Intervista a Murubutu (Maggio 2010)

Riccardo Orlandi: Tanto per cominciare, sebbene sia spiegato magistralmente nella bio sul sito della Kattiveria, potresti dirci due parole su come si è formato il collettivo, magari parlandoci un po' della tua esperienza personale e dell'evoluzione che il tuo modo di scrivere ha attraversato?
Murubutu: Salve a tutti. Per me tutto è cominciato nel lontano '91, quando con Depierte MC e Muracaman ho fondato i Kattiveria Posse: eravamo skaters, writers, breakers e facevamo Rap militante estremamente politicizzato, secondo i canoni del periodo. Dal '97 abbiamo fatto la scelta di contaminare i nostri live con delle rappresentazioni teatrali: Rap militante e costumi d'epoca, una grande provocazione. Con il tempo, poi, siamo cresciuti e abbiamo cambiato gradualmente approccio e sensibilità artistica. Poco prima del 2000, Dj Gamon, U.G.O. e Il Tenente sono entrati in pianta stabile nella crew, che da quel momento ha assunto il nome de La Kattiveria. Da allora ho cominciato a lavorare sui testi in modo meno retorico, facendomi influenzare da un approccio sempre molto lucido ma anche più tecnico ed articolato che era anche il risultato delle nuova aria che si respirava nel gruppo. Dj Caster è il nostro ultimo e fondamentale acquisto, anche lui è un b-boy storico di R.E.. Approfitto di questo spazio per ringraziarlo perché il lavoro che svolge per noi è fondamentale.

RO: Restando nell'ambito biografico, mi ha incuriosito molto l'interesse della Kattiveria per la rappresentazione teatrale. Come avete vissuto e cosa vi ha dato questa esperienza?
M: Le rappresentazioni, diciamo così teatrali, ci hanno dato tantissimo a livello di divertimento, ho dei ricordi splendidi. Univamo musica Rap e parti recitate calate all'interno di scenografie, con tanto di comparse e truccatori. Eravamo diventati una macchina organizzativa notevole a livello locale, riuscivamo a suonare con frequenza ottenendo un buon seguito e proponendo uno spettacolo diverso per ogni esibizione. Sul myspace c'è un esilarante medley delle nostre migliori prestazioni. Questa iperattività, tuttavia, nel tempo ci ha saturato e abbiamo deciso di dedicarci solamente alla musica, anche se a breve non ci faremo mancare una rimpatriata.

RO: Da cosa è stato dettato il passaggio da un Rap più vicino alle posse e alla contestazione politica ad uno più didattico-hardcore, fino alla vetta (ma questo è solo un mio parere) narrativa de "Il giovane Mariani"? Ovviamente il fil rouge della presa di coscienza e della consapevolezza, oserei dire, colta è costante, ma la modalità espressiva è fortemente rivoluzionata. Cosa puoi dirci in proposito?
M: Per me scrivere canzoni è un'esigenza espressiva fondamentale. E' un antistress eccezionale, c'è una parte della mia mente che ha bisogno di scrivere canzoni e la mia mente ha bisogno di questa parte. Sono sempre stato abbastanza metodico nella scrittura: prima mi documento sull'argomento che mi interessa, poi fantastico, assemblo e metto in rima questo materiale. Ci sono due costanti alla base delle tre fasi che hai menzionato: primo, non mi ha mai interessato tanto parlare di me quanto dell'umanità in generale. Secondo: il Rap è mezzo, non fine, quindi può essere usato per parlare di Rap, di strada, della propria vita ma anche di un'infinità di altri argomenti. I rapper italiani faticano molto a capire questa potenzialità...

