Ed O.G & Da Bulldogs – Roxbury 02119

Voto: 3,5

Unico responsabile della prima esposizione di Boston in una geografia Hip-Hop assai ardua da conquistare, se non altro per l’influente vicinanza della Grande Mela, Edward Anderson è ritenuto all’unanimità come il padrino di una scena che gli è perennemente in debito, ruolo imprescindibile rivestito fin dai primissimi anni novanta in una realtà dominata dal binomio New York/Los Angeles. Proprio nei cinque bourough, Edo (allora Ed O.G) era invece riuscito a fare breccia ottenendo quel riconoscimento altrimenti reso credibile solo attraverso una provenienza interna al perimetro delle metropoli, registrando un debutto coi fiocchi, “Life Of A Kid In The Ghetto“, grazie all’aiuto di Special K e Teddy Ted (meglio conosciuti come gli Awesome 2, personalità radiofoniche di notevole spicco), nonché di un giovane e bianco genio del computer, Joe Mansfield, il quale aveva messo assieme tutta la produzione presente in quell’album dopo anni passati a realizzare demo, nella speranza di ottenere un contratto.

Roxbury 02119” arrivò a distanza di due anni dalla fama conquistata grazie a pezzi immortali come “I Got To Have It” e “Be A Father To Your Child”, seguendone orme simili ma attualizzandone il suono. La east coast del 1993 – almeno finché non pervenne RZA a stravolgere tutto… – aderiva infatti a canoni privilegianti le tonnellate di Jazz in bianco e nero campionato sostanzialmente ovunque, al fine di creare quel flava così magnetico e gustoso, fungendo da basamento per qualsiasi impianto sonoro desiderasse definirsi rispettabile. Non solo Mansfield aveva coerentemente aggiornato i cesti di vinili da tagliare e offrire al successivo processo analogico; i gradi conquistati dal rapper, forte di un messaggio solidamente coscienzioso come pure di una personalità versatile e divertente, avevano attirato l’attenzione di Diamond D, allora compagno d’etichetta, affiancando dunque the best producer on the mic a quel bostoniano in cerca di solenni conferme.

Ne uscì un conglomerato in grado di sconquassare gli stereo di tutte le jeep che vagavano per i quartieri coi finestrini abbassati, dimostrando con fierezza il possesso del tape del momento, il quale tuttavia non riuscì del tutto a confrontarsi col lavoro maturo, cosciente, sorprendente e divagatorio emerso in fase d’esordio. Un buonissimo disco, sia chiaro, che non si elevava al cospetto delle numerosissime pubblicazioni che, freneticamente e con ritmi da capogiro, stavano letteralmente segnando un’epoca leggendaria. I riferimenti fissi concepiti per l’operazione precedente risultano perfettamente riconoscibili: dodici tracce, due pezzi da novanta capaci di cementare l’inserimento del Nostro in uno specifico gotha artistico, profonde considerazioni morali, la goliardia dei vent’anni, l’autoreferenza, la semi-totale assenza dei fantasmagorici Da Bulldogs nei contributi (con l’eccezione dei cut di Dj Cruz e la mera presenza in copertina), nonché un vagone di sample e breakbeat tra l’eccellente e il poco originale, per quanto conforme rispetto al rapido cambio di dettami al quale l’Hip-Hop era assoggettato.

Qualora lo si dovesse giudicare limitatamente alla presenza di “Love Come And Goes” e “Streets Of The Ghetto”, l’album otterrebbe tranquillamente la definizione di capolavoro. Qui, il peso specifico rivestito da Diamond è infatti molto visibile: nel primo caso si può parlare di una gemma che, dopo tutti gli anni trascorsi dalla sua pubblicazione, distingue ancora chiaramente la figura di Edo nel contesto generale, un’autentica vetta di repertorio costruita su emozione e riflessione, chitarra, campione vocale (prelevato da Arthur Conley) e fiati densi di malinconia; altresì un testo come sempre intelligente, in grado di restare nei confini del tema – la perdita violenta di una persona cara – pur se trattato da angolazioni differenti, intrecciando famiglia, passi biografici e critica morale. Il secondo episodio citato esalta invece le capacità descrittive del rapper, che si esibisce sopra una strumentale grigia, deliziosamente offuscata dal senso di pericolo, parlando di esistenze vissute sul filo di lana agli angoli delle strade, raccontando le evoluzioni e i fallimenti di uno spacciatore, percorso emotivo che giunge fino al fatalismo conclusivo tessendo ciascun filo della lezione che il narrato offre.

