Intervista a Lil Pin (14/10/2022)

Se avessimo bisogno di un aggancio, diremmo che è appena uscito il singolo “Ladies love Mesina”, bonus track realizzata per l’edizione in vinile di “Anonima sequestri” (con Gionni Gioielli). In realtà, avremmo voluto intervistare Lil Pin da molto prima; una conoscenza in comune – grazie Robi! – ha agevolato il tutto, consentendoci di ricostruire un cammino che oramai seguiamo con attenzione da diversi anni…

Bra: trattandosi della nostra prima intervista, vorremmo cominciare dall’inizio. Dopo un mixtape e un EP, è “I.N.R.I.”, nel 2011, a importi all’attenzione di un certo tipo di pubblico, progetto firmato a nome del collettivo Parabellum; ecco, vorremmo ci raccontassi cosa c’è prima di queste esperienze, ovvero cosa ha acceso la passione per il Rap e quando ti sei detto ok, voglio farlo anch’io.
Lil Pin: è nato tutto per gioco. Io ero, come tantissimi amanti del Rap, un semplice ascoltatore e ne ero completamente travolto, a quel tempo in particolar modo – parlo delle superiori. Alcuni amici e conoscenti cominciavano a scrivere i primi testi e incidere dei pezzi, così mi sono detto che se ci riuscivano loro, allora io avrei potuto anche fare di meglio… Be’, è andata esattamente così. E’ stato allora che mi sono avvicinato a Kennedy e ho cominciato a incidere i miei primi pezzi prima con Mistacabo e poi come solista. Solo dopo abbiamo conosciuto Uzi Junkana e abbiamo deciso di dare vita al progetto Parabellum. In seguito, si è unito anche Dj Yodha al gruppo.

B: per chi, come me, è cresciuto con l’Hip-Hop degli anni novanta, Sardegna è sinonimo di Mentispesse, SR Raza, La Fossa, Maku Go e Sardo Triba… A proposito di origini, che legame c’è – tenendo anche conto che hai collaborato ad esempio con Ibo e Ruido – tra quella prima ondata di Rap proveniente dall’isola, spesso connesso a un immaginario west coast, e la tua musica?
LP: sono un grande fan di tutti i gruppi che hai nominato e, soprattutto, da bambino adoravo il G-Funk made in Sardinia. Ma la vera scuola come rapper per me è stata Mentispesse. Con loro ho un forte legame sia d’amicizia che artistico, stimo profondamente i ragazzi. Loro sono stati fondamentali non solo per me, ma per tutta una generazione di rapper sarda, perché sono stati non solo fonte d’ispirazione ma vero collante tra il prima e il dopo. “Cagliari crolla” di Mentispesse è il mio “SxM”! Ciò detto, i primi gruppi che hai citato sono stati molto importanti per la mia formazione artistica, non a caso uno dei miei ultimi progetti, “Underdogs” con PayMe!, è un omaggio alla loro musica e al Rap sardo degli anni ‘90. Per esperienza, ti posso garantire che all’epoca – e ancora oggi – dischi come “Wessisla” hanno segnato molti rapper, hanno settato il sound; molti di noi lo considerano un classico nazionale.

B: se “QSE nightmare”, “Questo E’P” e “Fattore P” erano delle uscite – diciamo così – ancora introduttive, “The equinox” è forse il tuo esordio solista vero e proprio. Un disco molto scuro, che mischiava esoterismo, Aleister Crowley, Led Zeppelin, Black Sabbath e un immaginario che poi avresti ulteriormente definito nelle uscite successive: a distanza di otto anni, lo ritieni un titolo a suo modo seminale per il tuo percorso artistico?
LP: ho sempre pensato che fosse il mio disco solista preferito, per come è stato concepito e realizzato e per il concept di fondo. “The equinox” ha segnato la mia svolta musicale in termini d’impronta. Credo sia stato per anni il mio biglietto da visita, anzi non solo mio, ma sinonimo del duo Pin e Kennedy. Adoro ogni singolo pezzo. Era completamente fuori dalla scena e dal sound in voga in quel periodo; e ora che realtà underground come Griselda negli U.S.A. e MxRxGxA in Italia sono ben consolidate e hanno il loro spazio e il loro pubblico, mi sento ancora più fiero di aver sondato il terreno qualche anno in anticipo rispetto agli altri. Inoltre, il progetto grafico di Skan e la special edition col libretto realizzato da Ilaria Gorgoni e A Mad Tea Party era semplicemente epico! Resta il mio top.

