Recognize Ali – As You Sow So Shall You Reap

Voto: 3

E’ un’attività davvero irrefrenabile quella connessa alla vivacità insita in Recognize Ali, il quale persevera nello sfornare un progetto dietro l’altro tenendo un ritmo al quale, in tutta sincerità, si fatica a star dietro. I numeri parlano chiaro e dietro questi c’è un lavoro costante e carico di stimoli interni, davvero ammirevoli per la continuità con cui gli stessi apportano pulsazioni alla necessità di registrare di continuo nuova musica, elementi facenti parte di una scalata che non si pone obiettivi di lucro, piuttosto di emulare le gesta dei grandi del passato. Il traguardo più ricercato da Ali parrebbe proprio l’essere insignito di quello stesso rispetto vigente quand’ancora il Rap possedeva dei valori sani, per raggiungere il quale il rapper originario di Accra, Ghana, ha trovato particolare riscontro in un atteggiamento atto a prendere ostaggi nella stessa maniera in cui si estranea dai patteggiamenti, tratteggiando un carattere che privilegia la sostanza e un certo qual tipo di moralità musicale, sempre meno importante nel panorama generale ma senz’altro apprezzata da chi ascolta i dischi con un minimo di sentimento.

Ciò che ancora non si è ben compreso, è il margine di progresso che si nasconde in concreto dietro alle velleità di un performer granitico, che si è fatto largo a suon di aggressioni, minacce e ineccepibili dimostrazioni di competenza, facendo della golden age tutta un punto di riferimento indissolubile dal quale non sussiste intenzione alcuna di distanziarsi: bene da un certo punto di vista, perché almeno qualcuno in grado di portare avanti la tradizione è bene che lo si trovi; meno bene osservando il tutto da un’altra ottica, nel senso che il rischio di ritrovarsi con una carriera esclusivamente circoscritta a determinate peculiarità diviene poi sensibilmente tangibile. Chiaro – e lo è stato sin dal primo contatto – che non ci si trovi di fronte alla quintessenza del rapper poliedrico, in ogni caso le potenzialità sono interessanti e le possibilità di inserirsi nel novero degli spitter più energici dell’attuale panorama underground ci sono tutte, a patto che si trovi un filo in più di continuità nella qualità delle uscite e che Ali riesca a far emergere con più costanza una personalità forte, ma che spesso tende ad attaccarsi ad altre già esistite o esistenti, come dimostrano i numerosi fiori gettati qua e là a favore dei protagonisti del Rap di trent’anni fa – siano questi una strofa citata in omaggio o un titolo di un brano esplicitamente riferito a pezzi classici – faticando a trovare un inquadramento che per ora, inevitabilmente, rimane circoscritto alle fonti d’ispirazione.

Il meccanismo ha funzionato un anno fa, quando il rapper dava alla luce il sommo “Back To Mecca II“, prosieguo della planimetria progettuale già disegnata con Giallo Point nel 2017, solo uno dei tanti collaboratori con cui il ghanese ha sciorinato l’armamentario lirico, così come aveva girato vicino alla massima potenza nella doppia avventura coi Dueling Experts (a proposito, ne mettiamo fuori un altro o no?), altra operazione collegata a quel passato che tutti rivorrebbero indietro, d’accordo, ma dalle risultanze assolutamente entusiasmanti. Nel mezzo di tutto ciò si è riscontrato qualche passo che ha lasciato la giuria ancora fuori dall’aula, come se non fosse ancora possibile definire collegialmente l’operato globale, che è un pò la sensazione provata durante l’ascolto di “As You Sow So Shall You Reap“, il quale a una prima e distratta lettura sembra un titolo dei Jedi Mind Tricks e al decimo inserimento delle cuffie nel jack del telefono pare più un riempitivo numerico del curriculum che non l’album che le attese avevano fatto presagire.