Già al tempo, Edo dimostrava di possedere un metodo di scrittura avanzato, aspetto che nemmeno trent’anni fa, con tutta l’abbondanza di talento presente, poteva definirsi scontato. Lo dimostra “Busted”, la quale muove nuovamente una specialità di casa, vale a dire la diversificata suddivisione figurativa nelle tre strofe che si uniscono poi nel giungere al medesimo punto concettuale, gettando un terreno comune tra realness, sprechi economici e figure femminili pericolose da frequentare; peccato la produzione scenda di un paio di gradini, Diamond si accontenta di una base flebile – quella stessa linea di basso l’avrebbe utilizzata in modo assai migliore su “The Next Level” degli Alkaholiks – generando l’impressione che non tutti i contenuti viaggino su un’impronta qualitativa omogenea. Un’argomentazione simile la si può spendere anche per “I Thought Ya Knew”, nella quale il vinile gracchia in sottofondo a due brevissimi tagli di tromba e piano, sostenuti da una batteria debole, insieme nel quale si sviluppa un testo metricamente assai interessante, ma privo – nel suo trattare le prospettive di successo artistico – della potenza evocativa degli altri. Proprio come accadeva in parte su “Life Of A Kid In The Ghetto”, alcuni sample non suonano altrettanto bene rispetto agli utilizzi fatti da terzi, è il caso di “Dat Ain’t Right”, dove la “Gettin’ It On” di Dennis Coffey, già campionata dai Public Enemy nella magistrale “You’re Gonna Get Yours”, non rende nemmeno un decimo della stessa potenza, mentre Edo decide di sprecare qualche buona cartuccia affrontando argomenti più frivoli, ovvero colpevolizzando le donne che si atteggiano ma non concludono.

La consistenza nella struttura del lavoro fornisce qualche soddisfazione in più negli elaborati di Mansfield, evidentemente migliorato nella fluidità complessiva del sound. A sua firma è infatti da registrare l’inserto di tromba assolutamente indovinato per dare linfa a “I’m Laughin'”, programmata su una batteria assai pesa per ospitare una notevole dimostrazione di versatilità stilistica – esaltante la manciata di barre a fuoco rapido – seppure un filo penalizzata da quella risata campionata, proposta con una ripetitività al limite del fastidioso. “Skinny Dip” è assolutamente tipica, piacevolmente rugginosa per come ne viene gestito il loop di trombe e il senso di unto che ne deriva, la sezione ritmica è quadrata e battente, il testo lascia il passo al lato più scanzonato e furbacchione del personaggio, muovendosi sulle stesse frequenze che “She Said She Was Great” aveva percorso un paio d’anni prima; “Go Up And Up” è un’altra prova di sottile intelletto nel suo trattare il confronto di strada alla vecchia maniera, cogliendo l’attimo per denunciare molto ermeticamente la piaga comunitaria delle armi da fuoco; “Less Than Zero” svolge l’argomento da un punto di vista sociale – toccando gli abusi delle forze dell’ordine – e fa trasparire un senso di frustrazione che non cede mai il passo alla rabbia, per poi giungere all’autostima etnica sopra alle piacevoli evoluzioni della tromba di John Klemmer (“Free Soul”), altro loop sentito in decine di altre circostanze. “Try Me”, infine, è una bocciatura completa nel suo tentare di accalappiare radio e sederi in movimento con un R’n’B parecchio commerciale; pertanto, più che di sperimentazione o adesione alle mode black dell’epoca, annotiamo una momentanea mancanza nella direzione da prendere.

“Roxbury 02119”, pur con i suoi indubbi pregi, fu dimenticato in fretta, seppellito dall’enorme portata della concorrenza, nonché per non essere risultato all’altezza del suo predecessore. Per queste ragioni, non ottenne il successo sperato; almeno per la casa discografica che lo pubblicò, portando alla rescissione dell’accordo con Edo. G, con tutte le conseguenze del caso. A seguito di notevoli difficoltà nella riemersione, il rapper sarebbe tornato dopo anni con una nuova carriera finalmente scevra da accostamenti a crew pressoché inesistenti, pronto per il nuovo secolo, da solo, con gli Special Teamz, con Masta Ace e tanti altri, costruendo passo dopo passo quella stessa ricca discografia che oggi continua ad alimentare una statuaria longevità.

Tracklist

Ed O.G & Da Bulldogs – Roxbury 02119 (PolyGram Records 1993)

  1. Streets Of The Ghetto
  2. Busted
  3. Love Comes And Goes
  4. Skinny Dip (Got It Goin’ On)
  5. I Thought Ya Knew
  6. I’m Laughin’
  7. I’ll Rip You
  8. Go Up And Up
  9. Try Me
  10. Dat Ain’t Right
  11. Less Than Zero
  12. Check It Out

Beatz

  • Diamond: 1, 2, 3, 5, 10
  • Ed O.G, Joe Mansfield and Smitt Dog: 4
  • Joe Mansfield: 6, 8, 11, 12
  • Scott Foster: 7
  • Desmond Sharief Powell: 9

Scratch

All scratches by Dj Cruz

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