Elzhi – Zhigeist

Voto: 4 +

The greatest rapper alive è un titolo che ha toccato molteplici figure – spesso nulla più che normodotati, quando addirittura neppure pertinenti al genere – dando sovente luogo a discussioni buone solo per riempire i poco costruttivi spazi dei social network. Soggettività dei criteri di giudizio a parte, l’unica costante espressa da tali graduatorie è la sistematica mancanza di emersione di tutti quei nomi che meriterebbero ogni considerazione possibile, ma non originano numeri sufficienti per guadagnarsi l’iscrizione d’ufficio; se poi aggiungiamo tutta la confusione creata dalla moda su cosa significhi davvero fare Rap, escludendo conseguentemente la complessità di una disciplina basata su senso del ritmo, tecnica, versatilità metrica e – non ultima – originalità, l’impresa si fa ancora più ardua.

Nonostante la strabiliante mole di qualità lirica con cui Elzhi continua a triturare la competizione, su di lui si prosegue a sonnecchiare tranquillamente, anteponendogli artisti che sono tali solo per presunzione o – peggio ancora – saliti ai piani alti grazie al loro assecondare ossequiosamente i trend del momento, anche a costo di rimetterci in integrità. Non c’è dunque sorpresa alcuna se “Zhigeist” – gioco di parole tra Elzhi e Zeitgeist – giunge su scaffali fisici e virtuali con un battage comunicativo pressoché assente, colpendo con effetto-sorpresa attraverso l’imprevedibile unione di forze con Georgia Anne Muldrow, abbinando a un lyricist sopraffino una creatività sonora che già in passato ha dimostrato di saper calpestare le convenzioni con una certa facilità.

Muldrow campiona, suona, canta ritornelli o parti di sottofondo, il suo estro è sia un reale valore aggiunto che un rispecchiare da vicino le inclinazioni musicali dei dischi più recenti siglati dall’autore di Detroit, la cui natura inequivocabilmente boom bap si mantiene in ogni caso a debita distanza dalla classicità più spinta. <<Do you copy?>> ci si chiede durante un’introduzione che sembra proiettare i protagonisti in una densità cosmica degna dei Parliament, una domanda certo non casuale, quasi si desse per scontato il fatto che uno dei vecchi pilastri del Rap sia oramai sceso di considerazione nei criteri valutativi tanto del pubblico, quanto degli artisti stessi. Elzhi rappa incessantemente ma senza provare fatica alcuna, il flow è perfettamente oliato, la metrica è arguta e fantasiosa, la facilità verbale nel comporre rime con termini sminuzzati e ricomposti è stordente. Il Re è perennemente alla ricerca della corona che gli spetta, la sua penna spazia efficacemente tra letali autolodi, ricerca di rispetto, introspezione, spiritualità e sentiti omaggi a una comunità che non appare legata come potrebbe, in ode a tutto l’amore nutrito per quella blackness di cui, velatamente o meno, l’album disquisisce per lunghi tratti.

Il Soul di “Amnesia” riscalda l’anima come i raggi primaverili più forti, giusto il tempo di un paio di barre celebrative del proprio arsenale e già si sente il rumore della schiena di qualche contendente mentre comincia a spezzarsi. La dizione stellare e la metrica in continuo ondeggiamento nel collocare le rime in posizioni differenti sono punteggiate da quel significativo <<don’t forget/you are loved by someone>> cantato da Muldrow, dedicato in via ambivalente a quell’uomo caduto in ginocchio a causa della depressione, nonché all’artista prevalentemente sottovalutato e che ha imparato a non affidarsi ai dati di vendita per riconoscere il proprio valore. Poi vabbé, quando si apre un brano sostenendo tesi tranquillamente comprovabili (<<I’ll tap dance on your medulla oblongata wearin’ Prada/pull your card and do you dirty, think of the Ramada>>) si comprende come ci si stia misurando con un dizionario di alto rango, “King Shit” è difatti un master in materia di dissing, che saluta caramente chi presume di saper comporre del wordplay complesso (<<I was on cassettes speakin’ murder over caution tape/if you sittin’ at the top it’s probably in a cheap seat>>).

