Planet Asia – The Golden Buddha

Voto: 3,5

Il caso Planet Asia è assai curioso. L’artista di Fresno è difatti detentore di un curriculum vitae degno di illustre rispetto, generato da un’attività assai fervente e duratura che l’ha portato ad essere conosciuto come uno dei lyricist maggiormente degni di nota di tutto il panorama underground, un profilo col quale si è sempre confrontato con successo. Eppure, guardandoci indietro e analizzando i vari passaggi della sua ricchissima discografia, le pietre miliari firmate da Asia rimangono l’ancora oggi affascinante “How The West Was One”, uno dei punti fermi di quell’epoca confezionato assieme al collega Rasco sotto il nome di Cali Agents, e l’esemplare “Pain Language”, unica casistica in cui l’indiscutibile abilità lirica di Jason Green sia stata veramente affiancata da un comparto musicale all’altezza delle aspettative, grazie all’ausilio dei magici poteri sprigionati dal leggendario Dj Muggs.

Da quei dischi è trascorso diverso tempo, allungando esponenzialmente l’attesa di un nuovo progetto degno della fama che l’mc si è costruito con il duro lavoro svolto tra palco e sala d’incisione, da un lato lasciando una costante sensazione d’incompiutezza per il suo indiscutibile talento, dall’altro continuando sistematicamente a creare hype per ogni nuova tappa del suo percorso artistico, lasciando invariata una speranza che – almeno nel nostro caso – rimane ancora ben alimentata nonostante il continuo rimando a data incerta per il fatidico album che possa risultare ben rappresentativo di una comunque autorevole carriera.

Se il primo quesito cui rispondere in ordine d’importanza risiede in quanto appena detto, crediamo allora che “The Golden Buddha” non aggiunga nulla al discorso, o perlomeno si limiti a farlo in circostanze circoscritte, non centrando di conseguenza alcuni dei risultati che gli avevamo calibrato addosso misurando il tasso di capacità di un soggetto che da sempre riteniamo degno d’ammirazione, sia per caratteristiche tecniche che per longevità di carriera. Il che non significa bollare quest’ultimo come un cattivo disco, cosa che non è nemmeno lontanamente, perché l’instancabile modo di spittare, la fiera combattività delle sue rime confrontazionali, il flow preciso, il timbro vocale autorevole e tutti gli elaborati intrecci metrici ne costituiscono pur sempre il piatto forte.

“The Golden Buddha” vede l’altrimenti conosciuto come P.A. Medallions percorrere un sentiero ben delineato e preciso, come conferma la decisione di avvalersi anche stavolta di un solo produttore per curare il lato musicale della faccenda, scelta che per l’occasione ricade sul casalingo Izznyce, il quale esce dritto da San Francisco e confeziona un sound certamente capace di variare in maniera soddisfacente registro senza fossilizzarsi in nulla, ma che si alterna tra picchi di somma degustazione e passaggi decisamente migliorabili, talvolta lontani dall’attualità.

E’ difatti notevole la capacità del produttore californiano di calare l’asso in una manciata di episodi e parliamo di beat che ben figurerebbero in un qualunque disco classico, circostanze nelle quali è evidente come Planet Asia si spinga con naturalezza nell’aumentare la già cospicua dose di aggressività che normalmente lo contraddistingue. “Black Egypt”, sotto questo punto di vista, ne è una chiara esemplificazione, la pregevole costruzione del loop avviene attraverso un sample catturato a bassa fedeltà, sono presenti gradevoli bordate di basso e il Rap è impeccabile nel suo scandire i tempi del pezzo, rendendo piacevole un contesto del tutto privo del sostegno della batteria. Altrettanto, è impossibile non rimanere catturati dalla melodia di una “Siddharta” basata su un sample di chitarra acustica e archi di estrazione coerentemente bollywoodiana, nella quale la ferocia al microfono si arricchisce delle consuete referenze orientali (<<it’s the esoteric mobsta, elegant crook style, Siddharta/I’m back up in my element look/it’s the original Asia my words are the magic, the final stage of enlighting, return of the dragon/nothing but classics back to back repeatedly>>).

Particolarmente azzeccata ci pare l’accoppiata con AZ per “Fast Not Slow”, un altro dei momenti di punta e pezzo musicalmente ipnotico, dov’è chiara l’intesa concettuale dell’improvvisato duo nel confezionare un Rap in stile mobsta le cui rime offrono un forte potere d’immagine, arricchito dalla morbida e puntuale esposizione di un ospite di rilievo come Anthony Cruz. “Shots At Your Highness” e le sue delicate atmosfere asiatiche rielaborate in chiave boom bap sono ancora una vera gioia per l’apparato uditivo e alzano il tasso di fuoriuscita di barre particolarmente motivate.

Laddove l’efficacia del lavoro lirico non risente di flessioni, Planet Asia si accontenta di giocare troppo sul sicuro affidandosi a selezioni di beat prevedibili come per i campioni vocali pitchati di “Magnetic Lord” o “I Climb” (pezzo che peraltro conferma una soggettiva avversione per Hus Kingpin…), mentre l’idea del flauto inserito nel singolo “You Are King” è senz’altro carina, ma la sezione ritmica appare deboluccia per un testo così potente. Rimangono quindi preferibili i suoni tesi e notturni adeguatamente cuciti addosso a piccole tele suburbane come “Smart Too Late”, consueto pezzo dedicato ai poco raccomandabili block di Fresno, oppure la robustezza di “Hood Legends” e “Fireworks”, che troviamo essere tra i momenti con maggiori possibilità di repeat di tutto il lavoro.

Peccato che lo stesso non si possa sostenere per gli ennesimi representin’ di cricche, hood e quant’altro (“Salute My G’s”), penalizzati da strutture sonore davvero pesanti e dall’alquanto dubbia efficacia dei ritornelli offerti da Marvelous Mag, o per intuizioni musicali che paiono vecchie di almeno un ventennio (“Take It Higher”) e si alternano tra Rap e parti cantate con poco costrutto (canta anche il Nostro – e i risultati preferiremmo risparmiarveli…), pezzi che suggellano il fatto che non sia ancora giunta l’alba del giorno in cui Jason Green avrà dato sfogo in pieno al suo potenziale.

Nel frattempo, da buoni cocciuti, corriamo ancora il rischio che ogni nostro sforzo sia vano – al limite c’è sempre la possibilità di un greatest hits fatto in casa, giacché di materiale ce n’è in abbondanza – ma teniamo accesa la fiammella della speranza. Ché zio Muggs, una volta o l’altra, potrebbe pure alzare di nuovo la cornetta…

Tracklist

Planet Asia – The Golden Buddha (Brick Records 2018)

  1. Magnetic Lord
  2. Fireworks
  3. Hood Legends
  4. Smart Too Late
  5. You Are King [Feat. Xiomara]
  6. I Climb [Feat. Marvelous Mag, Xiomara and Hus Kingpin]
  7. Shots At Your Highness [Feat. Turbin]
  8. Pieces Hittin
  9. Salute My G’s [Feat. Marvelous Mag]
  10. Black Egypt [Feat. Tristate]
  11. Royal Blood [Feat. Killa Kali]
  12. Siddharta
  13. Take It Higher [Feat. Xiomara]
  14. Fast Not Slow [Feat. AZ]
  15. Fly Writings (CD Bonus Track)

Beatz

All tracks produced by Izznyce

Scratch

  • The Architect: 3
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