Blema:
Matt Manent è un nome che si è cominciato a sentire
a Milano e in Lombardia intorno al periodo dello Show Off, quando
c'era un gran fiorire di jam nella nostra regione (Lombardia,
n.d.B.) ma in un verso di "Universal speaker" dici
<<since
I was fourteen>>,
quindi c'è stato anche un prima... Chi era Matt Manent?
Matt
Manent:
Since
I was fourteen
perché
quello è stato proprio il punto d'inizio, sul finire dei
miei 14 anni ho cominciato a scrivere con la precisa idea di
prendere una direzione nell'Hip-Hop. Quello che ero prima l'ho
rivalutato, l'ho messo anche dentro il concetto dell'album ed è
riflesso sia quello che sono adesso sia quello che ero prima dei
fatidici 14 anni ed il cambio di rotta nella direzione. Sono una
persona che viene fuori da una delle situazioni più
comuni, genitori che lavorano, gente che si fa il culo per una
vita per comprarsi una casa, gente che è zitta e lavora,
poche chiacchiere, si bada alla sostanza.
Il contesto è
questo. Non vengo fuori da situazioni di puro disagio come chi
racconta o chi talvolta millanta situazioni di pseudo-ghetto
all'italiana, a volte vere a volte estremizzate, la mia vita è
quella di un ragazzo di provincia che cresce con una famiglia
modesta, economicamente parlando, che vede i genitori sacrificarsi
tanto per il mutuo della casa eccetera, sono cose che ho
assorbito e che dai 14 anni in poi ho messo in rima con
una certa coscienza.
B:
Tutti si aspettavano ancora una volta Matt Manent & DB,
invece c'è solo Matt. Come mai?
M:
Punto primo: è da chiarire subito il fatto che non c'è una rottura tra
me e DB, anche perché se ci fosse stato del sangue amaro
tra me e lui non ci saremmo mai trovati una volta alla settimana
per fare Streetbeat; punto secondo: ci fossero stati
dei dissapori non avrei registrato interamente il disco da lui;
punto terzo: se ci fossero stati dei dissapori, non si sarebbero
trovate delle sue collaborazioni con due beat. Questa è
stata la mia naturale evoluzione per la voglia di testarmi con il
suono di altri producer, avere il piacere di testare altre
sonorità ed evolvermi su quelle, perché il beat è
sempre la pietra fondamentale, per me. Quando abbiamo fatto
"Dedalo EP", se avessimo voluto proporci come gruppo ci
saremmo trovati un nome e invece Matt&DB significava
un'unione di forze e così è stato, potremmo
collaborare per qualcosa insieme anche domani mattina, però
per questo capitolo non è assolutamente una rottura, è
solo la mia evoluzione, prendere un'altra strada e avere il
piacere di gestirmi con più producer.
B:
Le collaborazioni che troviamo su "Palestra di vita"
sono soprattutto con gente che sta al Nord (Lugano, Varese,
Milano, Torino, ecc.), zona d'Italia dove per ovvi motivi sei più
conosciuto. Non sembra molto furba l'idea di lavorare con
colleghi conosciuti tanto quanto te e per di più nella
stessa area...
M:
Io non ho un'idea limitante per questo disco e non lo identifico
come un disco del Nord, succedeva anni fa che uscissero dei
dischi che sembravano fatti in serie, stessa gente, stessi
featuring, stessi producer; questo non è il mio caso. Io
non mi sono neanche posto il problema, perché ho voluto
lavorare con la gente che più mi piace e con cui c'è
anche un rapporto di stima reciproca, il fatto che poi siano a
Nord piuttosto che a 2000 km cambia poco, si parla sempre di Nord
come se fosse una massa tutta amalgamata ma i Duplici sono di
Torino, io gravito nell'area di Milano e quindi non siamo
propriamente sotto casa e non è che abbia tirato gente in
studio perché non sapevo come chiudere la traccia, prima
di tutto stima reciproca. Poi, a livello di produzioni,
sono stati coinvolti anche Shuko, dalla Germania, Jupiter, da Bucarest, ma
anche Eko, da Avellino, il Sud è pieno di gente che mi
piace: Stokka & Mad Buddy, Kiave, Ghemon...dalla Sicilia a
Roma c'è tanta gente che mi piace però con loro non
c'è un rapporto. Questo mio lavoro è come un
biglietto da visita, magari prossimamente si può creare,
sulla base di qualcosa di concreto, un rapporto del genere.
B:
Presenterai "Palestra di vita" anche in altre
zone d'Italia?
M:
Io ci spero. Il problema è quello di essere messi in una
condizione di serietà, suonare è sempre la prima
cosa, ci sono situazioni dove magari ci sono venti persone che ti
trovi di fronte ma sono venti persone che quando butti per la
seconda volta un ritornello già lo sanno a memoria, ti
supportano, ti vengono a prendere il cd ed è veramente
bello, ci sono altre situazioni all'opposto dove manca totalmente
il rispetto o mancano le garanzie per muoversi. Non sono una
persona che purtroppo può permettersi di girare in lungo e
in largo senza garanzie. Io spero di andare ovunque, sto
prendendo contatti per andare in quante più parti
possibili, soprattutto che possano portarmi fuori dalla mia zona.
