Ice-T – Power
Non ho alcuna difficoltà ad ammettere di avere un debole per Ice-T. O meglio, Ice-T ha sempre avuto un forte ascendente su di me – e non certo per la cara e prosperosa Darlene. Tracy Marrow fa parte di quell’infatuazione adolescenziale tipica di quando ti ritrovi a scoprire qualcosa di nuovo e che vuoi fare tuo ad ogni costo, un’esperienza che ti rappresenta e che ti dà una carica che nessun’altra cosa al mondo riesce a stuzzicare. “Power” mi è arrivato tra le mani da un conoscente di paese (!) il quale, sapendo della mia crescente passione per l’Hip-Hop americano, mi aveva gentilmente procurato una copia dalla cassetta originale. All’epoca – e se ben ricordo parliamo dell’ottantanove o del novanta – conoscevo bene solo la sacra triade formata da Public Enemy, Run-DMC e Beastie Boys, per il resto stavo cercando di farmi una cultura con i pochi mezzi a disposizione, ovvero qualche rivista con stracci di articoletti, rare foto, tante gite al Music Power, ma soprattutto il prezioso booklet di “It Takes A Nation Of Millions To Hold Us Back”, all’interno del quale i P.E. avevano l’ottimo vizio di citare pagine e pagine di colleghi coi cui nomi cominciai presto a familiarizzare. Ice-T e Afrika Islam, il suo fido produttore, erano annoverati da Chuck D nella Now School, tra le connessioni di Los Angeles.
“Power” è la perfetta rappresentazione di cosa voleva dire essere un mc negli anni ottanta, un’epoca dove per guadagnasi il rispetto dei colleghi e dei veri fan era necessaria la perfezione. Si componevano discografie con più classici consecutivi e non si passava il tempo a registrare tracce tutte uguali solo per rispettare un contratto e accondiscendere a platee sempre meno pretestuose e sempre più guidate dall’alto. L’originalità veniva prima di tutto. Tredici pezzi compresi intro ed outro, nessun featuring con la sola eccezione della tradizionale posse cut, nessuna barra vuota a livello significativo, uno stile pieno di personalità, di grinta, di voglia di arrivare in alto con le proprie forze, lottando strenuamente contro la censura. E pure tante storie criminali da mettere in rima, scritte da uno che di malaffare se ne intendeva parecchio, visti i suoi trascorsi di gioventù.
Ice-T ha sempre dovuto abbattere le apparenze, proprio le stesse che sembrano oggi contare più di tutto il resto. Armi, violenza, donne con mini-costumi, macchine velocissime e gioielleria assortita è ciò che l’immagine del personaggio suggerisce, ma “Power”, come d’altro canto sarebbe poi capitato a “The Iceberg”, al leggendario “Original Gangster” e al meno perfetto “Home Invasion”, nascondeva dietro le proprie quinte dei significati che, volutamente o meno, sono sempre sfuggiti alla maggioranza delle persone che hanno avuto a che fare con i dischi del leggendario Tracy. La titletrack ha sempre avuto il merito di riassumere egregiamente ciò nel giro di poche linee: <<I’m livin’ large as possible, posse unstoppable/style topical vividly optical/listen you’ll see ‘em, sometimes I’ll be ‘em/cops, critics and punks never ever wanna see me in power>>. Sostenuto da un drum beat inconfondibile e da una felicissima intersezione tra i loop di fiati appartenuti a James Brown e Jimmy Castor, il pezzo dipinge un quadro chiaro e sintetico che in nemmeno quattro barre parla del tipo di vita che Ice realmente faceva, cita la sua cricca e individua i propri persecutori, evidenziando la pericolosità che una grossa fetta d’America sentiva nell’osservare uno come lui esprimersi liberamente.
Mettendo quindi da parte estetica e superficialità, emerge immediatamente la grandezza tecnico/tematica di pezzi come “I’m Your Pusher” e “Drama”. La prima è ricordata per aver ricreato il ritornello della “Pusherman” di Curtis Mayfield, per essere stato il primo video in assoluto girato al fine di promuovere un pezzo di Ice-T (“Rhyme Pays” aveva venduto in maniera eccellente senza radio nè televisione come supporto), ma soprattutto per la rappresentazione di un’immensa bravura nella stesura dei propri pezzi più battaglieri, generando una metafora equiparante i suoi dischi alla roba reperibile nei vicoli più malfamati con intrecci di rime che utilizzano specifici termini del gergo dopato per creare wordplay assurdi (<<I know you’re lovin’ this drugs as it’s comin’ out your speaker/bass thru the bottoms, highs thru the tweeters/but this base you don’t need a pipe/just a tempo to keep your hype/groovin’ like I see you doin’/some stupid crack would just ruin>>), atti ad evidenziare la reale natura del pezzo. Per la seconda esemplificazione, distinguibile per l’uso del basso sintetizzato, il discorso non è differente: Ice eccelle nello svolgere le sue tematiche usufruendo di un’immaginazione fervida e di una capacità di creare un piccolo film estremamente dettagliato nei particolari traendo ispirazione dalla sua stessa vita passata – e quando il personaggio della storia paga le conseguenze delle proprie malefatte (<<the last thing you see is a priest>>) si capisce che lo scopo è esattamente inverso a quello di glorificare la malavita.
