Eric B. & Rakim – Let The Rhythm Hit ‘Em

Voto: 4,5

Negli anni ottanta, il Rap imponeva di restare al passo con i tempi: vigevano delle leggi non scritte, copiare era un reato perseguibile con il pestaggio e l’estromissione dai circoli più importanti della Cultura, rimanere sulla cresta dell’onda non era così semplice come si tende invece a credere. Per chiunque era importante sentire quali novità giravano per le strade, porre la massima attenzione alle uscite degli artisti più forti dell’epoca, saper proporre qualcosa di rinfrescante. Tali prerogative erano ben impresse nell’organizzazione programmatica di chiunque, poco importava lo status creato dal passaparola, dai concerti, dai dischi registrati; ed erano ben chiare pure nella testa del migliore di sempre, una figura spesso accostata all’Altissimo del microfono per la rivoluzione tecnica che aveva saputo fornire a un genere che, prima di lui, si accontentava di intrattenere strutturando le rime attraverso gli schemi più elementari.

Rakim, anche noto come The God MC, aveva riscritto la dogmatica del Rap imprimendo l’anno 1986 nella Storia con brani leggendari, bruciando la competizione sin dalle prime, grezze registrazioni di “My Melody” ed “Eric B. Is President”, classici privi di età, anche senza godere del potere d’immagine dei Run-DMC o del macho LL Cool J, ma fruendo tuttavia di un’inedita abilità linguistica e di un senso del ritmo innato, derivato dal saper giostrare la voce sul beat come i grandi musicisti Jazz del passato. In principio dei nineties Rakim e il suo partner in crime Eric B. vantavano già due pietre miliari come “Paid In Full” e “Follow The Leader“, trattati di poesia lirica sviscerati sopra apparati musicali transati dal solito James Brown ad ambientazioni più caotiche e aspre, dovevano ora misurarsi con una panoramica in grado di inanellare mutazioni a ritmi vertiginosi grazie al fermento di talento che stava prepotentemente emergendo dai bassifondi dei cinque boroughs.

In un momento storico nel quale immettere sul mercato qualsiasi prodotto diverso da un classico poteva essere un passo falso potenzialmente fatale per la carriera (vero, LL?), Eric B. & Rakim tornavano su una scena che non avevano in realtà mai lasciato, rilasciando il terzo LP in quattro anni e offrendo un’immutata qualità lirica e pacchi d’inventiva assai creativa nella sua auto-indulgenza. La vera novità derivava da un suono più scuro, fatto di sezioni ritmiche molto dure e una vasta quantità di prelievi da quel Jazz che, tagliato a fettine, si inseriva alla perfezione su batterie ricolme di massa muscolare, in particolare se abbinato a un tono vocale ben più basso di quanto si fosse ascoltato in precedenza. Una scelta vincente per dare quella decisiva impronta di ombrosità al risultato finale.

Let The Rhythm Hit ‘Em” non conterrà i singoli da urlo che avevano contraddistinto i primi due dischi del magico duo newyorkese, la sua granitica morfologia ne rappresenta però proprio quel senso di novità determinante per sopravvivere allo scorrere del tempo. Merito dell’ennesima performance lirica di livello mirabolante, indubbio, come pure di una produzione che vedeva i crediti interamente assegnati a Eric B. ma viveva degli imprescindibili contributi dell’indimenticato Paul C, raro caucasico accettato in circoli black, un rivoluzionario del sampling e della programmazione ritmica purtroppo assassinato a soli 25 anni, proprio durante le sessioni di questo disco. Paul stava fortunatamente crescendo sotto la sua ala protettiva un ragazzino all’ultimo anno delle superiori che passava molte delle sue serate a sviluppare il vezzo per il beatmaking, di conseguenza un giovanissimo ma per nulla acerbo Large Professor si era improvvisamente trovato a dover terminare il lavoro del mentore senza farsi intimidire dalla presenza di due mostri sacri, riuscendo nella missione in maniera nientemeno che egregia.

Tolto ogni riferimento alla old school sia nel suono che nell’atteggiamento lirico e riveduta una struttura sequenziale oramai superata – soprattutto qualche strumentale di troppo – ne era uscito un disco di inedita potenza, una sensazione donata tanto da un tasso di letalità dei testi invariato nonostante la sostanziale diminuzione di aggressione captabile nella voce di Rakim, quanto da una solidità sonora ideale per affermare nuovamente la propria egemonia all’interno della nuova era.

