Ras Kass – Soul On Ice
Prendete una qualsiasi top ten dei dischi più criminalmente sottovalutati nella storia dell’Hip-Hop e “Soul On Ice” apparirà magicamente all’interno di ognuna di queste ideali classifiche, un gioiellino dimenticato in mezzo a una marea di lavori assai meno significativi, i quali esattamente vent’anni fa si facevano largo tra le masse alla ricerca della definitiva – e purtroppo riuscita – commercializzazione della Cultura. Un disco per giunta penalizzato dal solito supporto precario dell’etichetta, in questo caso la Priority, che forse era convinta che l’opera prima di Ras Kass non avrebbe fruttato una cifra soddisfacente in termini di profitto, mortificando i notevoli sforzi profusi da un (allora) ragazzo dal talento lirico cristallino.
“Soul On Ice”, titolo ispirato dall’omonimo libro scritto al termine degli anni sessanta da Eldridge Cleaver, leader delle Pantere Nere che aveva steso tutto tra le mura di una prigione (particolare ripreso dall’artwork), è un disco con due grandi palle. Il motivo è certamente rintracciabile nella sua forte natura anticonvenzionale, un tratto che viene in primis delineato da testi ad alto tasso reazionario che non accomodano proprio un bel nulla, in secondo luogo da scelte produttive che, con l’eccezione di una minima parte del lavoro, se ne fregavano altamente delle mode dell’epoca andando fermamente contro corrente, senza mescolarsi troppo a un gusto west coast che aveva preso una direzione precisa ma che possedeva un’originalità discutibile.
D’altro canto, cosa mai verrebbe da pensare di un artista nato e cresciuto nell’assolata California, che se solo avesse desiderato ben figurare muovendo le conoscenze giuste all’interno dell’industria avrebbe avuto una carriera ben più lucrativa di quella effettivamente condotta e che per esordire aveva scelto indicazioni esattamente contrarie a quelle fornite dal mercato di facile fruibilità? Che ci vuole coraggio, ma anche una dose infinita di bravura. Stiamo parlando di un luogo e di un momento storico all’interno dei quali l’onda lunga lasciata dal classico “The Chronic” aveva sortito ogni tipo di fin troppo redditizia imitazione, un compromesso che Ras Kass non aveva assolutamente accettato per presentarsi ufficialmente al mondo Hip-Hop, andando a cercare volutamente uno scontro etico con chi gli proponeva una scorciatoia certamente più benefica per il suo personale conto in banca.
Non ci sono barbeque, spiagge e donne in bikini pronte ad appartarsi col primo che capita, il mondo di John Austin IV è nettamente differente, vomita teorie cospiratorie nella stessa quantità in cui sputa letali punchline a raffica senza risparmiare un singolo colpo a nessuno, i testi sono frutto di un’intelligenza superiore alla media e della messa in opera di idee ben radicate, nate dallo studio dell’altra versione della storia, quella che ai benpensanti fa sempre piacere nascondere. Non si spiegherebbero altrimenti capolavori assoluti come “Nature Of The Threat”, la quale più che un testo Rap potrebbe essere definita un saggio Hip-Hop consendato in sette minuti e rotti che avrà certamente fatto gonfiare il petto di KRS-One, uno stuolo di citazioni storiche che enunciano e denunciano in egual misura misfatti che partono dalle origini dell’uomo e proseguono ininterrotti fino alla civilizzazione, rimarcando con sete di vendetta tutti i soprusi sopportati dalla comunità di colore nei secoli, uno dei pezzi più complessi che il genere abbia mai conosciuto. E’ una slavina di barre che si sussegue senza bisogno di ritornelli, accompagnata da un beat duro che si avvale di nulla più che batteria, basso e una campana che puntella ogni sentenza del giudice Ras.