E’ un Rap attitudinale stampato in maniera totalmente diversa dalla norma, come suggerito pure da “Strangeland”, la quale offre un numero di complessità tecniche che costringe al plurimo riavvolgimento per decifrare completamente i suoi arcani. El intreccia assonanze a raffica, doppi sensi, barre concettualmente legate, divertendosi nella costruzione di corpose rime multisillabiche su uno dei beat più duri del lotto, cucendo un brag che forza la mente a piegarsi in angolazioni inedite per cogliere lo squisito significato figurativo dei versi (<<with the pen, I can turn a name into a number, shackle you and have you escorted through the right entrance/to be put in a mental prison/so why would I sweat your bars, knowing they coming with a light sentence?/You a block away and I’m a flight distance>>). “Pros And Cons” è invece la perla concettuale dell’operazione, caratterizzata com’è da due strofe per le quali Muldrow chiama la sostituzione sonora giusto nell’intervallo (il primo beat, spruzzato di Jazz, è un sunto ben esemplificativo del gusto produttivo) e un titolo che diviene lo schema allitterativo fisso attraverso il quale è vergato il senso del testo, diviso tra il sociale e un nuovo atto celebrativo delle proprie abilità.

Elzhi preme spesso il tasto della polemica sociale, evidenziando la necessità espressiva di quell’orgoglio di appartenenza ampiamente espresso da “Understanding/Understanding Reprise”, un cocktail di frecciate avvelenate verso il sistema e riconoscimento della turbolenza legata alle proprie radici, carico di ricche immagini che esplicano il contenuto delle barre, oltre che di un saporito word bending che garantisce la continua musicalità dell’enunciato. “Already Gone” cita invece la Matematica Suprema fruendo di un flow che si destreggia tra il centro perfetto in battuta e l’offbeat di classe, l’onnipresenza di Georgia ai ritornelli accresce sistematicamente il valore dei pezzi – qui interviene quasi fosse una presenza extracorporea in un groove Funk modernizzato – all’interno di un complesso esercizio di costruzioni versatili, di densità cubica rispetto ai classici binari attraversati dai quattro quarti.

Le tessiture melodiche non si limitano a essere uno scambio di accrescimenti vicendevoli nei confronti del pacchetto lirico: l’inventiva della produzione è un tassello determinante per spingere il rapper a esplorare le proprie capacità con un raggio ancora più ampio, dando luogo a una coesistenza del tutto naturale, evidente in passi come “Nefertiti”, nella quale la musica assume una bellezza paragonabile alla figura femminile che emerge da un testo adulante, ricco di storia, rispetto, forza e riconoscimento, come pure nella conclusiva “Compassion”, che affronta la genesi della sfiducia in se stessi sopra una strumentazione quasi sempre sorretta da giri di piano emotivamente intensi.

Un sodalizio affascinante, che interseca coerentemente le migliori qualità di due protagonisti che dimostrano di saper navigare con maggior agio proprio quando è necessario deviare dalle acque principali. Una sfida raccolta tanto dalla miscela black sapientemente preparata da Georgia Anne Muldrow, quanto dall’ennesima – e oramai ovvia – prova di onnipotenza da parte di Elzhi, la cui longeva iscrizione all’élite del liricismo non ha certo bisogno di essere avvalorata da fattori esterni rispetto al suo incredibile talento.

Tracklist

Elzhi – Zhigeist (Nature Sounds 2022)

  1. News From The Ship
  2. Amnesia
  3. Every Moment [Feat. Dudley Perkins]
  4. King Shit (Say Word)
  5. Understanding/Understanding Reprise
  6. Already Gone
  7. Strangeland
  8. Pros And Cons
  9. Nefertiti
  10. Interlude
  11. Compassion [Feat. Dudley Perkins]

Beatz

All tracks produced by Georgia Anne Muldrow

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