Fat Boys – Coming Back Hard Again

Voto: 3,5

Si potrebbe disquisire all’infinito riguardo l’effettiva portata del lascito trasmesso dai Fat Boys e non trovare una conclusione definitiva alla discussione. C’è tuttavia una questione importante, che esula da qualsiasi possibile opinione ed è indissolubilmente legata al pionierismo abbinato al trio formato da Mark Morales (Prince Markie Dee), Darren Robinson (Buff o semplicemente The Human Beatbox) e Damon Wimbley (Kool Rock-Ski). Magari l’avranno fatto in maniera più commerciale del dovuto e anche qui potrebbero aprirsi interessanti spazi al dibattito, fatto sta che il contributo dei tre pesi massimi (la bilancia al top della forma segnava una sommatoria di 340 chilogrammi) alla crescita e all’espansione della conoscenza del movimento Hip-Hop tanto negli Stati Uniti quanto oltreoceano viene troppo spesso sottovalutato, generando una frettolosa e ingiusta dimenticanza quand’è il momento di elencare le influenze più incisive di quei magici anni ottanta.

La fine di quella decade era stata decisa nel determinare i criteri di futura sopravvivenza all’interno di un contesto preso da un’incontrollabile moto evolutivo, di conseguenza i grandi protagonisti dell’Hip-Hop legato al Disco Fever, al Fresh Fest e ai primi numeri di vendita significativi per il genere stavano cercando di conformarsi ai tempi aggrappandosi a qualsiasi cosa pur di non arrendersi all’oblio che gli avrebbe presto sottratto una fama considerevole. Nel 1988 i Fat Boys avevano già abbandonato da un pezzo le produzioni di Kurtis Blow, le leggendarie programmazioni ritmiche di Larry Smith e i giri di basso di Davy DMX, ma stavano lentamente e inesorabilmente abbandonando anche la loro notorietà, surclassati da una scena sospinta da tante correnti, tutte forti, all’interno delle quali stavano per esplodere l’impegno sociale, la militanza, la denuncia e la violenza, abbinando il tutto all’arrivo di una nuova infornata di talento che avrebbe presto portato il livello lirico a un gradino più alto.

Coming Back Hard Again” giungeva dunque sugli scaffali coi Fat Boys già destinati al declino, intenti a perseguire nella loro tipica autoparodia pur sapendo di doversi reggere su un filo oramai troppo assottigliato. Lasciati per sempre nell’armadio Kangol e cappelli alla Davy Crockett e adornati di giubbotti in pelle extralarge con delle forchette infilate all’altezza delle spalle, i tre avevano cercato di rinfrescare l’immagine continuando a non prendersi troppo sul serio, senza però rinunciare a cavalcare la fortunata onda Crossover della quale Beastie Boys e Run-DMC avevano prima esplorato e poi ampliato le potenzialità. Riprendere il vecchio per proporlo in una nuova veste aveva già rappresentato una formula di successo (vedasi “Wipeout” in compagnia dei Beach Boys), ecco motivata la decisione di riesumare due hit vecchie di trent’anni caricandole della tipica impronta party da sempre espressa dalla crew, ricavandone altrettanti pezzi ancor oggi irresistibili.

Per quanto la trovata fosse poco originale, è francamente impossibile aver vissuto quegli anni e non ricordare “The Twist”, astutamente alimentata dalla presenza dell’autore originario, Chubby Checker, generando un classico esaltante, elettrico, ballabile, divertente, spensierato, aggettivi che non a caso descrivono minuziosamente pure l’altra cover presente, “Louie, Louie”, altro episodio lacunoso in termini di novità, ma dannatamente memorabile per esecuzione (i ruggiti di Buff sono vicini all’epico) e trasmissione di energia contagiosa. La tesi che il disco godesse di un budget assai elevato è avvalorata dalla presenza di “Are You Ready For Freddy?”, nella quale le ritmiche Rap si adattano a un’ambientazione strumentale di spiccata sensibilità Pop, con tanto di nursery rhymes eseguite da Robert Englund in persona – altro esempio di mercificazione vista non benissimo dalla comunità Hip-Hop – e opportuno videoclip a corredo, con tanto di inclusione nella colonna sonora di “Nightmare 4 – Il non risveglio”.

Prince Markie Dee e Kool Rock-Ski eseguono un lavoro decente nell’interazione al microfono, frutto di un’inconfutabile coesistenza sviluppata nel corso dei tanti anni trascorsi condividendo il palco, per quanto le loro rime fossero ancora legate a schematiche già superate, sia per terminologie che per complessità metrica. Non saranno mai ricordati per essere stati dei campioni lirici ed è evidente come non siano riusciti a evolversi rispetto a una formula che, durante i primi dischi, li vedeva molto coinvolgenti grazie alla presenza ferma, alla particolarità timbrica e alla natura comicamente autodeprecabile delle tematiche, mantenendo una modalità di scrittura basica, impostata esclusivamente su rime a coppie e routine o specifiche parole d’incitamento (rock the house, turn this mutha out, eccetera) che non facevano più parte del vocabolario Rap.

