Intervista a Next One @ Jesolo Lido - Gennaio 2007

All'MC Hip-Hop Contest di Jesolo abbiamo anche intervistato Maurizio The Next One, il breaker italiano più famoso nel mondo nonché unico rappresentante italiano della leggendaria Rock Steady Crew e della Universal Zulu Nation. L'intervista è durata circa un'ora e fosse stato per noi avremo passato tutta la giornata a parlare di Hip-Hop con lui... Non potendo, ecco un po' il succo della nostra illuminante oretta passata col pioniere italiano del b-boying.

B: Come unico membro italiano ed europeo della Rock Steady Crew, com'è stata l'esperienza di essere appunto un italiano in una crew americana importantissima, com'eri visto?
N: Per me è stata chiaramente un'esperienza positiva. Ho iniziato da ragazzino a quattordici anni, e per me era un punto di riferimento, un obiettivo da raggiungere. Chiaramente erano i miei miti.

B: Per quanti anni ne hai fatto parte?
N: Ho iniziato a ballare nell'84 e ne sono entrato a far parte nel '91. Dovevo un minimo prepararmi prima di potermi permettere di far vedere quello che avevo imparato a gente che comunque tuttora sono i padroni. Volevo assolutamente essere degno. Quindi cercavo le mie conferme attraverso i pionieri, tra i quali appunto la Rock Steady Crew. Comunque mi hanno accolto benissimo, non ho dovuto sfidare nessun membro per entrare nel gruppo (a differenza della regola che dovrebbe valere per tutti); si vede che gli sono piaciuto e mi hanno chiesto di ballare insieme a loro. È chiaro che io sono stato contentissimo! Detto questo però per me è sempre stato importante mantenere il legame con le mie origini, soprattutto all'estero. Infatti all'estero mi conoscono tutti come Maurizio anziché Next One e solo adesso cerco di abbinare le due cose, perché alcuni non lo sanno ancora. Io ho sempre ritenuto importante sottolineare che sono italiano, tant'è vero che la prima volta, quando andai ad abitare a New York, nel '91, credevano che fossi portoricano. Dicevo: "No, non sono portoricano, sono italiano". "Ah, sei italoamericano?", e io: "No, non sono italoamericano, sono italiano! Anzi, siciliano!".

B: La Zulu Nation oggi: dov'è, com'è?
N: La Zulu Nation ormai si è solidificata da Nord a Sud, dappertutto. Soprattutto è sempre presente in quei paesi dove la cultura e la passione per l'Hip-Hop sono ancora ben radicati, nonostante tutto quello che subiamo a livello mediatico. Ad esempio la celebrazione dell'anniversario della Zulu Nation è un ricordo di come è nato lo spirito di questa cultura, che va ben oltre tutto quello che muove il mercato. Questa cultura è comunque il contributo di tante persone, che non necessariamente vestono un'armatura o una divisa Hip-Hop, ma che lo sentono dentro. Il bello di tutto questo è che coinvolge chiunque: l'impatto è molto forte e diretto e questo è lo spirito positivo dell'Hip-Hop. Comunque, per carità, c'è un'identità come c'era nei movimenti Punk New Wave piuttosto che gli hippies negli anni Settanta, va benissimo. Però non è che se uno non ha i soldi e non si può comprare la tutina giusta o il cappellino giusto non può ritenersi parte di questa cultura, anzi, al contrario.

M: Adesso tutto quello che vedo io è certamente tanto senso di appartenenza, ma oggi si è trasformato molto in fashion, tantissimo. C'è gente che non sa veramente niente, che però sembra sia uscita dal ghetto peggiore...
N: Ci fermiamo spessissimo a luoghi comuni e stereotipi che si nascondono dietro nomignoli spesso inventati. Ad esempio il b-boying o breaking ma non break dance come la definiscono i media da tanti anni. Hanno pensato di mischiare i termini break e dance per identificare quelli che si rompono o si rotolano per terra, cioè, questa cosa non fa tanto piacere: non ci rotoliamo, non ci rompiamo. Tutte le volte che mi sono rotto la caviglia è perché stavo correndo, facendo dei gesti quotidiani che può fare chiunque. Non credo in tutte queste divisioni e classificazioni che tendono un po' ad allontanare e confondere le persone. Ad esempio old school e new school: io ho iniziato nell'84 ma ero già new school rispetto a quelli che ballavano negli anni Ottanta, e quelli che ballavano negli anni Ottanta rispetto a quelli che ballavano nel '77 erano lo stesso new school, quindi oggi nel 2007 dovrebbe essere cosa? Io credo che old school significhi foundation, origine, il punto da cui è partito tutto questo, lo spirito puro. New school significa contaminazione, significa legame con le origini ma allo stesso tempo contatto con le nuove generazioni, che si sviluppa chiaramente con le tecnologie che permettono di produrre nuovi sound. Perché comunque le danze nascono dalla musica e non viceversa.

