Jemini The Gifted One – Scars And Pain
New York è sempre stata una fucina di grandi talenti, è un dato oggettivo. La considerazione, scontata solo in apparenza, è in realtà la spinta per un ragionamento importante, che induce a chiedersi quanti siano stati gli artisti che non abbiamo mai conosciuto come meritavano, forti di una grossa credibilità di strada in grado di elargire loro uno status da leggenda locale ma intrappolati nelle dinamiche della vita del ghetto, o semplicemente fermati da eventi sfortunati – una morte prematura, una condanna per spaccio, un ingannevole contratto firmato senza nemmeno leggerne il contenuto per dar vita a un sogno puntualmente frantumato da un’etichetta. Jemini The Gifted One morto non è, ma un po’ sfortunato sì. Le due notizie in croce reperite sul web ci raccontano di un sopraggiunto cambio di nominativo in Big City, ma la sostanza non varia e Thomas Smith si ritrova così ad appartenere a una lunga schiera di mc’s intrappolata sul fondo del panorama Hip-Hop, alimentando un senso d’ingiustizia per non essere mai riuscito ad ottenere l’occasione che gli avrebbe permesso di cambiare in meglio la sua vita, possibilità che nessuno ha invece mai pensato di donargli.
Era l’anno dorato millenovecentonovantacinque, l’esatto momento in cui il Queensbridge tutto e un’araba fenice di vostra possibile conoscenza stavano strattonando New York nuovamente dentro quell’egemonia temporaneamente cancellata dal G-Funk di Dre e dei suoi cloni, un periodo in cui l’opportunità di misurarsi con certi pesi massimi rappresentava una chance a dir poco succulenta. Ecco quindi servito “Scars And Pain”, EP costituito da sei pezzi resi disponibili su un vinile promozionale che avrebbe dovuto fungere da preludio per un esordio su lunga distanza mai pervenuto, in quanto vilmente accantonato dalla Mercury; disco che rivede poi la luce solo quattro anni fa, a buoi abbondantemente scappati, grazie all’etichetta giapponese Octave attraverso una riedizione completa di remix dei tre pezzi più importanti. Un vero peccato, date le premesse. Ovvero: in primis un talento cristallino, accompagnato da un consistente carico di carisma al microfono, tanta inventiva e voglia di sfondare; in secondo luogo, un paio di produttori qualunque a fare da sponsor e pensiamo di non errare nel supporre che Buckwild e Organized Konfusion, all’apice della fama, non avessero intenzione alcuna di spendere i loro nomi al fianco di un artista che non detenesse ottime qualità; terzo e non ultimo, la solita, grande, irrecuperabile atmosfera di metà anni novanta, quella composta da uguali grassezze in termini di liricismi e beat, la cui unione andava a creare quell’idea di sottosuolo all’interno del quale ci si poteva sentire riparati e al sicuro, a debita distanza da tutto ciò che anche allora andava di moda.
Non passano che pochi secondi dall’attacco di “Can’t Stop Rockin'” e già si rimane fortemente impressionati dalle evidenti qualità di un mc che srotola il suo flow come fosse un esercizio ancor più facile delle tabelline, proponendo una delivery mutevole e tendente al cantilenato, nonché tenuta del ritmo e gestione del fiato impeccabili, tanto da far sembrare di poter proseguire a rappare per mesi. Il tema nostalgico (indovinato, nel ’95 c’era già una vecchia scuola – passa il tempo, eh?), l’atmosfera coinvolgente del pezzo e un beat possente che suona pure molto familiare – la sorgente la trovate qui ed è la stessa mutuata dagli Epmd per “Manslaughter” – costituiscono gli ingredienti necessari per partire con uno stucchevole botto. L’unione tra Jemini al microfono e la premiata ditta Pharoahe Monch/Prince Po alle macchine produce quindi un paio di autentiche sassate: “Funk Soul Sensation”, selezionata come singolo, si svolge su un groove di batteria da headnod spezza-collo accompagnato da un indovinato loop di tromba e propone un concetto molto originale, col rapper a scambiare rime tra sé e il suo alter ego tenendo due timbri di voce differenti; “Letcho ‘Batyflo”, costruita su un campione di Greg Nice, taglia invece degli archi e li dispone in un giro altamente contagioso, così mentre il basso scandisce fedelmente l’andamento del sample il testo spiega con camionate di stile come il protagonista intenda consolare ogni donna che si senta insoddisfatta dal proprio rapporto, senza mai scadere in volgarità gratuite – rischio facilissimo ma evitato grazie a una classe costruttiva che prende vita attraverso rime multisillabiche e pluralità di parole assonanti all’interno della medesima linea.