B: ecco, questo è anche il periodo in cui cominci a collaborare con AdriaCosta, perché prima ospiti Nex Cassel e Gionni Gioielli in “The equinox”, poi partecipi a “Franciacorta music vol. 2”. Come nasce questo rapporto geograficamente per nulla ovvio?
LP: be’, io sono sempre stato un grande estimatore dei Micromala, già dai tempi di “Colpo grosso” come di “Tristemente noto” e “Gioielleria”. Erano il top in Italia, per quanto mi riguarda. Avevamo la stessa spocchia assurda, solo che il tiro era diverso. Io sono sempre stato più cupo, ho optato per concept album e temi più scuri. I ragazzi fecero dei pezzi con Uzi Junkana nel suo album solista d’esordio e così avemmo modo di conoscerci. Per il resto, credo che abbia parlato la stima reciproca. A quei tempi, anche se non remoti, era la musica a parlare, solo la musica.

B: riascoltando oggi “The equinox” e “Kingpin”, che escono più o meno nel giro di un anno, si nota chiaramente come rispondessero in anticipo al paradigma MxRxGxA, quel solo barre e sample che magari qualcuno ha confuso come un semplice rifarsi a Griselda, mentre c’è chi ha sempre fatto l’Hip-Hop così e non ha smesso neppure quando il gusto della gente si è orientato più sui synth e i ritornelli cantati. Questa sorta di ritorno all’essenziale, più che alla tradizione in senso stretto, è stata una piccola rivincita per chi, come te, non ha mai dato importanza all’essere facilmente fruibile?
LP: come ti dicevo prima, io andavo in quella direzione già dieci anni fa, quindi non ho fatto altro che continuare a fare il mio. A noi di Make Rap Great Again piace il Rap, piacciono le barre, il resto non c’interessa. Non è questione di rifarsi o meno a Griselda o a Soul Assassins, anche se sicuramente molti di noi sono loro fan, la questione è fare del Rap figo. Molti ci hanno accusato di aver preso spunto da loro, ma hanno dimenticato le nostre fasi precedenti, la mia in primis. Il risultato però non cambia, abbiamo riportato quel tipo di Rap in Italia e non è una rivincita, è un dato di fatto.

B: <<del successo me ne sbatto il cazzo/e piuttosto che essere J-Ax mi taglio il cazzo>> è una di quelle barre – da “Master P” – che non passano certo inosservate. E quindi se non si tratta di questo, del successo, della fama, dell’essere al centro dell’attenzione, un artista underground a cosa ambisce?
LP: quella barra concentra un sacco di miei pensieri riguardo alla scena. Vedi, fare soldi piace a tutti, idem il successo, essere apprezzati e vendere migliaia di copie credo siano un sogno per ogni giovane rapper – e non parlo solo della nuova generazione. Quello che volevo dire con quella barra è però molto semplice: il successo non è tutto e non per forza dimostra il tuo valore. Quindi me ne sbatto se c’è o non c’è, io resto comunque un rapper di serie A, perché è questo che sono. Mentre il successo, per esempio di persone come J-Ax, giusto per rimanere nella citazione, non rende per forza il suo un bel prodotto, anzi. Al giorno d’oggi, si pensa più a fare la guerra al prossimo invece che cercare di realizzare un bel pezzo o un bell’album. Se sei un rapper, devi saper rappare: spaccare al microfono a prescindere dai soldi e dalla visibilità non deve essere un’ambizione dell’underground, ma di tutti. La mia ambizione è sempre quella di fare un barra incredibile, di farne una dietro l’altra, in ogni pezzo. La mia ambizione è quella di essere sempre me stesso, di non mancarmi di rispetto. Non posso certo dire lo stesso di molti altri…

B: veniamo al recente passato. “Anonima sequestri” ti fa entrare in Make Rap Great Again fin dalla sua fase uno, tanto più che eri già in un featuring di “Young Bettino story”; come comincia questa storia e in che misura le tue idee hanno contribuito a definire l’identità dell’intero filone?
LP: Gioielli ci ha visto lungo, anzi lunghissimo. Lui, Blo e Fabio hanno dato inizio a una roba per quanto mi riguarda leggendaria. Il fatto che l’intero filone abbia avuto successo e seguito è dato dal fatto che, alla base di tutto, c’è un fattore importantissimo: la credibilità. Ogni membro del gruppo è credibile e ogni progetto allo stesso modo. Per questo motivo ho accettato con grande entusiasmo di condividere questa parte della mia carriera con loro. E ne vado fierissimo. Gioielli mi ha dato la possibilità di esprimermi, di avere un gruppo solido alle spalle e supporto. Io non sono un cantante, io faccio barre e credo che il mio apporto al gruppo e al progetto sia importante in pari misura a quello degli altri. Ho sempre fatto questo e MxRxGxA è ora la realtà più solida in Italia per questo tipo di Rap.