B: Rispetto appunto alle foundation, alle radici del b-boying, dal punto di vista dell'evoluzione cosa pensi ci sarà nel futuro: un ritorno alle radici o evoluzione pura? Dr. What mi ha parlato del flexible style, che alla fine mi pare di aver capito sia una specie di contorsionismo...
N: Esatto, bravissima. Vedi, ancora una volta, è un altro nomignolo per descrivere qualcosa. Per esempio, negli anni Novanta dicevano power moves. In tutto quello che facciamo ci vuole comunque forza, flessibilità ecc, quindi la confusione di base sta nel fatto che questa cultura prende ispirazione da ogni cosa, e poi la trasforma in maniera Hip-Hop. Ma se non conosci l'Hip-Hop è lì il problema vero. Negli anni Ottanta, per esempio, prendevano anche delle influenze dalla ginnastica artistica, ma se ti presentavi con le tecniche della ginnastica artistica, la gente si metteva a ridere. Se arrivavi con i pantaloni larghi, la gente si metteva a ridere perché lo stile di allora erano i pantaloni stretti; sono tutti luoghi comuni che lasciano il tempo che trovano, è la moda. Ci sono ginnasti professionisti che sanno fare salti mortali spettacolari, ma il nostro fine non è quello: è prendere una cosa e trasformarla alla nostra maniera. Comunque di per sé l'Hip-Hop è il contributo di tante persone, culture, sfaccettature, sfumature, creatività, che sono il collante di tutta questa cultura. Tutto è stato inventato nel South Bronx, è lì che gli hanno dato una certa connotazione. Dovevi andare a vedere chi viveva in quel quartiere, che gente c'era e quindi chiaramente subire l'influenza di tutto quel mondo che ti circondava per capire come andavano le cose. Qualcuno ogni tanto rompe lo schema e osa fare qualcosa di diverso. Quando ad esempio i De La Soul uscirono con "3 Feet High And Rising", il loro primo album, esplorarono un genere di sound che nessuno avrebbe mai immaginato. Qualcuno li ha visti come stranissimi e altri come dei geni. Loro hanno funzionato, hanno fatto il botto e da allora sono stati rispettati. Questa è giusto una parentesi per dire: "Osa, però ricordati che se non hai un minimo di cultura, rischi di fare una porcata!". Altro esempio è il crossover: non tutti riescono a farlo. Il crossover dovrebbe essere l'abilità di tenere un equilibrio tra cose diverse e far uscire una miscela nuova. Poi sentii un po' di tempo fa una produzione di J Dilla in cui aveva preso un pezzo di musica classica: lui l'aveva contaminato col suo sound distorto di Detroit, era fighissimo, lì c'è la cultura musicale unita al suo gusto che diventano qualcosa di esplosivo. Però non tutti lo possono fare. Certe cose sono orribili da sentire, suonano male, e lo stesso vale per la danza: quando cominci a prendere un pezzo di capoeira, un pezzo di new jazz swing, un pezzo di raggae, un pezzo di danza moderna, un pezzo di fitness, poi vai a terra, metti tutto insieme...sa di tutto e di niente! Non è che fai cultura mentre lo stai facendo, fai confusione. Vuoi essere polivalente, vuoi essere qualcuno che sa andare in più direzioni? Va benissimo, però almeno prima impara una cosa bene. Io ballo da ventiquattro anni e non credo di essere arrivato, credo di avere ancora tantissimo da imparare e tutte le persone che conosco che lo fanno con una certa passione, dedicandosi da tanto tempo, non si sognano minimamente di dire che sono arrivati e neanche di sconfinare in venti danze diverse per far vedere che sono capaci a fare tutto.