Laddove l’artista centra pienamente il risultato, lo deve senza dubbio alla formula che vive del contrasto tra la copiosità delle rime e l’essenzialità della produzione, ovvero il sodalizio che origina i pezzi più squisiti di uno degli esordi più impressionanti di sempre. E’ questo semi-costante parallelismo a sorreggere tracce come “Etc.”, adorabile nella ripetitività del suo loop avvinghiante, minimale e abrasivo, un pezzo che musicalmente crea un singolare trait d’union tra l’atmosfera cementizia di New York e i colori accesi della California, avvalendosi di una magistrale costruzione del testo, di un’impecabile gestione di flow e fiato e di un assortimento di rime multisillabiche e alliterazioni che rappresentano solo una parte del largo bagaglio tecnico/lessicale dell’mc (<<I dispense dope sentences without a prescription/prefixes asphyxiate bitches who flips linguistics/representin’ the west, relevant to relentless sentences/if renegades rebels resent this wicked syntax>> – buongiorno eh…). Di similare allineamento episodi come “Sonset”, impostata su un beat notturno, minaccioso, composto su loop azzeccati e ben amalgamati, nella quale la particolarità del testo è proprio quella di riuscire a trasmettere il concetto dell’essere un grande pur senza usufruire del luogo comune della provenenza dalla Grande Mela, tenendo tesa la linea di separazione tra rispetto e potenziale dissing (<<respect due to the pioneers/but what you burrogh did in ’83/is ancient history brah’/so why these niggas actin’ like/since they live in the state that Rap originates/they automatically, all time greats?/It takes classic material to phat shit>>), e ci risulta impossibile non citare l’introduttiva “On Earth As It Is…”, che prende vita da un beat scuro, disagevole, nel quale di tanto in tanto si sentono cori celesti ma è fin troppo chiaro che Ras parli in realtà dagli inferi, plasmando il suo testo di citazioni bibliche per le quali ci vuole una preparazione non convenzionale, attaccando nel contempo uno dei suoi bersagli preferiti, la Chiesa Cattolica e le sue malefatte.
Oltre ad essere un mc baciato dal talento lirico, Ras Kass dispone poi di un raggio tematico di notevole ampiezza, altro motivo di estrema longevità per il disco. “If/Then” è una lezione di wordplay e colpi bassi dove le barre trovano legami non solo tecnici, ma pure concettuali; “The Evil That Men Do” vede l’artista assumere il ruolo di un soggetto impegnato a ricostruire una vita difficile, componendo i ricordi attraverso un’ordinata cronologia che segue il protagonista durante la crescita, sottolineando notevoli capacità nella composizione di storytelling; “Reelishymn” evidenzia il conflitto tra il rimanere fedeli alla propria linea e il farsi attrarre da tutte le ricchezze che l’industria ha da offrire; “Marinatin'” è ampiamente descrittiva in una seconda strofa che racconta con la dovuta classe di focosi incontri clandestini, organizzati con la massima libertà di spirito.
Passi falsi? Poco o nulla e i difetti sono esclusivamente incentrati sul lato produttivo della questione. “Soul On Ice” ha storicamente ricevuto critiche – spesso ingiuste – per la scarsa abilità di selezione dei beat da parte del protagonista principale, secondo il nostro punto di vista il problema è invece un altro, rappresentato dal non essere riusciti a seguire un percorso ben delineato. La maggioranza del reparto sonoro ha concetti e stili vicinissimi alla east coast, che noi interpretiamo come una voglia di restare attaccati alle origini dell’Hip-Hop più puro astenendosi quasi totalmente dall’infarcire il proprio lavoro con miriadi di synth tipicamente west, per questo motivo non si comprende la scelta di proporre brani troppo rilassati come l’acquosa “Marinatin'”, “Anything Goes”, troppo leggera per inserirsi a dovere nel disco, e frivolezze come l’onestamente bruttina “Drama”, che con quel flautino sembra una canzoncina per bimbetti e vede nella presenza di Coolio solo l’opportunità di creare un forte traino agganciandosi al momento magico di uno dei personaggi di spicco del Pop Rap dell’epoca.
Si potrà discutere in eterno su questi piccoli ma talvolta significativi difetti, se però cercate un disco veramente raro per qualità delle liriche, dove nessuna barra è lasciata al caso e ogni minima componente ha un suo preciso significato all’interno di testi scritti con intelligenza, astuzia, consapevolezza e un’abilità di scrittura con pochissimi eguali, allora “Soul On Ice” comincia a sprigionare una perfezione che pochissimi altri dischi possono vantare.
Tracklist
Ras Kass – Soul On Ice (Priority Records 1996)
- On Earth As It Is…
- Anything Goes
- Marinatin’
- Reelishymn
- Nature Of The Threat
- Etc.
- Sonset
- Drama [Feat. Coolio]
- The Evil That Men Do
- If/Then
- Miami Life
- Soul On Ice
- Ordo Abchao (Order Out Of Chaos)
Beatz
- Lamont “Bird” Holdby and Ras Kass: 1, 2, 4, 6, 8
- Battle Cat: 3
- Vooodu: 5, 9
- Michael “Flip” Barber, Michael Schlesinger, Ras Kass and Reno Delajuan: 7
- Michael “Flip” Barber and Ras Kass: 10, 11
- Lamont “Bird” Holdby: 12
- Vooodu with the co-production from Ras Kass: 13
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