B:
Come sono nate le collaborazioni coi produttori non italiani?
M:
Coi produttori esteri c'è stato un rapporto molto, molto
bello. Con Shuko ciò che ci accomuna è stato che
siamo di due crew radiofoniche, noi Streetbeat e loro
HipHopCulture, per questa passione comune ci siamo conosciuti un
po' tutti, io ero stato in Germania da loro a presentare "Dedalo
EP" nel loro programma, c'era Shuko che era un ottimo
producer che non aveva mai avuto l'occasione di concretizzare
qualcosa con qualcuno in Italia, mi sono proposto, ne abbiamo
parlato, ha accettato. Questo è un grande onore perché
avere sull'album una persona che ha prodotto per Army Of The
Pharaohs, R.A. The Rugged Man e Braille, è una
soddisfazione, per la prima volta in Italia arriva un beat
di Shuko. Jupiter invece doveva venire in Italia in vacanza, si è
documentato su quello che si muoveva dalle nostre parti, ha
trovato il sito di Streetbeat, ha ascoltato la trasmissione, mi
ha contattato, lui era di passaggio a Milano e ci siamo visti, mi
ha fatto sentire un po' di beat, mi sono piaciuti tantissimo e
con lui sarà una cosa che andrà anche oltre, perché
sta facendo un nuovo lavoro originalissimo: data la crisi
discografica ognuno cerca un'idea originale, lui ogni mese butterà
fuori dei pezzi in download gratuito disponibili anche per
l'acquisto per quelli che hanno il buon cuore di comprarli, un
lavoro a puntate che si chiamerà "Jupiter a ucis
melodia", Jupiter ha ucciso la melodia, in
altre parole si uccide il suono melodico o stereotipato che gira
ad alti livelli per portare del sano Hip-Hop.
Nel primo episodio ci sono stati artisti come Pumpkinhead e
altri del luogo, per quanto riguarda l'Italia figurerò io
e per altre nazioni altri ospiti.
B:
Hai deciso di fare un cd stampato, con booklet, ecc... Che cosa ne
pensi invece della scelta che hanno fatto gli Huga Flame, del
free download?
M:
Gli Huga Flame hanno fatto bene perché avevano una
discografia di un certo tipo alle spalle, la gente sa chi sono
gli Huga, che piacciano o non piacciano la gente sa,
identifica gli Huga Flame. Hanno fatto
bene anche perché sanno promuoversi, sono attivi con i video, ecc. Io non potevo
permettermi un passo del genere perché sarei stato il file
sul desktop di qualcuno senza un sapore, senza niente. La
confezione che ho fatto io è molto curata, sia per quanto
riguarda le foto, scattate da uno studente di Brera bravissimo,
la grafica, curata dalla Question Mark, e anche per i concetti
che ho messo io, cioè il completamento, il
libretto. Se uno si scarica degli mp3 non capirà mai certe
cose che ho voluto mettere sulle motivazioni, su che cosa mi
spinge a scrivere, è un libretto che parla, con le
immagini o con le parole, parla.
B:
Ne parli sul tuo disco, c'è uno skit di StreetBeat.
Quant'è stata importante l'esperienza radiofonica con
Streetbeat per te, come mc?
M:
Importantissima, più che come mc, come persona nell'Hip-Hop. Streetbeat è stato il crocevia di tantissime storie
ed esperienze, la gente che in studio viene e ci racconta, tutti
gli ospiti che ci sono stati hanno portato le loro storie e
vicende, ci si è confrontati. Per quanto riguarda la scena
italiana, avendo conosciuto moltissimi artisti in questi
cinque anni
di attività abbiamo fatto un grande salto di
qualità che
ci ha permesso di inquadrare pregi e difetti della scena italiana
e di avere una conoscenza dal lato umano con le persone che è
la cosa migliore, perché ci sono dei rapporti che sono
andati avanti, si sono evoluti. Per quanto riguarda l'estero
abbiamo conosciuto tantissime persone, tanti artisti validissimi,
delle leggende dell'Hip-Hop che si dimostrano prima persone come
si deve che artisti di grande spessore. Streetbeat, in Italia o
all'estero, ci ha dato un motivo per esprimerci e ringrazio noi
stessi e nessun altro perché ci siamo trovati in
situazioni estreme dove si poteva chiudere da un giorno all'altro
e invece abbiamo sempre avuto la forza di metterci, di scucire i
soldi di tasca nostra per portare avanti una cosa in cui
crediamo. Mi permetto di dire che è molto più Hip-Hop
questo tipo di atteggiamento concreto, di chi
cioè si mette a
lavorare 11-12 ore al giorno per avere i soldi da investire in
questo oltre che per vivere...invece che quello
delle persone che pensano che con un New Era figo,
di pacca, siano i nuovi profeti del ghetto o gente che è
cent'anni che è in giro a sbandierare il rispetto ma poi
il rispetto non sa neanche dove sta di casa. A volte purtroppo
trovi delle persone infime.
