Murubutu – L’uomo che viaggiava nel vento e altri racconti di brezze e correnti

murubutuuomocheviaggiavanelventoQuando intervistammo Murubutu nel maggio del duemiladieci, se non erro in concomitanza all’uscita della raccolta “Il giovanile Mariani e altri rap-core tricks”, a un nostro quesito sulle potenziali analogie tra Rap e cantautorato l’mc argomentava così: il pubblico (…) è interessato al fatto che il Rap possa avere spessore letterario? (…) Attualmente forse no, anche perché in pochi ci hanno provato. In futuro forse sì, se qualcuno ci proverà. Io ho provato. Col senno di poi, si stava anticipando una riflessione con cui l’Hip-Hop italiano avrebbe dovuto misurarsi di lì a breve, considerati il deciso incremento di progetti caratterizzati dal primato dello storytelling e il ricorso allo stesso in chiave prettamente narrativa, ovvero slegando il racconto dalla prima persona singolare e da episodi relativi al proprio vissuto; fermo restando che – tanto per fare tre nomi – a voler trovare una convergenza stilistica tra Willie Peyote, Claver Gold e il qui presente Dargen D’Amico si rischia di forzare un po’ la mano, Alessio è appunto tra i precursori di una tendenza sbocciata attorno al superamento del più classico autobiografismo e perseguita da un numero via via maggiore di artisti.

Con “L’uomo che viaggiava nel vento e altri racconti di brezze e correnti”, quarto segmento di un percorso che ha il proprio asse portante nella marcata impronta letteraria, Murubutu non delude certo le aspettative di chi aveva già letto ascoltato “Il giovane Mariani e altri racconti”, “La bellissima Giulietta e il suo povero padre grafomane” e “Gli ammutinati del Bouncin’…”, aggiungendovi nuovi ritratti e cronache il cui elemento d’unione è dato dal vento (<<il miglior cantautore senza note o parole>>). Presenze costanti nella totalità delle quattordici tracce (e tra l’una e l’altra, come per il suono delle pagine sfogliate di “Giulietta…” e quello delle onde che s’infrangevano contro il “Bouncin’…”), gli aliti e le brezze del titolo accompagnano i numerosi protagonisti dell’album quasi fossero degli osservatori privilegiati, partecipano alle loro storie, ne assecondano gli umori, li accarezzano sul viso mentre la vita gli riserva svolte o fatalità del tutto inaspettate – e sovente tragiche; basterebbe notare ciò, ovvero l’inventiva che consente a Murubutu di dare un filo comune a episodi altrimenti privi di qualsiasi correlazione (e infatti fatico a parlare in senso stretto di concept), per rendersi conto delle finezze e dell’infinita cura che il Nostro ripone tra le proprie liriche, ma in realtà c’è molto di più.

Col rischio di ripeterci, è inevitabile sottolineare le peculiarità e la qualità di una scrittura che spicca anzitutto per il lessico forbito e la ricerca di descrizioni vivissime, capaci di riassumere scenari, colori e odori nello spazio di poche barre (ad esempio l’inizio esoticheggiante di “La bella creola”: <<e la intravide in un giorno nato col cielo ebbro di viola/nel baccano del mercato del Pueblo di Santa Rosa/soppesava con la mano, lei, riso nero e manioca/lui vendeva lana al peso della Piana della Patagonia>>), il tutto al servizio di una densità tematica clamorosa: Giulia balla nonostante la cecità (“Grecale”), Paolo fugge dalla provincia (“Scirocco”, con un Rancore gigantesco), Mara ha l’Alzheimer ma Nando le sta sempre accanto (“Mara e il Maestrale”: finale da pelle d’oca), Dafne è costretta a un matrimonio che non desidera (“Dafne sa contare”), Maria cerca l’amore nell’Italia del dopoguerra (“Linee di Libeccio”), Angelo D’Arrigo, campione di deltaplano morto durante un incidente aereo, è un moderno Icaro (la titletrack).

Il lieve alleggerimento della componente tecnica (comunque di alto profilo, vedi “Bora”) e un incremento dei refrain cantati dallo stesso Murubutu sono i segnali di una possibile mutazione in atto, idem per un taglio melodico che, tra fisarmoniche, pianoforti e chitarre acustiche, predilige registri dolci, nostalgici, forse attingendo da un gusto che ha nella canzone popolare e nel Folk Rock più di un riferimento. Nulla, però, che disancori il disco dall’Hip-Hop sospingendolo verso un’identità meticcia; si tratta, al contrario, di un progetto ben piantato nel nostro genere preferito, arricchito da featuring di valore (ottimo il trio di voci con Dargen e Ghemon per lo spleen di “Levante”, una prova deliziosa che reclama diversi repeat di seguito) e forte di un baricentro che poggia sulla centralità del contenuto e la subordinazione dei beat, affidati in gran parte all’immancabile Il Tenente, XxX-Fila e Dj West.

Coi limiti fisiologici di un’operazione che non allenta mai la tensione, rinunciando sia all’ironia che al facile intrattenimento, “L’uomo che viaggiava nel vento…” ribadisce l’assoluta originalità di Murubutu e del collettivo La Kattiveria, figure celebrate soprattutto da un pubblico esperto e adulto, che a mio avviso meriterebbero una notorietà meno circoscritta.

Tracklist

Murubutu – L’uomo che viaggiava nel vento e altri racconti di brezze e correnti (Irma Records/Mandibola Records 2016)

  1. Anemos – introduzione
  2. La bella creola
  3. Grecale
  4. Scirocco [Feat. Rancore]
  5. Mara e il Maestrale
  6. Bora
  7. Dafne sa contare [Feat. Dia]
  8. Levante [Feat. Dargen D’Amico e Ghemon]
  9. Linee di Libeccio
  10. Il Re dei venti [Feat. La Kattiveria]
  11. Isobarre
  12. L’armata perduta di Re Cambise
  13. L’uomo che viaggiava nel vento [Feat. Amelivia]
  14. L’ultimo soffio – conclusione

Beatz

  • Muria: 1
  • XxX-Fila: 2, 3, 5, 7, 9
  • Il Tenente: 4, 6, 10, 14
  • Kintsugi: 8
  • Dj West: 11, 12, 13

Scratch

  • Dj T-Robb: 6
  • Dj Caster: 10