B: Dici che è importantissimo avere culture e rispettare le origini dell'Hip-Hop. A proposito di questa manifestazione, come le vedi le scuole di ballo Hip-Hop, dove non si insegna breaking ma si insegnano coreografie per lo più su musiche di Justin Timberlake, musiche proposte da MTV.
N: I fruitori di quest'ambiente dovrebbero rendersi conto per primi che è importante esplorare ed esplorarsi. Devi capire chi sei, cosa ti piacerebbe ascoltare, cosa ti piacerebbe fare e capire di non omologarti con la televisione e con tutto quello che ci gira attorno. La televisione ti dà un aspetto, che può essere quello dell'intrattenimento (quando viene fatto bene), se no spesso e volentieri presenta solo scopiazzature o luoghi comuni e quindi non si può sempre star dietro a queste cose. Oggi la gente che va a ballare vuole ascoltare i pezzi che ha sentito tutto il giorno guardando MTV. Invece il bello vero sta nell'entrare in un locale e sentire musica che non hai mai sentito, che non conosci e lasciarti andare e farti stimolare, perché ogni pezzo ti stimola a ballare in un certo modo piuttosto che in un altro. Così è il ritmo, sconfinare in qualsiasi genere purché ti trasmetta qualcosa. E lo stesso chi balla dovrebbe trasmettere, non solo eseguire dei movimenti per dimostrare qualcosa. Un ballerino non deve dimostrare agli altri di essere bravo, chi se ne frega! Grazie a Dio l'Hip-Hop non dice che devi avere un corpo con determinate caratteristiche. Vedi gente che fisicamente non se lo può permettere, magari priva di un arto, eppure esprime la gioia nel fare una determinata cosa: questa è la vera potenza dell'Hip-Hop. Se poi hai il cuore, la mente, il look, tutto quanto al massimo, allora sei una bomba: ma al mondo nessuno è perfetto, la perfezione magari è l'obiettivo per elevarsi.

M: L'anno scorso durante una conferenza di Groove con Rido, un'insegnante di ballo ha detto questa frase che ci ha fatto inbufalire: "Io sono come il pianista e i miei allievi sono i tasti del pianoforte, devono suonare come dico io". Come si fa a dire una roba del genere? E' voler togliere la personalità all'allievo. Quindi che responsabilità hanno, secondo te, gli insegnanti di danza? E più in generale che responsabilità ha chi dovrebbe dare l'esempio?
N: Ho difficoltà ad accettare queste cose. Il bello dell'Hip-Hop è che ognuno è diverso ed ha una propria identità. Ogni 4, 5 mesi questa roba cambia, giusto? Tutto cambia, anche un sasso cambia, passa uno che gli da un calcio e non è più lì. Questo ci deve far riflettere che comunque tu puoi proporre qualcosa, puoi trasmettere delle basi, ammesso che tu le abbia. Ovviamente bisogna essere preparati, perché se ci sono dei giovani che vogliono imparare e ci mettono impegno, costanza e anche dei soldi, è giusto che chi gli trasmette questa cosa si sia un minimo preparato. Poi io consiglio sempre di cambiare spesso finché non si trova una persona che ispira fiducia; non bisogna mai diventate schiavi di qualcuno. L'Hip-Hop non è diventare succubi di qualcuno ma esattamente il contrario.