B: Kennedy, Yodha e Gioielli. Che similitudini e differenze trovi tra tre dei produttori coi quali hai lavorato di più?
LP: eh, sono molto diversi. Diciamo che Kennedy e Yodha sono leggermente più simili sotto alcuni punti di vista, inoltre ci conosciamo molto bene da tanti anni, quindi è più semplice rapportarci. Il fatto di avere le stesse origini è poi un altro fattore importantissimo. Per quanto riguarda Kennedy, credo sia stato uno dei più grandi nell’Hip-Hop italiano, un pilastro per quelli che fanno questo genere. Con lui ho realizzato tutto, non pensavo nemmeno di poter fare qualcos’altro con un altro produttore. Yodha, d’altro canto, è riuscito a dimostrare di non avere solo un gran talento come dj, ma anche come producer; e sono fierissimo di aver realizzato con lui alcuni pezzi ai quali sono più affezionato, vedi “Stella rossa” o “Hennessy” o “Anarchia e poesia”. Con Alessio ho continuato il filone che ho inaugurato con Kennedy. Gioielli è invece la mia resurrezione, ecco, non pensavo di poter fare altro al di fuori della mia famiglia, finché non è arrivato lui. E’ geniale sia nelle produzioni che nelle barre (anche se non bisogna dirglielo troppo spesso…).

B: ho lasciato fuori di proposito un quarto beatmaker, Nex Cassel. “Sardinia assassins” è sul podio delle uscite MxRxGxA che ho preferito: vorrei anzitutto sapere se l’omaggio al Dj Muggs prima maniera e a Soul Assassins sia un’idea tua o sua, poi qualche dettaglio in più sulla realizzazione.
LP: è stata principalmente un’idea di Cassel, io ho accettato subito visto che non ho mai fatto segreto del mio amore musicale verso Cypress Hill e Soul Assassins. Muggs e Alchemist mi hanno segnato. Cassel è un loro grande fan e non c’era modo migliore per noi di celebrare questa passione, se non omaggiandoli come meglio ci riesce, con il Rap. In più, ciò mi ha permesso di staccarmi un po’ da quello che facevo di solito, mi sono allontanato parecchio dal suono classico che mi ha contraddistinto negli anni. E’ stato un bel banco di prova e, dopo una settimana in veneto, litri d’alcol e centinaia di barre, sono tornato a casa convinto di aver fatto il mio miglior album. Sono molto soddisfatto di “Sardinia assassins”, non a caso è l’unico che porto inciso sulla pelle (grazie Elia il Mancino!), mi ha dato nuova linfa e nuova voglia di fare, non mi sentivo così da tanto tempo. Inoltre, ho avuto modo di conoscere meglio Cassel e gli altri ragazzi veneti, rafforzando ulteriormente il rapporto con i membri di MxRxGxA. E poi, a dirla tutta, Cassel è il mio rapper preferito, quindi per me è stato un onore!

B: in questo disco confermi un’attitudine basata su rime dirette e tasso tecnico. Rispetto al passato, a mio avviso si percepisce meno – da parte dell’utenza – la richiesta di contenuti troppo definiti, un po’ come se il messaggio che il Rap possa essere di per sé il contenuto sia finalmente stato assorbito. Credi sia così e, di conseguenza, che tra gli appassionati ci sia una maggiore consapevolezza del mezzo Rap?
LP: sì, diciamo che sono tornato un po’ ai tempi di “QSE nightmare”, dove rappavo per il gusto di rappare e basta. Ora naturalmente sono molto più consapevole, vista l’età e vista l’esperienza. Volevamo che fosse un disco diretto, crudo, Rap. E’ un po’ l’obiettivo principale di MxRxGxA, ecco perché ci troviamo così bene tutti insieme. Il disco è stato realizzato per il 90% in veneto, in una settimana, tra il mare e il bar, tra lo studio e i locali. Parla esattamente di quello, è un omaggio al collettivo che ci ha ispirato negli anni, ma solo musicalmente, per il resto è spocchia, è Rap. Credo che ora i giovani – e anche i meno giovani – abbiano capito che si possa fare un bel lavoro senza dovere per forza trattare alcuni argomenti particolari o dimostrare di saper fare tutto. Io so fare questo e ho fatto questo, nessuno si aspettava altro, si aspettavano barre e io ne ho tirate giù parecchie.

B: a questo proposito, nella tua scrittura spiccano due elementi portanti, cifra letteraria e citazionismo, abbinati a un’ignoranza molto muscolare, direi spietata. Di fatto è un efficace gioco di contrasti, per il quale trai ispirazione principalmente da chi e da cosa?
LP: credo sia sempre stato il mio biglietto da visita. Mi piace mettermi alla prova e cercare il gioco di parole diretto e mai scontato, trovo che sia il modo migliore per esprimermi. Adoro i film con i dialoghi assurdi, vedi Guy Ritchie, e adoro i libri che parlano di vita vera, di tormenti, di anime profonde. Amo la spocchia nella musica, il calcio e il mondo del tifo, vedi gli Oasis, e amo bere bene, amo i pomeriggi al pub, gli amici e le pinte, il gin & tonic, cazzo me lo sono pure tatuato. Tutto questo è in “Sardinia assassins” e negli altri progetti che ho realizzato negli anni, non c’è niente che non sia me stesso, in tutte le mie mille sfaccettature.

