Riccardo Orlandi: Tanto per cominciare,
sebbene sia spiegato magistralmente nella bio sul
sito
della Kattiveria, potresti dirci due parole su come si è formato il
collettivo, magari parlandoci un po' della tua esperienza personale e
dell'evoluzione che il tuo modo di scrivere ha attraversato?
Murubutu: Salve a tutti. Per me tutto è cominciato nel lontano '91,
quando con Depierte MC e Muracaman ho fondato i Kattiveria Posse: eravamo
skaters, writers, breakers e facevamo Rap militante estremamente
politicizzato, secondo i canoni del periodo. Dal '97 abbiamo fatto la
scelta di contaminare i nostri live con delle rappresentazioni teatrali:
Rap militante e costumi d'epoca, una grande provocazione. Con il tempo,
poi, siamo cresciuti e abbiamo cambiato gradualmente approccio e
sensibilità artistica. Poco prima del 2000, Dj Gamon, U.G.O. e Il Tenente
sono entrati in pianta stabile nella crew, che da quel momento ha assunto
il nome de La Kattiveria. Da allora ho cominciato a lavorare sui testi in
modo meno retorico, facendomi influenzare da un approccio sempre molto
lucido ma anche più tecnico ed articolato che era anche il risultato delle
nuova aria che si respirava nel gruppo. Dj Caster è il nostro ultimo e
fondamentale acquisto, anche lui è un b-boy storico di R.E.. Approfitto di
questo spazio per ringraziarlo perché il lavoro che svolge per noi è
fondamentale.
RO: Restando nell'ambito biografico, mi ha incuriosito molto
l'interesse della Kattiveria per la rappresentazione teatrale. Come avete
vissuto e cosa vi ha dato questa esperienza?
M: Le rappresentazioni, diciamo così teatrali, ci hanno dato
tantissimo a livello di divertimento, ho dei ricordi splendidi. Univamo
musica Rap e parti recitate calate all'interno di scenografie, con tanto
di comparse e truccatori. Eravamo diventati una macchina organizzativa
notevole a livello locale, riuscivamo a suonare con frequenza ottenendo un
buon seguito e proponendo uno spettacolo diverso per ogni esibizione. Sul
myspace
c'è un esilarante medley delle nostre migliori prestazioni. Questa
iperattività, tuttavia, nel tempo ci ha saturato e abbiamo deciso di
dedicarci solamente alla musica, anche se a breve non ci faremo mancare
una rimpatriata.
RO: Da cosa è stato dettato il passaggio da un Rap più vicino alle
posse e alla contestazione politica ad uno più didattico-hardcore, fino
alla vetta (ma questo è solo un mio parere) narrativa de "Il giovane
Mariani"? Ovviamente il fil rouge della presa di coscienza e della
consapevolezza, oserei dire, colta è costante, ma la modalità
espressiva è fortemente rivoluzionata. Cosa puoi dirci in proposito?
M: Per me scrivere canzoni è un'esigenza espressiva fondamentale.
E' un antistress eccezionale, c'è una parte della mia mente che ha bisogno
di scrivere canzoni e la mia mente ha bisogno di questa parte. Sono sempre
stato abbastanza metodico nella scrittura: prima mi documento
sull'argomento che mi interessa, poi fantastico, assemblo e metto in rima
questo materiale. Ci sono due costanti alla base delle tre fasi che hai
menzionato: primo, non mi ha mai interessato tanto parlare di me quanto
dell'umanità in generale. Secondo: il Rap è mezzo, non fine, quindi può
essere usato per parlare di Rap, di strada, della propria vita ma anche di
un'infinità di altri argomenti. I rapper italiani faticano molto a capire
questa potenzialità...
RO: Scartabellando nelle vostre biografie e nei comunicati, tra il
sito e il myspace, si trovano vari riferimenti a seminari e laboratori con
forte velleità didattiche. Si tratta solo di una mia impressione o avete
fatto di questa inclinazione didattica uno dei punti forti del
vostro Rap?