B: Adesso c'è questa figura dell'insegnante di breaking nelle palestre. Appunto breakers che si mettono a fare gli insegnanti a ragazzi più piccoli. Da un punto di vista economico, buon per loro, però com'è il fatto di porsi come insegnante o come maestro con la M maiuscola, parlando di questa disciplina? L'autoproclamarsi tali, in un certo senso.
N: La reputazione di un ballerino viene dal confronto artistico con gli altri ballerini, quindi non dalla bellezza del suo curriculum scritto a casa col computer. Si sentono spesso cose che non hanno senso. Metto assieme un campione e un beat: sono un produttore. Tutte robe talmente facili e scontate che uno si chiede perché allora uno deve studiare una vita, se poi è così facile. Bisogna prepararsi bene innanzitutto per poter imparare qualcosa per sé stessi, poi eventualmente, in un secondo tempo, trasmettere le cose che hai imparato agli altri. Riportato al breaking, il discorso è complicato appunto perché questa è una danza molto complessa, in quanto coinvolge tutto il corpo e tutte le articolazioni. Il breaking è sempre stato molto avanti rispetto ai suoi tempi perché sconfina ovunque. È chiaro che se viene visto soltanto come un momento di dimostrazione fisica, aggiungerei fisico-sportivo, è fine a sé stesso. Per imparare a ballare breaking ci vuole innanzitutto pazienza, come in tutte le danze. Ti deve piacere, ci vuole lo spirito giusto, poi ovviamente ogni fisico va bene. Non esiste il corso di breaking ufficiale, perché si è sempre ballato in strada e ognuno ha sempre dovuto sbrigarsela da sé. Un bimbo senza genitori, finisce in strada e se la deve cavare da solo: in un certo senso è così. Ci sono dei paesini dove magari c'è un individuo che ha voglia di imparare questa roba e non sa come fare: è comunque giusto anche aggrapparsi a qualcuno, non voglio demonizzare nessuno da questo punto di vista. Io personalmente ho capito che portare la strada in un luogo come la palestra, può essere un esperimento interessante dal momento che in Italia si è creato una sorta di Hip-Hop parallelo a quello originale, allora dici: "Perché questi due mondi Hip-Hop non si incontrano mai?". Se Maometto non va alla montagna, è la montagna che va da Maometto (consentitemi la metafora). Ho cercato di sviluppare una didattica, un modo di comunicare qualcosa che se non vivi in determinati ambienti e luoghi, non riuscirai mai a imparare. Quindi ho fatto tutto un lavoro negli anni per cercare di sviluppare il concetto e trasmetterlo a chiunque e ti assicuro che posso insegnare qualsiasi cosa a chiunque, basta che abbia passione. Innanzitutto devi capire dove sei, chi sei, conoscere te stesso, il tuo corpo, poi via via nel tempo inizierai la tua evoluzione. C'è stata un sacco di gente che si è improvvisata: non puoi imparare un freeze in sette-otto mesi, facendoti venire la cervicale o portando il collare o spaccandoti le ginocchia, è assurdo. A questa manifestazione vedo delle contaminazioni prese dalla breaking nella videodance e per me sono ridicole. Vi piacciono? Volete metterle? Però almeno imparatele! Non buttatevi per terra a fare delle robe che non sono né carne, né pesce. È come se io mi togliessi questi vestiti, entrassi in una scuola di danza e mi mettessi a insegnare moderna, contemporanea o classica.

M: A volte l'Hip-Hop viene visto come una zona franca dove puoi fare quello che si vuole.
N: Sì, ma non è così. Ballare, in tutte le danze, esprime la vita. In piedi o per terra che sia. Noi non è che camminiamo sempre, noi ci sediamo, ci sdraiamo, dormiamo, e questa è la vita: ballare è esprimere la vita.

B: La cosa che mi stupisce molto dei giovani è che spesso nessuno sembra sapere quali siano le radici italiane, i grandi nomi italiani, chi ha insegnato come funzionano le cose. Come ti fa sentire il fatto di essere una delle persone più importanti in assoluto dell'Hip-Hop in Italia, ad esempio ieri quando ho chiesto di te per sapere se eri qui nel palazzetto rispondevano: "Next One chi?... Ahhh il breaker!".
N: A livello personale dico: "pazienza". A livello di cultura dico: "peccato". Peccato per loro perché forse mi conoscono più in Giappone o in un paese dove non sono nemmeno mai stato, piuttosto che qui. Peccato perché comunque ogni paese ha le sue origini, i suoi punti di riferimento, i suoi personaggi e il bello dell'Hip-Hop è proprio questo, poter anche essere fieri della propria storia, delle proprie radici perché ognuno rappresenta il suo paese in ogni parte del mondo. Io credo di aver contribuito a portar fuori dall'Italia l'Hip-Hop di un italiano, non l'Hip-Hop italiano. Io non ho mai creduto nell'Hip-Hop italiano, io ho sempre creduto nell'Hip-Hop fatto dagli italiani in una grande famiglia che coinvolge tutti i Paesi. L'Hip-Hop italiano non esiste, non è stato inventato in Italia. Esiste l'Hip-Hop fatto da persone di questo paese, che hanno apprezzato la cultura e si sono fatte conoscere presentando attraverso il loro talento quello che avevano imparato. Negli anni Ottanta ci conoscevamo tutti, c'era un legame fortissimo. Quindi non esiste che oggi escono fuori personaggi che dicono: "Ah, noi facciamo Hip-Hop dal 19xx...". Ma a chi la volete raccontare? Raccontala a tutti, a chi vi pare, ma non a me.