Nii Ayitey Ajin Adamafio non ha certo perso improvvisamente il proprio talento, né si è smarrito per strada: le impressioni positive che il liricista è sempre stato in grado di fornire sono ancora lì in bella mostra; trattasi semplicemente di un lavoro che, in generale, non è in grado di illuminarne la grinta. Quel carattere così simile alla carta vetrata appare quasi sfiancato da un pacchetto di beat evidentemente mal selezionato, a volte fiacco, altre insipido, in troppe poche circostanze davvero adeguato alle caratteristiche di un rapper che si è più volte dimostrato entusiasmante, seppure nei suoi limiti di versatilità. La sua rimane una prestazione soddisfacente, che gira certamente attorno ad argomenti univoci come la minacciosità, il confronto con nemici d’ogni genere, la smania di farsi vedere come una macchina da guerra pronta a tutto pur di far sentire una robusta presenza, il che è un esercizio che al Nostro riesce particolarmente bene, in particolare avvalendosi di un flow saldo e scorrevole, aspetto a cui si aggiunge un’indubbia capacità di mettere giù barre sufficientemente ricche di termini bisillabici, piazzati con discreta inventiva.

Tuttavia, le qualità appena elencate perdono parte del loro fascino se collocate sopra alla pesantezza di una “Toasters”, eretta su un abbinamento che sa esageratamente di cliché (chitarretta moscia, giro di piano che vorrebbe essere inquietante però è solo noioso), o nella deludente “Slay”, che per quanto possano soddisfare per esecuzione lirica costituiscono un esempio lampante di scarsa adattabilità stilistica. Invece, l’ottima struttura di “Neighborhood Grim Reapers”, che interseca una valida sezione di trombe per intro e ritornello a un giro di chitarra noir, gli archi filtrati di “Fish Stew” e l’energia emanata dalla conclusiva “The Genocider”, pur senza dare particolari scariche elettriche, collimano alla perfezione con la verve trasmessa al microfono, dando l’idea che ci si possa essere semplicemente accontentati di raccogliere qualche beat qua e là (non uno firmato dai partecipanti a “Back To Mecca II”, che suona come un indizio) al solo fine di metterne assieme una decina abbondante, non di realizzare un lavoro con un concept e una progettualità ben precisi.

Se da un lato l’esuberanza di Recognize Ali è sprecata, come accade in episodi quasi irritanti per quanto risultino simili a centinaia di altre produzioni (vedi “As A Man Soweth”), dall’altro è il rapper medesimo a cadere nella trappola della scarsa originalità, mettendo assieme rime oramai trite su una “Business Never Personal” che almeno propone una buona tensione musicale (<<I heard your favorite rapper, he’s worse than you/keep in mind that’s all business never personal>>) oppure facendo letteralmente cadere le braccia sul pavimento con l’ennesimo murda, murda, murda, kill, kill, kill che contraddistingue “Death Machine”, caratterizzata da una lucida prova nella struttura metrica e tuttavia penalizzata da una produzione che piazza un’ottima idea per l’intro, virando poi su una strumentale dal tempo completamente diverso, così demolendo le aspettative più rosee. “Veteranos” è carina, anche se fa venire in mente chiari riferimenti a un “Reject 2” qualsiasi, con l’unico ospite esterno, Tony Mundo, che altro non fa che mostrarsi figo nell’intrecciare un po’ di spanglish, tradendo ancora ispirazioni e riferimenti a percorsi già solcati da altri.

“As You Sow So Shall You Reap” è un addendo incolore, gravoso per come limita l’esuberanza e la personalità del suo attore primario nei confronti di una discografia sì corposa, ma a questo punto non del tutto lineare dal punto di vista qualitativo, in attesa di qualcosa che sistemi con solerzia le quotazioni del rispettabile mastino ghanese.

Tracklist

Recognize Ali – As You Sow So Shall You Reap (Greenfield Music 2024)

  1. Build Or Destroy
  2. Toasters
  3. Neighborhood Grim Reapers
  4. Fish Stew
  5. Slay
  6. Veteranos [Feat. Tony Mundo]
  7. Death Machine
  8. Business Never Personal
  9. Day Of Reckoning
  10. As A Man Soweth
  11. Spin Outs
  12. The Genocider

Beatz

  • Nickel Plated: 2, 7, 9, 11
  • Alcapella: 3, 5, 12
  • Reese Tanaka: 4
  • J. Blunted: 6
  • Brisk Fingaz: 8
  • Dub Sonata: 10

Scratch

  • D-Styles: 3, 9
  • Dj Grazzhoppa: 5
  • Dj Tray: 13
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