B: prima citavi “Underdogs”. In un certo senso chiudi quel cerchio di cui dicevamo e ti rifai in maniera diretta agli stilemi della west coast: dobbiamo considerarlo un esperimento isolato?
LP: con Marco – PayMe! – parlavamo di questo progetto da tempo e alla fine ci siamo decisi a trasformare le parole dette davanti a una birra in un disco vero e proprio. Come ti dicevo prima, da sardo sono cresciuto con SR Raza, Maku, La Fossa, quindi è stato molto stimolante per me cercare di dare una nuova chiave di lettura al G-Funk sardo. Volevo che fosse un omaggio, ma che fosse un prodotto in linea con la mia carriera, e solo PayMe! poteva cacciare delle sassate simili, è lui il vero ideatore del progetto. Ha prodotto i beat e buttato giù le idee per i pezzi, io diciamo che ho bevuto qualche bicchiere di troppo ai party… Pensiamo di realizzare un secondo episodio, ma questa volta ci muoveremo verso l’altra costa.

B: spostiamoci sul presente e magari sul futuro prossimo. Cominciamo da Parabellum: è una realtà ancora attiva, a prescindere dal fatto che non sia mai uscito un vero e proprio album che ne portasse il nome?
LP: Parabellum è per sempre! Lo dico e lo scrivo spessissimo perché è così. Parabellum non è un gruppo, è un collettivo di solisti che spesso hanno collaborato tra di loro. L’amicizia e il rispetto ci hanno tenuto legati per tanto tempo, anche nei momenti meno facili. Ora a lavorare in maniera più attiva siamo rimasti io e Yodha, ma questo non significa che non possa uscire qualche progetto firmato da altri componenti del gruppo. In vista non c’è nulla, ma non si sa mai.

B: sugli impegni più e meno solisti, invece, a cosa stai lavorando in questo momento?
LP: al momento sto lavorando a un progetto con Yodha e Mattaman, sul filone di “Sinners”. Mi viene facilissimo farlo, perché c’è una forte amicizia alla base di tutto, quindi basta un pomeriggio, uno studio e una bottiglia di Hennessy e il disco si fa da solo. E poi Yodha sta producendo bombe assurde, è più in forma che mai.

B: in un’intervista che ho letto un po’ di anni fa, dicevi di non voler rappare fino ai 40; tra un po’ ne farai 36: dobbiamo cominciare a preoccuparci?
LP: l’ho sempre pensato e ancora lo penso. Anche se, guardandomi intorno, rapper come Cassel, Montenero, Gioielli, Ibo e via dicendo, tutti artisti che stimo, ne hanno 40 o anche più eppure spaccano ancora e non poco. Anche alcuni mainstream tirano più dei giovani, quindi potrei cambiare idea. Non credo di essere andato verso il basso nel corso degli anni, anzi ultimamente sono stato molto più prolifico e ho scritto dei pezzi che considero tra i miei più belli. A 25 anni non avrei mai potuto scrivere alcuni pezzi che ho scritto invece a 35 e, per quanto riguarda la spocchia, è sempre la stessa. Quindi vedremo.

B: l’ultima domanda la faccio al quartese. Qualche settimana fa mi sono innamorato di due spiagge del cagliaritano, Su Giudeu a Chia e Cala Zafferano a Teulada: la prossima volta quali devo vedere?
LP: io da quartese spesso preferisco la costa est, anche se le spiagge che hai nominato sono tutte bellissime, in quella zona adoro Tuerredda. Se dovessi invece consigliarti qualche spiaggia nella costa sud est, ti direi Punta Molentis, Cala Pira, lo scoglio di Peppino e Monte Turno. Poi ovvio che ci sarebbe talmente tanto da vedere che sarebbe impossibile nominarle tutte. La mia preferita a Quartu resta Mari Pintau, un gioiello da Bandiera Blu.

Suggerimenti preziosi, questi ultimi, che non cadranno nel vuoto. Così come, laddove vi siano sfuggiti, vi suggeriamo di recuperare i vari titoli cui abbiamo fatto riferimento durante l’intervista, dato che non ce n’è uno che non meriti attenzioni. Ringraziamo infine Italo per la disponibilità – e magari tocca beccarsi a Cagliari, quando passeremo di nuovo da quelle parti…

Foto: Fabio Staccailturno.