RO: Scartabellando nelle vostre biografie e nei comunicati, tra il sito e il myspace, si trovano vari riferimenti a seminari e laboratori con forte velleità didattiche. Si tratta solo di una mia impressione o avete fatto di questa inclinazione didattica uno dei punti forti del vostro Rap?
M: La nostra inclinazione didattica parte da alcuni assunti: il Rap è un mezzo espressivo chiaro, diretto e quindi adeguato per comunicare in modo efficace contenuti anche complessi. In secondo luogo le giovani generazioni hanno un vero bisogno di contenuti culturali: non conoscono bene la lingua, non si informano, non leggono. Non è solo colpa loro ma anche del fatto che i canali che fruiscono non danno loro stimoli importanti. Il Rap può raggiungerli, con il nostro Rap cerchiamo di dare loro qualche stimolo che possa allargare l'orizzonte conoscitivo. A tal proposito voglio consigliare il saggio scritto da un amico: Matteo de Benedittis, "Cantami o Dj... Lezioni parecchio alternative d'italiano" (Kowalski 2009), che può essere utilissimo anche ai giovani mc's perché analizza l'utilizzo di metrica e figure retoriche nella canzone italiana con ampi riferimenti al Rap italiano.

RO: A partire dalla tua bio, sebbene sia presentata in modo scherzoso, fino a pezzi come "I maestri", è chiara, nel tuo Rap, la presenza di una forte influenza operata dalla letteratura, sia canonica (i riferimenti ai grandi romanzieri russi, a Calvino, a Márquez) sia più eterodossa (citi "Q" di Luther Blissett tra i tuoi libri prediletti), per non parlare della continua presenza della letteratura classica (penso in particolare a "La titanomachia" e "La murubeide" ma anche a "Le invasioni barbariche"). Che peso ha la letteratura nel tuo modo di scrivere e nella selezione dei temi?
M: In verità io sono poco più che un profano della letteratura, la mia formazione è filosofica; il mio approccio alla letteratura è abbastanza comune, sono un lettore lento e instancabile, con un grande interesse per i classici moderni. Della mitologia apprezzo tantissimo il valore metaforico e l'intaccata attualità di alcune intuizioni sull'essere umano. Il fatto di non essere un esperto e avvicinare letteratura e mitologia da persona qualunque mi da la possibilità di fruirla con la meraviglia e la gioia del bambino che non ha mai visto la giostra panoramica e questo entusiasmo penso si evinca anche dai testi. Discorso diverso per la filosofia, su cui infatti non ho mai scritto testi e che vivo nel timoroso rispetto dei mostri sacri.

RO: Proviamo a rovesciare i termini della domanda: pensi che il Rap possa rivendicare, oggi, una dignità letteraria? Quello che intendo dire è: il Rap può, con le dovute distinzioni, reclamare il diritto di entrare a far parte della scrittura alta, direi anche poetica, come è successo (o forse sta succedendo) per certi cantautori, come De André? Sto parlando di certo Rap, ovviamente: trovi che i tempi siano maturi, che l'idea sia eccessivamente pretenziosa o che sia semplicemente fuori luogo?
M: Il discorso è: perché il Rap non dovrebbe avere dignità letteraria? Perché è in rima? Ma la storia della letteratura paga un tributo immenso alla scrittura in rima, questo è indiscutibile. Quindi il discorso non è se il Rap possa rivendicare dignità letteraria ma se alcuni rapper, in quanto scrittori di versi in rima, la possano rivendicare; ancora, la domanda più corretta forse è: il pubblico che ascolta Rap è interessato al fatto che il Rap possa avere spessore letterario? Risposta: attualmente forse no, anche perché in pochi ci hanno provato. In futuro forse sì, se qualcuno ci proverà. Io ho provato. Qualcuno mi ha detto che in alcuni pezzi faccio del De André, io dico che mi piacerebbe ma non ci sono neanche vicino.