B:
E che importanza ha avuto, invece, la tua
esperienza di giornalista, quindi la possibilità di conoscere
artisti italiani, europei, americani...
M:
Va molto in parallelo con quello che è stato Streetbeat,
perché comunque sono cose che sono nate prima per
Streetbeat e che poi ho messo su carta per Groove. Prima ho
fatto un minimo di gavetta su siti dove pubblicavo alcuni
articoli, scrivere mi piace, è una bellissima cosa quindi
appena ho avuto l'occasione, ho voluto fare in modo di uscire. Con Groove ho trovato una mentalità molto aperta, può
piacere o non piacere, io che l'ho vista da dentro e che conosco
persone come Teskio, un signor caporedattore,
dico che anche qua sono rimasto arricchito prima da un lato
umano che dal lato monetario. Ho scoperto poi
anche il lato B della faccenda,
perché l'editoria è un settore sempre in crisi e
riuscire a far diventare questa la mia professione è
pressoché impossibile, specialmente quando vuoi scrivere
con un'etica. A me non me ne frega un cazzo di scrivere un
articolo sull'ultimo profeta da classifica americana, io voglio
scrivere di determinate cose, è chiaro che quando
subentra un
discorso etico ti precludi delle possibilità:
io non
sprecherò mai tempo per intervistare un artista che reputo
falso, vado per gli artisti che stimo.
B:
La scelta dell'autoproduzione.
M:
E' un discorso importante, perché c'è una crisi
discografica fortissima, per cui se nel 2003 usciva qualcuno con
un cd serio d'esordio, mille copie le facevi sicuro perché
c'era più fermento, si andava alle serate con una certa
mentalità e la gente non era così attaccata ad
internet e MySpace. Il discorso che la gente deve capire è
molto semplice, più si va avanti e più diventa come
un lavoro, passi attraverso delle vicissitudini in cui tu per un
tot non puoi lavorare se devi andare in studio a curare come sta
venendo fuori il tuo album e non ci sono storie, a meno che non
hai la fortuna di avere qualcuno di estremamente fidato che va a
controllare per te, com'è stato per me con DB. Ogni
persona che masterizza un disco, ruba qualcosa. Il cd è
fatto con un prezzo quanto più contenuto possibile e non
stiamo parlando dell'artista della casa discografica che ha i
soldi, e non sarebbe giusto nemmeno in quel caso, non è
mai giusto rubare dalle tasche della gente, specialmente da chi
si autoproduce e ci mette migliaia di euro più i mesi di
lavoro per portare fuori una cosa del genere.
Io per far uscire
questo disco ho dovuto rinunciare a tantissime altre cose, sono
arrivato a lavorare anche 17 ore al giorno, dalle 6 di mattina
all'una di notte, dopo tutte queste cose se qualcuno mi masterizza un pezzo vado fuori di testa. A parte la questione di
rispetto, io mi vedrò un sogno messo alle strette o ucciso
da quanto la gente ti ruba dalle tasche, non esiste. Io spero
nella correttezza e nel buon cuore di chi è appassionato.
Matt Manent o non Matt Manent, se si continua di questo passo,
finito il giro della gente pazza che ha voglia di fare dei
dischi, non ci sarà più niente e già in
Italia abbiamo molto poco.
B:
In poche parole, cos'è "Palestra di vita"?
M:
"Palestra di vita" è il concetto fondamentale
dei miei 24 anni e tutto il percorso attraverso cui un bambino
nasce, cresce e diventa un giovane adulto, uomo non si può
dire, quello lo valuti alla fine della tua esistenza.
"Palestra
di vita" condensa tutto questo, è un lavoro
concepito in 18 mesi e quindi
tecnicamente rappresenta
proprio questi 18
mesi, però è il succo di
un'esistenza intera. Ci sono diversi pezzi, tra cui
"Palestra
di vita", che descrivono il contesto in cui sono venuto su,
"Strettamente personale", palesemente rivolto ai miei
genitori perché li reputo esempio di qualcosa di raro, poi ci sono altre sfaccettature di me che vengono fuori,
come quello un po' più goliardico di "Mascalzoni
latini", coi Duplici, perché siamo tre pazzi, oppure
riflettere sullo stato attuale dell'arte come
in "Bruciamo vivi".
"Palestra di vita" vuole
anche rompere i confini e andare più in là, è
il caso di "Universal speaker",
cinque strofe in cinque lingue.
Non m'interessa che la gente capisca o meno, spero che comunque
smuova qualcosa e faccia capire il concetto fondamentale che
l'Hip-Hop non è
America-virgola-Italia-tra
parentesi: sì, anche in Francia c'è qualcosa,
l'Hip-Hop è
globale. Io ho fatto un pezzo in
cinque lingue ma c'è
dell'Hip-Hop in ogni lingua del mondo, poco o tanto. Connettere è
la prima cosa.
www.myspace.com/mattmanent
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