Planet Asia – Black Belt Theatre

Voto: 3,5

“Black Belt Theatre” non lascia spazio a interpretazioni. Titolo, copertina e contenuti fanno capire con immediatezza quali possano essere stati gli elementi d’ispirazione che Planet Asia ha preso in considerazione per registrare il suo nuovo album, che egli stesso aveva dichiarato di voler strutturare come un film, mischiando in eguali quantità blaxploitation, afro coi basettoni, storie di spaccio, malavita e arti marziali, per un vero e proprio viaggio nella cultura nera degli anni settanta. Proprio come in un vero cast di attori e comparse, il buon Jason Green cede spazio a numerose partecipazioni che arricchiscono l’album nella maggior parte dei brani, ottenendo l’inclusione di ben ventidue ospiti che recitano la loro parte all’interno di un contesto che prevede la selezione di campionamenti pescati dal Soul con evidenti influenze Jazz, l’inserimento di voci pitchate e qualche sporadico utilizzo di sintetizzatori.

Un album lungo, composto da venti tracce che Asia affronta dalla prima all’ultima con la medesima energia, cavalcando le basi con cognizione di causa, aggredendo il microfono con grinta, utilizzando una tecnica già di per se avanzata, che l’mc cerca ugualmente di portare al livello successivo, come s’intuisce dalle combinazioni utilizzate nelle rime e nelle sillabe, fatte combaciare in modi diversi, meglio se all’interno della medesima barra. Tale competenza va ad abbinarsi a un metodo di scrittura dei brani coerente all’identità del progetto, che dà vita a qualche storia raccontata attraverso un uso ottimale dei particolari, evocando vere e proprie scene nella mente di chi ascolta.

Peculiarità, questa, sicuramente rintracciabile in tracce come “Mach One”, in cui i DirtyDiggs (responsabili del 50% dei suoni) si avvalgono di un loop di sassofono, che tira in ballo personaggi asiatici, guerre tra clan e desiderio di vendetta, e dove la frenesia dell’azione non riesce minimamente a scalfire la cura dei dettagli nella narrazione. Se qui e altrove, si veda la metafora kung-fu di “Whirlwind Patterns”, che mette in vetrina una stupenda base di Religion, il Planet Asia solista viene esaltato al quadrato, la già citata scelta di inserire numerosi featuring ha efficacia se non altro perché crea l’opportunità di misurarsi anche con pesi massimi del calibro di Raekwon, con il quale viene realizzata una “No Apologies” che mette sulla bilancia la diversità tra i due stili, ma che pone contemporaneamente in parallelo il fatto che a entrambi piaccia scrivere versi da decodificare.

Il protagonista principale duetta in maniera ottimale pure con Talib Kweli, la cui metrica veloce e perfettamente scandita risalta scintillante in “Grown Folks Talkin”, così come quando si riallaccia all’amico Rasco in una “Bruce Lee” il cui sound sporco ricorda molto il primo RZA; di qualità è inoltre la prestazione della cricca Gold Chain Medallions in “Dagger And Darts”, nella quale la signorina Rogue Venom conferma di poter rispedire a casa parecchi colleghi. Curioso, invece, il sodalizio con Paul Wall in “All Mine”, personificazione di due boss della mala che combina lo stile di Planet Asia con l’accento stretto del rapper texano, e sicuramente azzeccata poteva essere nel quadro d’insieme l’unione coi Camp Lo, che della blaxploitation fanno il loro credo, ma che per l’occasione si limitano a fare il resoconto di una giornata passata a far festa in studio stappando champagne a go-go.

Un po’ sciupato risulta invece lo schieramento di forze architettato per “Classical”, dove presenziano Ras Kass e Torae, penalizzata da una base troppo frivola, ma la percezione dello spreco si prova soprattutto in quei passaggi nei quali il livello dell’mcing dei terzi è nettamente inferiore rispetto a quello del primo attore. Prendendo una “External Motives” qualunque è chiaro quanto sia bilanciato male il flow infuocato di Planet Asia con la pigrizia di un The Jacka lento e inconcludente, così come trascurabili sono le noiose “The Line Of Fire” e “Coons”, le quali vanno a formare un preoccupante buco nella seconda parte dell’album, dove il materiale da scorrere rapidamente è troppo.

“Black Belt Theatre” non ha mezze vie, mette davanti agli occhi sia le grandi qualità di Planet Asia che i suoi storici difetti: a talento, forza di volontà e capacità di salire un gradino in più nei confronti di un arsenale lirico già ricco, corrispondono lacune decisionali sia sulle collaborazioni che sulla selezione di alcuni beat ben lontani dalla qualità metrica proposta. Non è la prima volta che l’asso di Fresno lascia delle potenzialità inespresse, un motivo in più per cui è davvero un dispiacere non poter dare a questo disco l’ottimo voto cui sulla carta poteva ambire.

Tracklist

Planet Asia – Black Belt Theatre (Green Streets Entertainment 2012)

  1. Lost And Found
  2. Grown Folks Talkin [Feat. Talib Kweli]
  3. Tell The World
  4. All Mine [Feat. Paul Wall]
  5. No Apologies [Feat. Raekwon]
  6. Fuckers [Feat. Fashawn and Willie The Kid]
  7. Diamond Life [Feat. Camp Lo]
  8. Furniture
  9. Mach One
  10. Daggers And Darts [Feat. Rogue Venom and Tristate]
  11. Bruce Lee [Feat. Chace Infinite and Rasco]
  12. Golden State
  13. Coons [Feat. K!ller Ben]
  14. The Line Of Fire [Feat. Krondon, Phil Da Agony and Picaso]
  15. Big Fish
  16. External Motives [Feat. The Jacka and Mitchy Slick]
  17. Classical [Feat. Ras Kass, Torae and Jasiri X]
  18. Stay Ready [Feat. Mistah F.A.B., Dengee and Mo The Gift]
  19. Whirlwind Patterns
  20. Dogon Outro

Beatz

  • Khrysis: 1
  • DirtyDiggs: 2, 3, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 13, 20
  • Twiz The Beat Pro: 4, 15, 16
  • Oh No: 5, 18
  • Soul Professa: 11
  • Brisk Oner: 14
  • Religion: 17, 19
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