Elzhi and Oh No – Heavy Vibrato

Voto: 4,5

La convinzione che non vi sia nulla da aggiungere sulla reputazione di Elzhi è largamente fondata e comprovabile: pur col dovuto sforzo mentale, non sopraggiunge nulla che possa arricchire un bagaglio di superlativi assoluti già espresso in mille e più occasioni in passato. Inventivo, energetico, complesso, metaforico, naturale, superiore, sopraffino; sono tutti termini che vanno a confermare, ma non a scoprire, quale sia il tasso di abilità che il talento di Detroit ha raggiunto nella sua travagliata esperienza, circoscrivendo un percorso che l’ha visto partire da prodigio e giungere allo status di sensei delle sillabe, un cerimoniere lirico oggettivamente indiscutibile e difficilmente equiparabile a qualcun altro.

A ogni nuovo tassello che compone un quadro discografico oggi finalmente nutrito a dovere, cresce infatti il pensiero di trovarsi al cospetto di un fenomeno generazionale, nonostante tale fama non gli venga riconosciuta col dovuto rispetto. L’utilizzo di aggettivi qualificativi eclatanti vuol essere appositamente provocatorio e allo stesso tempo comporta il prendere le distanze da ogni forma di sensazionalismo forzato, elementi che lasciamo volentieri a tutti quei consumatori intenti a raccogliersi in sudditanza alla voga del momento, nonché alle procaci incoronazioni che i media si ostinano a propinare ovunque. Si giri la frittata come meglio si desidera: se, dopo aver ascoltato questi trentacinque minuti di rime intricate, ingegnose, creative, fluenti, ci si renderà conto che il top della gamma abbia esattamente questa residenza, non si provi alcuna sorpresa, il riconoscimento da G.O.A.T. che Jason ricerca (e merita) da immemore tempo non è una fantasia campata per aria. Piuttosto, è uno stato di fatto.

Ne è testimonianza la punta di acredine puntualmente espressa nei testi, che definiremmo ragionata, però pur sempre marcata, col plus del circondarsi di una produzione complessa, multidimensionale, scura, perfetta per tratteggiare i contorni di una personalità tormentata ma combattiva, profondamente conscia del proprio talento e comunque inasprita, con piena giustificazione di ragioni. Dopo aver solcato i mari del sound tipico delle mura amiche e marchiato Motown, aver esplorato strumentazioni melodiche, Neo-Soul e Funk, “Heavy Vibrato” vira invece sul Jazz, il quale riveste un elemento di fascino intrinseco grazie all’estrosità dimostrata dal minore dei fratelli Jackson, eccellente nel pareggiare l’alto livello dei testi attraverso una visionaria manipolazione del vasto campionario di fonti da cui attinge, plasmando un apparato ipnotico, paranoico, teso, ricco di minuziosa attenzione al dettaglio. Oh No crea infatti un forte senso di coesione tra brani e intermezzi strumentali, gli uni confluiscono negli altri con estrema naturalezza, tanto da non riuscire a tracciarne immediatamente i confini; ogni struttura di loop primaria è coadiuvata da tasselli secondari determinanti nel comporre un puzzle musicale completo, coerente alla superiorità tecnica della controparte lirica.

Probabilmente logoro – come il sottoscritto… – per tutte le caricature che dominano il Rap, Elzhi assume un inedito atteggiamento velenoso, ma del tutto in controllo. Quanto c’è da comunicare arriva dritto al punto senza oltrepassare le righe, la spada è appuntita pur nella calma dell’enunciazione – nella squisita “In Your Feelings”, contraddistinta dal vibrafono, sferra tremende mazzate verbali con la stessa tranquillità con cui berrebbe un caffè – per quanto, a volte, il rapper paia assumere le sembianze di una creatura mitologica che è meglio non stuzzicare, a meno che non se ne vogliano pagare le conseguenze. “Trick Dice” avvolge in una spirale infuocata che spinge i malcapitati verso il basso, magistrale com’è nel dare luogo a braggin’ rights che evitano agilmente la scontatezza dei cliché sul tema, grazie all’abilità nel generare immagini, metafore, similitudini, tessendo trame metriche complicate e assemblando miriadi di sillabe con stordente semplicità, prendendosi astutamente gioco dell’incapacità altrui sopra un delizioso sample di archi (<<you bit off more than you can chew, that’s true Das Efx style>>). “Fireballs” si commenta da sé, l’unico quesito da porsi riguarda chi altri sia in grado di infliggere un tale grado di danno all’opposizione, minacciando con credibilità senza assumere pose, oltre a sciorinare un’inventiva di gran classe (<<El is not one you should bet against/took the crown and upset the Prince to get a better sense/of my capabilities, or how I shape my soliloquies/to talk sidewalk chalk and yellow tape facilities>>).