Tira un’aria completamente differente ed è sufficiente sottoporsi all’ascolto della titletrack per sentirsi investire da un bus. Le quattro strofe scivolano via come l’olio, il rapping dimostra che può ugualmente graffiare pur mantenendo toni più calmi sprigionando la sua fantasia all’interno di una vera e propria armeria figurativa (<<I’m the arsenal, I got artillery, lyrics are ammo/rounds of rhythm, then I’ma give ‘em piano/bring a bulletproof vest, nothin’ to ricochet/ready, aim at the brain, now what the trigger say>>), il beat picchia durissimo con colpi di cassa vigorosi e sample intimidatori, un’andatura sostenuta dov’è peraltro affascinante notare come le varie sillabe arrivino a combaciare anche sui kick più ravvicinati. Un’interessante nota a margine: dato che il momento storico conosceva ancora l’arte del remix, è bene sottolineare che alcune edizioni del disco contengono anche la stupenda riedizione del brano che Dj Mark The 45 King plasma con umore completamente differente dall’originale, facendo convivere esaltanti estratti di tromba a un ritmo ballabile, sopra al quale la minacciosità del testo cambia completamente registro.

Le possibilità della scrittura di Rakim sono infinite, proprio come testimonia metaforicamente “No Omega”, un’entità che investe la competizione come una slavina, gestendo a dovere il sample di chitarra e trombe che accompagna una delle tante, impeccabili esibizioni del Nostro. “Run For Cover” evidenzia estrema varietà nel flow passando agilmente dalla pronuncia spezzata all’accelerazione nel giro di tre barre, l’apparato strumentale è minimale ma possente, la linea di basso vincente (è la stessa campionata da Dj Muggs per “Real Estate”), i sample sono idoneamente posti in sequenza avvalorando il sapiente montaggio eseguito dal compianto Paul C. Il giovanissimo produttore, prima di lasciare questo mondo, aveva peraltro già allacciato le componenti di “Untouchables”, uno dei tanti esplosivi poco conosciuti di questo disco, scovando un bellissimo sample di piano e tromba – che passa da un lato delle cuffie all’altro delineando la pausa tra una strofa e l’altra con eleganza – e il contrabbasso a puntellare una sezione ritmica non certo agevole, che però Rakim addenta con assoluta puntualità.

Sono proprio gli episodi meno noti a sorreggere le sorti di un album del quale si ricordano a fatica i titoli delle principali hit, ma che propone generose quantità di materiale da dissotterrare. Tracce come “Keep’ Em Eager To Listen” costituiscono un notevole passo avanti nell’aggiornamento del taglio compositivo, si nota molto gusto nella selezione dei campioni e nella creazione di ritmiche dove il Jazz è onnipresente, persino trionfante. “Set ‘Em Straight”, nella quale Rakim nasconde nel doppiofondo dell’ego-tripping messaggi di rivalsa e coscienza (<<they even said that I was locked in jail/so now I guess I’m out on bail?/The only island I was on was the Strong one/and if I did my bid, it’ll be a long one/’cause if I sold weight, I’d be Upstate/in the penile, waitin’ for a break/’cause sellin’ drugs is for handicaps/I got too many skills besides bustin’ rough Raps/if I go to jail, it won’t be for sellin’ keys/it’ll be for murderin’ mc’s>>), costituisce un’evoluzione produttiva sostanziale, utile al limare le differenze che i dischi precedenti presentavano tra singoloni e il resto della scaletta. Asseverazione verso la quale fanno eccezione solo un paio di episodi, se non altro vista l’impostazione maggiormente sui generis di “Step Back”, un tantino vetusta, e della classica strumentale scratchata da Eric B. (“Eric B. Made My Day”), nulla di trascendentale rispetto a quanto altri dj proponevano nel medesimo periodo.

Rimangono invece memorabili passaggi di maggiore profondità come “In The Ghetto”, composta (uncredited, appunto) da Large Pro sovrapponendo armonicamente due sample di differente origine per una risultanza scarna ma rocciosa (più melodica, invece, la versione proposta dal videoclip), significativa variazione delle argomentazioni normalmente trattate da un Rakim qui impegnato con tematiche sensibili, tenendo sotto tiro conoscenza (vi sono molteplici riferimenti alla Five Percent Nation) e autocelebrazione (<<I’m God, but it seems like I’m locked in Hell/lookin’ over the edge but the R never fell>>). Al Green è infine il padrone dei riflettori grazie alla sua “I’m Glad You’re Mine”, che rivive nel cuore di una “Mahogany” che sviluppa uno storytelling progressivo, carico di savoir-faire e abilità descrittiva.

Spesso dimenticato di fronte alla vastità dei pezzi di storia che Eric B. & Rakim hanno scritto, “Let The Rhythm Hit ‘Em” risulta invece esserne con pochi dubbi – pur se non il migliore in senso stretto – l’album più completo, compatto, innovativo e accattivante: un altro colosso, in una discografia di titani.

Tracklist

Eric B. & Rakim – Let The Rhythm Hit ‘Em (MCA Records 1990)

  1. Let The Rhythm Hit ‘Em
  2. No Omega
  3. In The Ghetto
  4. Step Back
  5. Eric B. Made My Day
  6. Run For Cover
  7. Untouchables
  8. Mahogany
  9. Keep ‘Em Eager To Listen
  10. Set ‘Em Straight
  11. Let The Rhythm Hit ‘Em (12” Vocal Version Remix)

Beatz

All tracks produced by Eric B. & Rakim except track #11 by Dj Mark The 45 King

Scratch

All scratches by Eric B.

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