fame

Beatz

All tracks produced by EPMD

Scratch

All scratches by Dj Scratch

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