RO: Trovo che "Il giovane Mariani" sia un disco completamente anomalo nel contesto dell'Hip-Hop italiano, così come lo era stato "Dove vola l'avvoltoio", anche se in misura minore. Hai coscienza della portata deflagrante che può avere la scelta di sfruttare così a fondo la narrazione, in una scena che ignora quasi completamente la scuola di grandi cantautori, Guccini in testa, che hanno dato ampio spazio al racconto in musica? Voglio dire, lo storytelling, nel Rap italiano, è trascurato quasi da tutti (escludendo qualche nome, nemmeno troppo altisonante): un disco completamente incentrato sulla narrazione è, quantomeno, curioso. Come spieghi questa scelta?
M: La Kattiveria ha sempre avuto un approccio originale perché siamo sempre stati svincolati da tutti i cliché del mondo dell'Hip Hop. Il discorso è: lo storytelling e il Rap sono un connubio felice perché il Rap è un mezzo efficace per raccontare storie. A me piace raccontare storie in rima sia rielaborando cose che ho letto, sia inventandone di mie. Ho scritto anche qualche racconto da leggere, ma per ora è ancora troppo grande il piacere che mi dà accompagnarlo ad una produzione. Ho scelto di scrivere un album intero di racconti perché attualmente per me lo storytelling è la modalità più intensa e suggestiva per veicolare contenuti. Inoltre, scrivere una canzone-racconto è sempre una sfida stimolante perché non è così semplice riuscire a sintetizzare in tre minuti la storia di qualcuno, vero o inventato che sia, rendendola comprensibile, accattivante e soprattutto non banale. Sono contento di aver ricevuto molti apprezzamenti per la mia scelta e del fatto che il disco, con una promozione pressoché inesistente, sia stato conosciuto solo grazie al tam tam fra utenti della rete e alla recensioni avute.

RO: Cito dalla bio del gruppo, in riferimento alla metà degli anni novanta: L'Italia comincia a sviluppare le prime realtà che si differenziano dal combat Rap militante e politicizzato e il nuovo Hip-Hop italiano per reazione viene influenzato dalle tematiche che caratterizzano il G-funk: party, ladies, spaccio di droga, soldi, criminalità... I nostri vivono male queste nuove tendenze. […] Matura una forma di repulsione verso l'approccio filoamericano che pare caratterizzare tanti gruppi italiani. In particolare, per quanto riguarda l'Italia, il vostro giudizio sulla scena Hip-Hop è cambiato dai tempi di "Ehm...sii" o continuate ad avversare quella che sembra essere la maniera imperante di fare Rap nella penisola?
M: Come ho detto in altre occasioni: il Rap italiano è un universo fatto da tante galassie, è naturale e salutare che esistano modi diversi di farlo, dal più ignorante al più sofisticato, ed è giusto che esista tutto, il male arriva se un certo tipo di Rap superficiale diviene imperante, detta le coordinate e viene identificato come IL rap italiano.

RO: Restando in tema, vedi di buon occhio lo sdoganamento, più o meno massiccio, che recentemente sta vivendo l'Hip-Hop italiano? A prescindere dal tipo di Rap che viene portato all'attenzione del pubblico profano, non pensi che sia comunque un'occasione di visibilità per una forma d'arte che rischia altrimenti di rimanere perennemente legata al sottosuolo del mercato musicale?
M: Io vedo anche di buon occhio lo sdoganamento sotto certi aspetti, ma il discorso secondo me è che lo sdoganamento e il clamore sono già stati superati e ora stiamo ritornando sotto come dieci anni fa. E' abbastanza fisiologico, è un ciclo: il Rap sale all'attenzione del grande pubblico, il grande pubblico si satura, il Rap vive un periodo di crisi e poi lentamente si riprende. Cosa certa è che, a prescindere dalle fasi, la vita di questo genere è nel sottosuolo.

RO: Ti lascio con i miei complimenti per i lavori della Kattiveria e per il tuo disco solista, ti ringrazio e ti chiedo, in ultima battuta, di segnalare progetti, nuove uscite o qualunque altro evento che pensi meriti la nostra attenzione. In bocca al lupo!
M: Vi anticipo alcune prossime uscite: entro l'estate un mixtape presentato da Dj Caster, "Il giovanile Mariani e altri rap-core tricks", che raccoglie scritti minori, featuring e remix che ho realizzato negli ultimi tempi. In uscita a breve l'album de Il Tenente, "Odor ed lumadeg", completamente in dialetto reggiano. In arrivo anche un altro grande lavoro: l'album solista di U.G.O.. Sempre per questa estate ristamperemo il mixtape di Dj Caster "Interferenze sotterranee". Infine, per l'inverno prossimo farò uscire un mini album che conterrà i miei nuovi racconti. Un saluto e un grazie a voi per lo spazio. A presto.