Ransom – No Rest For The Wicked

Voto: 3,5/4 –

In quell’infinito gioco di possibilità nel quale le soddisfazioni giungono solo per chi ha il coraggio di scommettere, non è stato difficile scorgere in Ransom l’attitudine di un artista che ha creduto sempre ciecamente in sé. E non dev’essere certo agevole giungere ai quarant’anni continuando ad assistere ai botti di artisti molto più giovani mentre si è ancora invischiati in una gavetta eterna, la medesima che aveva preso vita tanto tempo prima con la formazione di quell’A-Team – in compagnia di Joe Budden e Hitchcock – capace di attirare le attenzioni da sogno della Def Jam, prima di decretare un infausto nulla di fatto. Da allora è scorsa parecchia acqua sotto i giganteschi ponti newyorkesi senza che Randy Nichols si decretasse vinto, forgiato dalle amarezze di una vita vissuta tra sofferenza, attività illecite e frequenti gite dietro le sbarre, sanando un percorso che all’attualità ha effettuato la tanto agognata virata.

La scorsa stagione discografica ha inequivocabilmente ingrossato le quotazioni di un rapper che ha saputo coltivare adeguatamente gli elementi che ne distinguono la personalità artistica: uno scrittore fluente, arguto nella costruzione di doppi sensi che vanno colti collegando opportunamente determinati termini, fortemente carismatico e caratterizzato da un’andatura ferma, glaciale, attraverso la quale prendono forma torrenziali accostamenti di rime multisillabiche e disposizioni metriche di evidente finezza. Un profilo divenuto definitivamente prominente grazie al magnum opusHeavy Is The Head“, nel quale la potenza del vortice lirico convogliava con naturalezza nelle sfumature grimy di Big Ghost Ltd, nonché alla coppia d’assi formata con Rome Streetz, candidando “Coup De Grâce” tra i dischi di maggior impatto tellurico di tutta la scorsa annata.

No Rest For The Wicked” fa intendere la non intenzione di collocarsi agiatamente sugli allori già conquistati e punta dritto verso la prossima meta, sottolineando al contempo quell’aura maledetta che avvolge strettamente chi ha dovuto eseguire scelte moralmente opprimenti per sopravvivere. La sensazione di trovarsi dinanzi a uno dei maggiori esponenti lirici in attività è netta, confermata dall’evidente corposità di una scrittura tecnicamente ineccepibile, qui peraltro più intima rispetto al passato, da una presenza al microfono talmente ingombrante da far dimenticare quella di eventuali ospiti, tanta è la linea di demarcazione nella resa delle strofe, nonché da tutta la serie di puntini da unire al fine di delineare il senso di determinate frasi, accorgimento tattico che stimola quel particolare appetito provato desiderando di tornare tempestivamente ad analisi più approfondite su quei testi così ricchi di complesse assonanze.

Se la composizione lirica rimane di un’altra categoria, tanto per efficacia quanto per originalità nella stesura, altrettanto non si può però sostenere per la totalità della produzione supervisionata dal canadese Nicholas Craven, l’unico tra i convocati – cui aggiungiamo volentieri pure Bernard B. Whoodyard – a lasciare davvero il segno grazie a intuizioni che congiungono in maniera sempre ottimale sample musicali e vocali, elementi emotivi determinanti nel far da contrasto alla freddezza dell’enunciato. Peccato dover riscontrare la presenza di qualche fanfara di troppo o di scelte prive di quel mordente necessario per restare appiccicato all’elevato tasso qualitativo dell’elaborazione testuale, dando luogo a una serie di episodi che, seppur non troppo estesa, costringe il fluido Rap di Ransom a sostenere l’edificio in semi-solitudine. Così “The Hawk”, che riesce con estrema agilità a evitare i multipli cliché proposti dalla metafora pugilistica, lo scritto dettaglia con conoscenza e passione le comparazioni tra competizione sportiva e artistica alternando terzine e quartine in serie, tuttavia quell’atmosfera trionfale un po’ plastificata mortifica un brano che, in quanto leader della scaletta, dovrebbe dettare l’andatura del lavoro. Il discorso è sinistramente simile per l’insipida “Overnight Success” (e non è un caso se il producer coinvolto sia il medesimo Streezy, che tuttavia in “Coup De Grâce” aveva performato nettamente meglio), quasi uno spreco se relazionato alla copiosa presenza di rime composte.