M: Sinceramente non mi vengono in mente nomi adesso, di gente giovane che sia come la gente di una volta, dal punto di vista del calore e dell'umanità. Io mi ricordo che una volta andavi al Palladium, c'era Ciso ed era un ambiente, era un modo di vivere diverso!
N: Era l'Hip-Hop.

M: Infatti! Adesso, cose del genere non ce ne sono più, c'è poco da fare.
N: Ne parlavamo ieri sera, quando ci sono stati gli Slum Village, voglio dire...dov'è finita la gente appassionata?! Cavolo, qua c'è un gruppo potentissimo, il palazzetto doveva essere strapieno! Io quando posso, se non lavoro e non sono in giro, prendo e parto. Io sono un fan dell'Hip-Hop, mi faccio le foto con gli artisti, sono un collezionista, cerco i dischi, mi informo, sono appassionato come se fosse il primo giorno, perché forse grazie a Dio vengo da quel periodo dove il primo contatto con tutta questa storia ci ha appassionato a 360°. Io nell'84 ho iniziato a ballare e mentre facevo la strada da casa per andare a ballare a Torino, facevo beatbox, e nell'85/86 ho iniziato a fare il dj, a comprare i primi dischi, nell'89 a produrre e poi a rappare, ho provato di tutto, perchè l'Hip-Hop è bello tutto. Poi trovi la tua collocazione dove ti senti più a tuo agio. Ho fatto tutto e mi piace tutto! Quando andai a New York la prima volta, ancora non parlavo così bene inglese, però il mio linguaggio era l'Hip-Hop, e la gente mi capiva perché è un linguaggio universale. Sinceramente ballo da ventiquattro anni e ormai mi trovo, scusate il termine, con la merda fino al collo: ormai ci son troppo dentro e quindi non credo di smettere domani.

M: Perché dovresti smettere, scusa, la tua passione è diventata la tua di vita...
N: Te lo dico perché col tempo me lo sono chiesto molte volte se valeva la pena di continuare. Perché nel tempo ho visto anche cose che non mi piacevano più, in cui non mi identificavo. Adesso come adesso, non avrei mai pensato che un giorno potessero toglierci quello che è sempre stato nostro, solamente perché non ci consideravano neanche. Noi siamo cresciuti tra di noi, ci facciamo i cavoli nostri, ci facciamo le nostre cose quando ci pare, non diamo fastidio a nessuno. Oggi quasi veniamo messi in dubbio della nostra stessa esistenza. Io cammino sempre a testa alta, questa è una cosa che mi piace sottolineare, non perché voglio essere arrogante, ma semplicemente perché non do fastidio a nessuno, poi se tu hai qualcosa da dirmi, pensaci due volte.

M: Mi ricordo un episodio accaduto al concerto di Rakim a Rimini: un tizio dal pubblico rompeva le palle, tu hai fatto un salto e gli hai detto una bella frase...
N: Sì, avevo il microfono in mano, stavo presentando Rakim. Con una mano ho fatto un mortale dalla consolle, son tornato giù e ho detto: "Io parlo, però intanto faccio, invece tu sei lì e parli".

M: Insomma c'è troppa gente che parla...
N: La gente parla, parla. Perché parlare è più facile.

B: Ora un paio di domande che mi arrivano direttamente dalla Sicilia...
N: ...con furore!

