Philmore Greene – The Grand Design
Philmore Greene non sarà il più trendy dei rapper, ma la sua validità umana e artistica non va certo correlata alla sua fama. E’ parte integrante di una realtà minuscola, soffocata dalla grande industria del contenuto a rapido consumo e ad altissimo numero di click, tuttavia vera e leale nel suo impegno per sostenere ciò che lui pensa – e noi con lui – sia il reale significato morale dell’Hip-Hop, plasmandolo, come già fecero a tempo debito molti antenati, in uno strumento di cronaca ideale per fotografare, raccontare, ragionare, dissentire, denunciare. L’artista che abbiamo meglio conosciuto due anni fa grazie alla fruttuosa collaborazione con Apollo Brown, “Cost Of Living“, è una persona che comunica con cuore e istinto, dissociandosi da pose e atteggiamenti del tutto privi di sostanza, parlando in maniera chiara, inequivocabile e diretta, offrendo il suo vissuto agli altri, promuovendo coraggio e speranza anche dove sembra che le riserve siano terminate, raccontando la propria esperienza quotidiana all’interno della Chicago più disagiata, con forte sensibilità ed empatia.
“The Grand Design” segue concettualmente un percorso non troppo dissimile rispetto al precedente lavoro, ritornando anzitutto a camminare con le proprie gambe – Brown è presente in due delle sedici tracce – e cercando di inquadrare una situazione sociale complessa, che affligge una comunità dimenticata, lasciata al proprio destino in mezzo a frequenti episodi di violenza, delinquenza e abuso, pur conservando per la stessa un tangibile e inequivocabile affetto. Le tematiche dell’album riflettono ancora una volta l’esigenza di porre questa realtà sotto gli occhi di chiunque abbia voglia di ascoltare, rialzarsi e continuare a lottare per emergere, seguendo le orme di tutti coloro che già in passato avevano collocato the Chi in un luogo rilevante nella geografia del Rap, dipingendo una tela densa e significativa, che nella sua estrema semplicità e umiltà esibisce tutte le capacità in dote a Travis.
Il progetto è molto interessante, in buona misura appropriato e coerente agli scopi prefissi, non importa che lo strumento utilizzato per comunicare sia qui una storia e là un insieme di idee nate dall’elaborazione di un ragionamento specifico, Greene lascia poco o nulla al caso e dà l’idea di giungere con discreta puntualità al punto che intende teorizzare. Quasi ogni brano, infatti, porta con sé uno spaccato di vissuto, un’esperienza fatta personalmente o inglobata attraverso l’osservazione, tenendo sufficientemente saldo il filo tematico, al netto di un intro e outro dei quali, francamente, sfugge l’utilità, in particolare se relazionati all’esigua durata del percorso. Fruisce inoltre di una produzione omogenea nel suo utilizzare una molteplicità di contribuenti, la cui fama è inversamente proporzionale ai risultati offerti, vista la capacità di far aderire molto bene i suoni agli argomenti inserendo le opportune strumentazioni per meglio dettagliare lo stato d’animo della singola traccia, rendendo godibile un lavoro che nella seconda parte, tuttavia, non riesce a essere entusiasmante tanto quanto lo è nella prima frazione.
In quest’ultima, infatti, si possono reperire manufatti nientemeno che eccellenti, per via dell’ottimo gusto nella ricerca del sample, in parallelo alla capacità del rapper nel costruire testi interessanti, magari non troppo ricchi di particolari acrobazie liriche ma forti di una consistenza che si manifesta con la dovuta costanza. Ne sono testimoni passaggi come “Street Lights”, evocativa nel suo relazionare l’accensione dei lampioni serali al vivacizzarsi delle attività più pericolose; l’eccellente beat si fonde idealmente all’atmosfera descrittiva proposta dal testo (<<we suppress bad feelings via the ganja leaf/I’m comfortable where the hookers, hoes, killers and monsters be/the nighttime smell it in the air/stick up kids lurking pull the burner never stare/welfare, SNAP benefits, child support and free cheese/stand on your feet and never your knees>>) creando un ambiente quasi fermo nel tempo, intrappolato nell’inevitabile svolgersi della vita tra le strade malfamate, fatalista, sempre in corsa verso la sopravvivenza con tonnellate di pressione addosso, dandosi da fare tra una gita della volante e una sparatoria.