M: La nostra inclinazione didattica parte da alcuni assunti: il Rap
è un mezzo espressivo chiaro, diretto e quindi adeguato per comunicare in
modo efficace contenuti anche complessi. In secondo luogo le giovani
generazioni hanno un vero bisogno di contenuti culturali: non conoscono
bene la lingua, non si informano, non leggono. Non è solo colpa loro ma
anche del fatto che i canali che fruiscono non danno loro stimoli
importanti. Il Rap può raggiungerli, con il nostro Rap cerchiamo di dare
loro qualche stimolo che possa allargare l'orizzonte conoscitivo. A tal
proposito voglio consigliare il saggio scritto da un amico: Matteo de
Benedittis, "Cantami o Dj... Lezioni parecchio alternative d'italiano" (Kowalski
2009), che può essere utilissimo anche ai giovani mc's perché analizza
l'utilizzo di metrica e figure retoriche nella canzone italiana con ampi
riferimenti al Rap italiano.
RO: A partire dalla tua bio, sebbene sia presentata in modo
scherzoso, fino a pezzi come "I maestri", è chiara, nel tuo Rap, la
presenza di una forte influenza operata dalla letteratura, sia canonica (i
riferimenti ai grandi romanzieri russi, a Calvino, a Márquez) sia più
eterodossa (citi "Q" di Luther Blissett tra i tuoi libri prediletti),
per non parlare della continua presenza della letteratura classica (penso
in particolare a "La titanomachia" e "La murubeide" ma anche a "Le
invasioni barbariche"). Che peso ha la letteratura nel tuo modo di
scrivere e nella selezione dei temi?
M: In verità io sono poco più che un profano della letteratura, la
mia formazione è filosofica; il mio approccio alla letteratura è
abbastanza comune, sono un lettore lento e instancabile, con un grande
interesse per i classici moderni. Della mitologia apprezzo tantissimo il
valore metaforico e l'intaccata attualità di alcune intuizioni sull'essere
umano. Il fatto di non essere un esperto e avvicinare letteratura e
mitologia da persona qualunque mi da la possibilità di fruirla con la
meraviglia e la gioia del bambino che non ha mai visto la giostra
panoramica e questo entusiasmo penso si evinca anche dai testi. Discorso
diverso per la filosofia, su cui infatti non ho mai scritto testi e che
vivo nel timoroso rispetto dei mostri sacri.
RO: Proviamo a rovesciare i termini della domanda: pensi che il Rap
possa rivendicare, oggi, una dignità letteraria? Quello che intendo dire
è: il Rap può, con le dovute distinzioni, reclamare il diritto di entrare
a far parte della scrittura alta, direi anche poetica, come
è successo (o forse sta succedendo) per certi cantautori, come De André?
Sto parlando di certo Rap, ovviamente: trovi che i tempi siano
maturi, che l'idea sia eccessivamente pretenziosa o che sia semplicemente
fuori luogo?
M: Il discorso è: perché il Rap non dovrebbe avere dignità
letteraria? Perché è in rima? Ma la storia della letteratura paga un
tributo immenso alla scrittura in rima, questo è indiscutibile. Quindi il
discorso non è se il Rap possa rivendicare dignità letteraria ma se alcuni
rapper, in quanto scrittori di versi in rima, la possano rivendicare;
ancora, la domanda più corretta forse è: il pubblico che ascolta Rap è
interessato al fatto che il Rap possa avere spessore letterario? Risposta:
attualmente forse no, anche perché in pochi ci hanno provato. In futuro
forse sì, se qualcuno ci proverà. Io ho provato. Qualcuno mi ha detto che
in alcuni pezzi faccio del De André, io dico che mi piacerebbe ma
non ci sono neanche vicino.
RO: Trovo che "Il giovane Mariani" sia un disco completamente
anomalo nel contesto dell'Hip-Hop italiano, così come lo era stato "Dove
vola l'avvoltoio", anche se in misura minore. Hai coscienza della portata
deflagrante che può avere la scelta di sfruttare così a fondo la
narrazione, in una scena che ignora quasi completamente la scuola di
grandi cantautori, Guccini in testa, che hanno dato ampio spazio al
racconto in musica? Voglio dire, lo storytelling, nel Rap italiano, è
trascurato quasi da tutti (escludendo qualche nome, nemmeno troppo
altisonante): un disco completamente incentrato sulla narrazione è,
quantomeno, curioso. Come spieghi questa scelta?