Il fatto che proprio Craven estragga conigli dal cilindro con estrema puntualità rende ancor più difficoltosa la raccolta di impressioni definitive nel complesso di un lavoro discontinuo, ma che a tratti tocca picchi di tangibile eccellenza. “Circumstances”, opportunamente selezionata quale primo strumento promozionale del disco, cattura grazie all’intensità di un loop sopra al quale Ransom schiude il lato più protettivo della sua personalità, riuscendo come sempre a tessere assieme flow irresistibile e wordplay inebriante (<<I turn evil the second one of my girls mentioned/I bench press stress and curl tension/hold the weight on my shoulders ‘cause I’m shaped like a soldier>>), tant’è che della presenza di The Game ci si dimentica presto. Se il giro di violino estratto per “Compromised” non tocca il cuore, allora è meglio prenotare una visita quanto prima: il segmento sonoro avvolge e poi stringe forte, accompagnando parole che esprimono tensione, ansia, ricerca di coerenza, tuffandosi in linee autoreferenziali niente meno che superlative (<<every bar’s like a bullet, when I pull it, this shit gon’ stop breath/they whisper ‘bout me like I’m Loch Ness/an underground monster who ain’t made it to the top yet>>). E quella sorta di carillion maledetto che fa girare “Imperial Glaciers”? Tra i termini ricercati per la definizione, sublime è senz’altro il più pertinente.

Croce, delizia, la sensazione può giungere a variare anche nel giro di pochissimi istanti, per quanto le spalle di Ransom siano così possenti da porre in secondo piano il resto. Capita quindi di farsi catturare un poco alla volta dal suono pieno del sintetizzatore di “Rituals”, il cui loop rimanda tanto a una colonna sonora degli anni ottanta, uno street Rap indulgente che offre terreno fertile alla partecipazione di 38 Spesh. “Makin’ It” è invece fiacca, incolore, il ritornello è talmente inflazionato da sentire l’eco di DMX sul quasi omonimo pezzo di Nas. La storia di personale scommessa su di sé raccontata in “The Gambler” è resa ancor più intrigante dall’ottimo taglio e cucito vocale, il quale aumenta l’intensità già espressa dal testo. “Captions”, infine, è disastrosa, composta su un apparato eccessivamente voluttuoso sul quale piovono critiche ai social network attraverso uno sviluppo argomentativo discutibile, per quanto si arrivi al punto del ragionamento, cercando peraltro di dimenticare l’improvvisa dizione a fuoco rapido di Tyrant su una scala di bpm che non c’entra assolutamente nulla.

“No Rest For The Wicked” vede dunque Ransom uscire vincitore da ogni confronto grazie a un talento indiscutibile, per quanto resti il desiderio di rivederlo presto all’opera con un auspicabile progresso nella selezione dei beat. Un sì stringato, ma in ogni caso assolutamente convinto.

Tracklist

Ransom – No Rest For The Wicked (Momentum Entertainment 2022)

  1. The Hawk
  2. Rituals [Feat. 38 Spesh]
  3. Circumstances [Feat. The Game]
  4. Overnight Success
  5. Compromised
  6. Makin’ It
  7. Redemption
  8. Captions [Feat. Tyrant]
  9. Imperial Glaciers [Feat. Willie The Kid]
  10. The Gambler
  11. Beautiful Gravesites [Feat. J. Arrr and Black Chakra]

Beatz

  • Streezy: 1, 4
  • Bernard B. Whoodside: 2, 10
  • Nicholas Craven: 3, 5, 9
  • Mayor: 6
  • Big Jack: 7
  • Prophecy: 8
  • J. Arrr: 11
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