Cambia il manipolatore di suoni, ma la sostanza rimane immutata. Avevamo speso il nome di Buckwild e allora pare corretto addentrarsi anche nei due brani di sua responsabilità, che corrispondono ad altre due m-i-n-e. “Scars And Pain” cala il ritmo rispetto al resto della scaletta e riesce a bastonare davvero duro, facendone scaturire un pezzo dal sapore assai classico per come il loop di chitarra s’insinua sotto la batteria e per la sensazione ipnotica generata dai suoni, tuttavia il vero capolavoro è “Story Of My Life”, il cui piano malinconico risulta perfetto per accompagnare il senso del pezzo e dove Jemini eccelle alternando Rap, cantilena e cori melodici da lui stesso interpretati, un’ampiezza artistica molto originale che impreziosisce barre già di per sé sopraffine (<<To borough I was thorough when it came to my theories/of conjecture, so check the audio projector/of soliloquies of studies, the tragedies of Sophocles/embarks on the art with the heart of a Mozart>>). In un quadro del genere non poteva mancare qualcosa che risvegliasse il sacro potere infettivo del Jazz, attraverso il quale Minnesota confeziona l’ennesima bomba, un eccellente campione di tromba che non ci si riesce più a togliere dalla mente, ideale accompagnamento per un testo evocativo di ricordi suburbani che utilizza la rima interna in maniera ottimale. Il brano in questione, “Brooklyn Kids”, è uno dei remix recuperati per la ristampa, tra i quali spiccano pure la versione Fat Laces di “Can’t Stop Rockin'” – che grassa lo è davvero – ed una “Funk Soul Sensation” rifatta da Godfather Don ficcando nel campionatore una porzione della ben nota “Superman Lover”.
Messa così, ci pareva una carriera degna d’essere fatta fiorire a dovere, ma ancora una volta una bella storia di successo si è fermata davanti all’incompetenza del A&R di turno, incapace di capire chi si trovava per le mani e di spingere un EP che se integrato con un’altra manciata di tracce avrebbe certamente avuto la possibilità di trasformarsi in un classico. Sarà pure una bomba rimasta inesplosa, ma ora che qualche anima pia dagli occhi a mandorla l’ha riesumata come meritava, non fatevi sfuggire l’occasione per smembrare lo stereo di casa con tutto questo ben di Dio, in particolar modo se siete di quelli nostalgici.
Tracklist
Jemini The Gifted One – Scars And Pain (Mercury 1995/Octave 2012)
- Can’t Stop Rockin’ (Tribute)
- Brooklyn Kids (Dirty Mix)
- Scars And Pain
- Letcho ‘Batyflo
- Funk Soul Sensation (Dirty)
- Story Of My Life
- 50 MC’s In A Cipher
- Funk Soul Sensation (Godfather Mix Clean) (Bonus Track)
- Funk Soul Sensation (Return Of The Funk Soul Remix Clean) (Bonus Track)
- Brooklyn Kids (Remix) (Bonus Track)
- Can’t Stop Rockin’ (Tribute) (Fat Laces Mix Clean) (Bonus Track)
- Can’t Stop Rockin’ (Tribute) (Goldfinger Mix Dirty) (Bonus Track)
Beatz
- The Fat Man, Kenyatta and Jemini The Gifted One: 1
- Minnesota: 2, 10
- Buckwild: 3, 6
- Organized Konfusion: 4, 5
- Rah Boogy with the co-production by Jemini The Gifted One: 7
- Godfather Don: 8
- Soul G: 9
- Fat Laces: 11
- Goldfinger: 12
Mistadave
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