B: Una piccola provocazione. Il breakin' nel mondo: Italia e Corea a confronto.
N: Non mi piacciono queste domande. Pensa che non guardo nemmeno i video, quindi non so niente. Incontro le persone, e mi va bene così, indipendentemente da dove vengano. Cerco di rispondere in senso lato: viaggiando incontro parecchi ballerini, alcuni bravi, anzi molti bravi. Pochissimi speciali. Ne ho visti talmente tanti, di tutti i colori, ma se non hanno qualcosa da trasmette, non me li ricordo. Personalmente non mi impressiona quanti giri fai o quanti saltelli fai sulla mano. Mi impressiona magari vedere uno come tocca il suolo, che rapporto ha con il proprio corpo, con la musica, con il ritmo. Se ha questo e poi ha anche dei numeri, allora meglio.

B: Qualche breaker italiano giovane degno di nota?
N: Non voglio fare nomi perché comunque qui, da un certo punto di vista, la cosa è ancora giovane e deve crescere. Dare dei nomi purtroppo sarebbe deleterio. L'ho visto al battle che c'è stato due giorni fa: ancora non c'è l'umiltà, neanche di accettare un giudizio. È chiaro che in un contest qualcuno vince e qualcuno perde e quando perdi non ti puoi lamentare. Quando faccio il giudice ai contest in Giappone sto lì una giornata intera a giudicare 260 gruppi. Alla fine arrivano anche quelli che hanno perso e mi ringraziano. Perché c'è umiltà, c'è cultura, c'è il rispetto. Sanno che se sei lì, vuol dire che chi ti ha messo lì ritiene che tu abbia un minimo di esperienza per poter giudicare.

M: Spesso uno si dimentica che un contest è una gara e quindi vieni giudicato da esperti, non è una sfida per strada...
N: In strada nessuno ti potrà mai venire a dire: "Sei fuori tempo! Non stai facendo bene quel movimento!". Tu gli rispondi: "Mi sto facendo i cavoli miei". Se invece stai facendo un contest, una battle, si presume che i giudici sappiano il loro mestiere. Non ho bisogno che mi fai vedere tutto il tuo repertorio: io giudico come entri, vedo come reagisci rispetto alla musica, rispetto alla gente. Cioè, non è bello se entri a testa bassa, o se sei seduto fino a un secondo prima che ti chiamino, se non stai neanche guardando la gara, oppure se ti sei stancato tutto il tempo a ballare fuori dal cerchio e adesso che è il tuo momento non ce la fai più. Ci sono delle cose che ancora la gente non capisce. Spesso certa gente dice: "Io sono bravo perché tutti mi dicono che sono bravo, quindi vinco io!". Eh no, non funziona così!

B: Quali sono stati i cambi radicali nel breakin' da dieci anni a questa parte?
N: Andare avanti non sempre è sinonimo di evoluzione. È come dire che ci sono delle annate (parlando ad esempio della Sicilia), dove fai degli ottimi raccolti, e ci sono delle annate che magari non sono buone. Quindi tu ti ricordi un'ottima annata, giusto? Magari non è il 2007 ma è il 1996, per esempio. Siamo usciti da alcuni luoghi comuni, ma ne siamo entrati in altri. Non solo in Italia c'è una carenza a livello culturale, quindi si finisce sempre per emulare, rifare robe di altri... Io parlo in maniera generale, ma grazie a Dio qualcuno cerca di far altro e di andare avanti. Da alcuni anni a questa parte ci sono anche dei contest che non premiavano solo i power moves. Torna fuori di nuovo il solito discorso: non puoi mettere sullo stesso piano uno della foundation con uno che fa solo power moves. Un conto è proporre delle basi, quelle basi che non stancano mai. Ti stanchi di camminare su una strada? Non so, vuoi camminare nell'acqua? Beh insegnamelo, fammi vedere e ci provo anch'io. Però se non sai nemmeno camminare per strada è meglio che lasci perdere! Credo sia così. Grazie.

Blemoro ringraziano Dr.What? per l'aiuto (anche se da lontano) nel realizzare l'intervista. Grazie! ;-)