“Power” è un’istantanea sullo sviluppo della vita di Ice-T fino a quel momento, ma offre pure uno spaccato di Los Angeles e della west coast analizzandone gli stili di vita in voga ed aspetti non ancora conosciuti dalla massa, su tutti la sanguinosa violenza che risiedeva in quelle strade piene di gang e poliziotti corrotti. “High Rollers” è perfida nel suo continuo oscillare ai confini della linea morale, da un lato cerca di attirare descrivendo modi di vivere lussuosi ed opulenti, dall’altro mette in guardia dalla provvisorietà di quel medesimo tipo di esistenza, lasciando all’ascoltatore la scelta discrezionale di quale ambizione desiderare. “Grand Larceny” cerca una volta in più di prendersi gioco delle apparenze e crea un’altra sostituzione figurativa concettualmente molto interessante e pienamente attinente al linguaggio dell’Hip-Hop, è un pentolone che ha come ingrediente principale l’esperienza criminale di Ice e come condimento la sua voglia di un’esistenza meno precaria – anche in questo caso entra in gioco la metafora a chiarire un presente pulito, nel quale ad essere rubato è solo lo show. “Soul On Ice” esalta le indubbie qualità di storyteller e ancora una volta spiattella davanti alla platea tutto il materialismo possibile e immaginabile svolgendosi su un sottofondo musicale suonato a basso volume, ricolmo di Funk ed atmosfere da pimp (l’ispirazione, d’altro canto, arriva da Iceberg Slim) prima di giungere ad un epilogo ancora una volta tragico.
Non posso terminare l’analisi di questo gioiello esimendomi dal citare l’Ice-T battle rapper. Quest’epoca difatti rappresentava l’inizio del feud contro LL Cool J, il quale riceve stoccate in più di una traccia sia a livello diretto che concettuale. Se difatti la sporcacciona “Girls L.G.B.N.A.F.” altro non vuol essere che un’esplicita e spinta rivincita contro “I Need Love” e tutte quelle canzonette zuccherate per teenager, la vera lezione di stile arriva nella posse “The Syndicate”, in cui presenziano i non citati in scaletta Donald D e Hen Gee, nella quale Ice lascia andare una mazzata dietro l’altra: <<a lot of mc’s like to talk ‘bout they self/a first-grade topic, I think you need help/how many time on one album can you say you’re def?/”I’m baaaad” – Yo punk, save your breath>> è un passo riconducibile al fastidio provato nell’osservare il successo di un collega tematicamente più soft e perciò promosso dai medesimi radio suckers che facevano la caccia alle streghe, mentre <<you just talkin loud and sayin nothin/and if you get mad, sorry brother/and when you’re in LA, watch your colors>> enfatizza il concetto mettendoci dentro anche un pò di genuina territorialità. Tutta farina del sacco di un mc fantastico, in grado di coniugare differenti tipi di flow a schemi metrici versatili, rime interne, rime multisillabiche e rime multilinea che, come ci piace tanto sottolineare, una volta facevano parte del bagaglio minimo del rapper che volesse sfondare ed ottenere il rispetto delle strade.
Con questo credo di avervi raccontato tutto quello che so di “Power”, un disco di seminale importanza nella storia dell’Hip-Hop senza discriminazioni costiere; anzi, proprio da questo punto di vista è un prodotto unico, partorito dalla mente di un nativo di Newark, New Jersey, trasferitosi a L.A. a seguito della morte dei genitori. Probabilmente il miglior disco mai scritto da Ice-T rimane “O.G.”, ma personalmente non sono mai ruscito a dire se “Power” gli sia inferiore o superiore, o forse non mi è mai interessato ragionare in questi termini dato che ambedue rappresentano picchi inarrivabili della carriera di Ice. Un album di immutato fascino, di quelli recitabili tranquillamente a memoria e che riescono a provocare ancora qualche istante di pelle d’oca dopo così tanto tempo dalla folgorazione originaria, grazie ad uno dei più grandi mc’s di ogni epoca.
Tracklist
Ice-T – Power (Sire Records 1988)
- Intro
- Power
- Drama
- Heartbeat
- The Syndicate
- Radio Suckers
- I’m Your Pusher
- Take It Personal
- Girls L.G.B.N.A.F.
- High Rollers
- Grand Larceny
- Soul On Ice
- Outro
Beatz
All tracks produced by Ice-T and Afrika Islam
Scratch
All scratches by Dj Evil E
Mistadave
Ultimi post di Mistadave (vedi tutti)
- LL Cool J – The Force - 2 Ottobre 2024
- LL Cool J – The Force - 2 Ottobre 2024
- M.O.P. – To The Death - 18 Settembre 2024