Indignazione e insofferenza verso l’impostazione plastificata dell’Industria sono sentimenti che emergono sovente, la coloritura di termini altamente descrittivi che esemplificano una “RIP (Radio International Programming)”, puntellata da tre differenti campioni di pianoforte, sottolinea lo stato zoppo di questa Cultura colpevolmente mercificata (<<how you do that? Tell me how you do that? You worse than them cigar-smokin’ execs gettin’ too fat>>) avvalendosi di un assist al bacio dell’amico Guilty Simpson, qui firmatario di una delle più valide strofe dei tempi recenti (<<if you couldn’t rhyme, you couldn’t shine/you want the mic get in line, you want the skills give you time/the gradual progression of a student is impressive/especially when they’re open to the lessons>>). L’atmosfera elegantemente rarefatta di “Possessed”, nella quale lo xilofono incrocia rumori spaziali, conduce all’idea che effettivamente un’entità si sia appropriata di un uomo di capacità lessicali esterne a ogni conosciuta concezione.

Tale pensiero è corroborato dai due magistrali storytelling, altra nota specialità del menù. “Bishop” è addirittura inarrivabile per come El s’inventi di stravolgere la regia di “Juice” riscrivendo in sintesi i passi salienti del film dalla prospettiva del personaggio interpretato da Tupac, confezionando una prova da stratosfera, pienamente nelle corde di un individuo che – a tempo debito – ha interamente ristrutturato un’opera miliare come “Illmatic”. “Twilight Zone” accarezza invece corde più fantasiose: universi paralleli, microchip, alieni ed esperimenti disumani rappresentano gli elementi essenziali di un vero e proprio cortometraggio, tant’è che seguendo il testo la mente riesce facilmente a produrre le immagini evocate. Infine, “Last Nerve” transita nella dimensione della quotidianità, accettando la condizione di poter esprimere la propria arte solo quando il conto in banca lo permetta, convogliando il tema verso esemplificazioni di tenebrosa ironia (<<can you tell me why someone would cut me in traffic and give me the middle finger on the Interstate at/4 p.m. at rush hour I’m just trying to get home/I’m sick of incidents like these that makes me think that I should ride with chrome>>).

Dunque, per rispondere al quesito posto dall’intro: what is heavy vibrato? Uno dei migliori dischi dell’ultima decade? Un’opera di primo livello forgiata da due enormi personalità artistiche? Una delle migliori prove alle macchine di Oh No? Una masterclass in liricismo? Magari non servirà per colmare le distanze tra l’effettivo talento di Elzhi e il riconoscimento del medesimo, ma le caselle delle voci appena citate contengono tutte un grande sì.

Tracklist

Elzhi and Oh No – Heavy Vibrato (Nature Sounds 2023)

  1. What Is Heavy Vibrato?!?
  2. Trick Dice
  3. In Your Feelings [Feat. Dank]
  4. Doc No Check Up
  5. RIP (Radio International Programming) [Feat. Guilty Simpson]
  6. Possessed
  7. Bishop
  8. Fireballs
  9. Smoke [Feat. Blu, Oh No and Phez Roc]
  10. Twilight Zone
  11. Say It Don’t Spray It
  12. Last Nerve

Beatz

All tracks produced by Oh No

The following two tabs change content below.

Mistadave

Ultimi post di Mistadave (vedi tutti)