La parte del leone la gioca quindi una produzione ambiziosa, che chiama a raccolta i Latin Rascals, ovvero i principali fautori dei trionfi della seconda metà di carriera dei tre ragazzoni, ai quali si aggiunge un piccolo esercito di compositori esperti nella creazione di ritmi percussivi e melodie accattivanti, con l’intento di cercare quella particolare fusione tra Hip-Hop, Pop ed Elettronica, trovando una ricchezza sonora esattamente antitetica rispetto al rudimentale suono degli esordi. E’ dura, anzi durissima, rimanere impassibili di fronte all’upbeat Funky/Electro pensato per “Rock The House Y’All”, opportunamente ridotta all’osso in coincidenza delle strofe per poi esplodere fragorosamente nel ritornello, così come è gradevole l’andatura Reggae di “Big Daddy”, distinta da un’intrigante linea di basso e un misto di Rap (Markie Dee esce disinvoltamente dal solito seminato) e Toasting. C’è anche spazio per l’ottimo Swing di “We Can Do This” (co-produce Van Gibbs, il padre di Salaam Remi), un tripudio di percussioni e trombe che vive grazie anche alle incursioni di Buff, intrattenitore di natura e autore di routine ideali da replicare dal vivo, dotato di una voce incredibilmente versatile, così comica e graffiante da fornire un chiaro valore aggiunto a episodi come l’allusiva “Jellyroll”. Peccato che lo spazio dedicato al suo beatboxing stesse significativamente calando, limitandolo a episodi sporadici.

Il progetto lascia tuttavia il fianco scoperto quanto eccede nell’imitazione attitudinale. All’interno della tosta ed essenziale “Back And Forth” si fanno largo evidenti tentativi di emulare i Run-DMC, nell’uso del flow, della cadenza, dell’intonazione vocale, nonché nel tipo di interazione lirica, tutti elementi chiaramente riconducibili allo stile espresso nell’omonimo esordio del trio di Hollis, per non parlare di quando si cade nella sfacciata imitazione di “You Be Illin’”. Altresì, la titletrack mette in gioco i chitarroni elettrici che tante fortune avevano eretto per “Licensed To Ill” e “Raising Hell”, inducendo il team di produzione a tentare la carta del Crossover atteggiato per dare una spintarella ai dati di vendita. Insufficiente, invece, il quarto finale dell’album, composto da tre pezzi sostanzialmente inutili, dei filler qualitativamente scarsi come “Pig Feet” e “Powerlord”, tentativi di autoproduzione andati male, più la melensa “All Day Lover”, melliflua nel voler accedere a tutti i costi a smancerie riconducibili a LL Cool J.

Vituperato dalla critica, poco gradito dalla frangia più hardcore del Rap, ma comunque in grado di far mantenere al gruppo il corretto quantitativo di credibilità artistica, “Coming Back Hard Again” è destinato a dividere le opinioni. Lontano anni luce dall’essere un classico e al netto del soggettivo valore affettivo che possiede, resta il fatto che la frequenza con cui lo si fa girare nell’impianto stereo rischia di schizzare vertiginosamente in alto qualora ci si predisponga a una sessione di ascolto indotta dalla sola voglia di ballare, di divertirsi, di farsi catturare da una perpetua sensazione di festa. La medesima con cui è nata e cresciuta una Cultura sulla quale l’impronta dei Fat Boys rimane comunque indelebilmente scolpita.

Tracklist

Fat Boys – Coming Back Hard Again (Polydor 1988)

  1. The Twist [Feat. Chubby Checker]
  2. Rock The House Y’All
  3. We Can Do This
  4. Back And Forth
  5. Jellyroll
  6. Big Daddy
  7. Coming Back Hard Again
  8. Louie, Louie
  9. Are You Ready For Freddy?
  10. All Day Lover
  11. Powerlord
  12. Pig Feet

Beatz

  • The Latin Rascals (Albert Cabrera and Tony Moran): 1, 2, 8
  • Eddison Electrik and Van Gibbs: 3, 6
  • Damon Wimbley, Darren Robinson and Steve Linsley: 4, 5
  • Gary Rottger: 7, 10
  • Chris Richards, The Indiana Crew and Tony Bongiovi: 9
  • Damon Wimbley and Darren Robinson: 11
  • “Fresh” Gordon Pickett and Mark Morales: 12
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