M: La Kattiveria ha sempre avuto un approccio originale perché
siamo sempre stati svincolati da tutti i cliché del mondo dell'Hip Hop. Il
discorso è: lo storytelling e il Rap sono un connubio felice perché il Rap
è un mezzo efficace per raccontare storie. A me piace raccontare storie in
rima sia rielaborando cose che ho letto, sia inventandone di mie. Ho
scritto anche qualche racconto da leggere, ma per ora è ancora troppo
grande il piacere che mi dà accompagnarlo ad una produzione. Ho scelto di
scrivere un album intero di racconti perché attualmente per me lo
storytelling è la modalità più intensa e suggestiva per veicolare
contenuti. Inoltre, scrivere una canzone-racconto è sempre una sfida
stimolante perché non è così semplice riuscire a sintetizzare in tre
minuti la storia di qualcuno, vero o inventato che sia, rendendola
comprensibile, accattivante e soprattutto non banale. Sono contento di
aver ricevuto molti apprezzamenti per la mia scelta e del fatto che il
disco, con una promozione pressoché inesistente, sia stato conosciuto solo
grazie al tam tam fra utenti della rete e alla recensioni avute.
RO: Cito dalla bio del gruppo, in riferimento alla metà degli anni
novanta: L'Italia comincia a sviluppare le prime realtà che si
differenziano dal combat Rap militante e politicizzato e il nuovo Hip-Hop
italiano per reazione viene influenzato dalle tematiche che caratterizzano
il G-funk: party, ladies, spaccio di droga, soldi, criminalità... I nostri
vivono male queste nuove tendenze. […] Matura una forma di repulsione
verso l'approccio filoamericano che pare caratterizzare tanti gruppi
italiani. In particolare, per quanto riguarda l'Italia, il vostro
giudizio sulla scena Hip-Hop è cambiato dai tempi di "Ehm...sii" o
continuate ad avversare quella che sembra essere la maniera imperante di
fare Rap nella penisola?
M: Come ho detto in altre occasioni: il Rap italiano è un universo
fatto da tante galassie, è naturale e salutare che esistano modi diversi
di farlo, dal più ignorante al più sofisticato, ed è giusto che esista
tutto, il male arriva se un certo tipo di Rap superficiale diviene
imperante, detta le coordinate e viene identificato come IL rap
italiano.
RO: Restando in tema, vedi di buon occhio lo sdoganamento, più o
meno massiccio, che recentemente sta vivendo l'Hip-Hop italiano? A
prescindere dal tipo di Rap che viene portato all'attenzione del pubblico
profano, non pensi che sia comunque un'occasione di visibilità per
una forma d'arte che rischia altrimenti di rimanere perennemente legata al
sottosuolo del mercato musicale?
M: Io vedo anche di buon occhio lo sdoganamento sotto certi
aspetti, ma il discorso secondo me è che lo sdoganamento e il clamore sono
già stati superati e ora stiamo ritornando sotto come dieci anni fa. E'
abbastanza fisiologico, è un ciclo: il Rap sale all'attenzione del grande
pubblico, il grande pubblico si satura, il Rap vive un periodo di crisi e
poi lentamente si riprende. Cosa certa è che, a prescindere dalle fasi, la
vita di questo genere è nel sottosuolo.
RO: Ti lascio con i miei complimenti per i lavori della Kattiveria
e per il tuo disco solista, ti ringrazio e ti chiedo, in ultima battuta,
di segnalare progetti, nuove uscite o qualunque altro evento che pensi
meriti la nostra attenzione. In bocca al lupo!
M: Vi anticipo alcune prossime uscite: entro l'estate un mixtape
presentato da Dj Caster, "Il giovanile Mariani e altri rap-core tricks",
che raccoglie scritti minori, featuring e remix che ho realizzato negli
ultimi tempi. In uscita a breve l'album de Il Tenente, "Odor ed lumadeg",
completamente in dialetto reggiano. In arrivo anche un altro grande
lavoro: l'album solista di U.G.O.. Sempre per questa estate ristamperemo
il mixtape di Dj Caster "Interferenze sotterranee". Infine, per l'inverno
prossimo farò uscire un mini album che conterrà i miei nuovi racconti. Un
saluto e un grazie a voi per lo spazio. A presto.
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