Greene se ne esce spesso con trovate intelligenti, originali, evitando di comunicare frasi scontate che possano nuocere all’attenzione dell’ascoltatore, a volte giocando col significato intrinseco del titolo, come nel caso di “Magic”, un ottimo taglia e cuci tra piano e sample vocale, assolutamente coinvolgente nonostante l’assenza della sezione ritmica, trovando metodi espressivi che delineano un notevole impegno nella scrittura (<<everything is magic, black passion filled with fabrics/cut from a cloth of kings raised in madness/taxes divide the city put ‘em in brackets/fight for ten decades, never bury the hatchet>>), meglio ancora, poi, se a chiudere c’è pure RJ Payne. “High Supreme Philly” offre nuove considerazioni di tipo sociale, il flow è molto ordinato, le rime sono precise e sufficientemente ricche d’intrecci, il giro di tromba Funk è molto accattivante, formando un agglomerato di pezzi che, unitamente alla titletrack molto figurativa e vintage nei loop (<<it’s the Chi, the theme song is always staying alive/it’s the place where everybody starve, but everybody eats/everybody rob and everybody cheat/it’s Bedlam in the street, ‘cause everybody digging for love/it’s buried below hidden underneath, the grand design>>), si rivela essere molto convincente.
Quell’idea di corposo viene invece un pò a mancare nel prosieguo, come detto, se non altro per la presenza di tracce che, per idee liriche o per la produzione non altrettanto efficace, rivelano una lieve discesa qualitativa del disco. Sono solo alcuni gli episodi degni di menzione, tra i quali primeggia una “Welcome To The Chi” esplosiva, sostenuta, il sample di tromba puntella le barre a dovere, l’andazzo e la fotta del flow urlano nineties a profusione, esaltando l’uso dell’espressività per sottolineare il sarcasmo o la maggior forza di alcune barre, apprezzando nel contempo la tenuta del flow a una velocità inusuale senza intaccare la dizione. “Money Over Vegas” – giro di piano indovinato su entrambe le sezioni del pezzo – mette in luce le qualità di storyteller del Nostro, grazie all’abilità nel circoscrivere i particolari della storia, dell’azione, dell’ambientazione quasi cinematografica, espediente nuovamente sperimentato su “Stay Gone”, la quale utilizza ancora il racconto con una struttura maggiormente ripetitiva, circostanza peraltro nella quale Apollo Brown va pesantemente di pilota automatico, dando l’impressione di aver sentito beat simili mille e più volte.
L’ottima partenza lascia dunque spazio a intuizioni che tendono a riproporsi, la golosità della produzione subisce dei cali non troppo vistosi, ma tutto sommato palesi. Certo, rimangono interessanti alcuni aspetti come la comunicatività scenica di Bruiser Wolf, che ravviva un’altra proposta noiosetta di Brown per “Ghetto Babies”; Skyzoo, artista peraltro perfettamente allineabile a Greene per concettualistica, incede divinamente sulla ritmica dinamica di “Whole Time”; “World War ME” funziona a livello testuale, ma l’utilizzo del campione è fiacco (basti confrontarlo con quanto qui realizzato da 7L & Esoteric dalla stessa fonte); “OMG” e “‘94 Master P” sono ben prodotte, i contenuti lirici appaiono però un tantino sconnessi. Non si tratta di nulla che possa intaccare nè la certificata bravura dell’artista, nè l’estrema onestà di un lavoro da promuovere con piena sufficienza: tuttavia, con qualche scrematura, l’idea è che si sarebbe potuto puntare più in alto.
Ciò non toglie che Philmore Greene si stia affermando, finalmente, come una figura visibile in un quadro fin troppo offuscato da proposte senz’anima, offrendo contenuti di rilievo a spron battuto.
Tracklist
Philmore Greene – The Grand Design (Mello Music Group 2024)
- Intro
- The Grand Design
- High Supreme Philly
- Street Lights
- Magic [Feat. RJ Payne]
- OMG
- Welcome To The Chi
- Money Over Vegas
- Smoke Dat [Feat. UFO Fev]
- World War ME
- Ghetto Babies [Feat. Bruiser Wolf]
- Whole Time [Feat. Skyzoo and Rashid Hadee]
- Stay Gone
- ’94 Master P [Feat. Rashid Hadee]
- Girl Dad
- Outro
Beatz
- Phantem: 1, 2, 10, 16
- Syer: 3
- Slot-A: 4, 9
- Sir Williams: 5
- Jay P: 6
- Tye Hill: 7
- Rashid Hadee: 8, 12
- Apollo Brown: 11, 13
- Kenny Keys: 14
- Big Crown: 15
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