Al-X:
cominciamo dalla genesi del
disco, che è stata abbastanza sofferta...
Emcee O'zì: ho iniziato a lavorare a questo progetto in un
periodo un po' particolare della mia vita, avevo da poco finito gli
studi e nell'intraprendere un percorso lavorativo dalle prospettive
profondamente incerte, senza una fissa dimora, le fasi iniziali dello
stesso hanno risentito di una certa incostanza; quando poi, negli ultimi
tre anni, ho avuto la possibilità di tornare a Napoli, sono riuscito a
dedicarmici con maggiore continuità, avendo nel frattempo maturato il
concept, le varie tematiche e un buon numero di strumentali da
riarrangiare. Grosso modo i temi del disco sono legati prevalentemente a
quella che è stata la mia vita negli ultimi anni, in cui impegni ben più
stringenti finivano per togliere tempo all'elaborazione dei pezzi; una
traccia in particolare, "In risalita", che è un po' la descrizione di un
incubo, è appunto il riflesso di come e cosa vivevo in quel periodo,
senza particolari filtri. Il fatto di voler uscire fuori da un ambiente
oscuro che mi opprime mi fa realizzare che non posso farlo velocemente,
ma solo gradualmente, un passo alla volta, in una faticosa risalita che
è in fondo uno specchio dell'evoluzione personale.
A: un passo alla volta... Sono passati dieci anni da "Overflow".
Cos'è cambiato in Emcee O'zì in quest'arco di tempo?
E: aver vissuto per un po' lontano dai miei affetti e dai miei
luoghi d'origine mi ha fatto astrarre da determinati ambienti.
Artisticamente, credo di sentirmi oggi meno convinto, meno
portatore di concetti fini a loro stessi e più introspettivo, più
attento ad esprimere semplicemente un punto di vista. In ogni caso, il
cambiamento più significativo non è tra "Overflow" e "Debug", ma tra
"Overflow" e "The horror EP" (2009), "Debug" riprende in un certo senso
il discorso da dove l'avevo lasciato nell'EP, nonostante musicalmente le
due cose siano differenti.
A: quali sono i fili conduttori di "Debug"?
E: il disco fa tutto un percorso ed è scandito dall'ordine stesso
delle tracce. E' un viaggio nella mia interiorità, dalle mie origini a
un ipotetico futuro: "Generazione chimica" e "Fortified school"
raccontano di un rapporto con le istituzioni non esattamente idilliaco,
i brani descrivono la delusione di chi, come me, è stato costretto ad
abbandonare il proprio luogo d'origine, la periferia, alla ricerca di un
lavoro e una indipendenza economica. "Fortified school" è chiuso da uno
skit, il cui concetto è: l'unica via di salvezza è la fuga. Trasferitomi
nel centro di una grande città, divento "L'uomo della folla" che, come
il protagonista dell'omonimo racconto di Edgar Allan Poe, vaga in un
contesto urbano e sociale apparentemente semplice e familiare, ma in
realtà complesso e imperscrutabile. Nei momenti di tempo libero uscivo
spesso senza una meta precisa ed erano momenti scanditi fondamentalmente
dalla solitudine. La realtà lavorativa della metropoli viene subito dopo
descritta in "Anema e corporation", brano in cui prendo coscienza di
quanto davvero le persone giungano ad essere caricature di loro stesse,
ossessionate dalle proprie carriere, in nome di un fantomatico
aziendalismo. Le stesse persone che poi, magari nel quotidiano, lontano
dal posto di lavoro, fanno anche altro (lo storytelling di
"Quanno fa scuro"), allo stesso modo in cui io non pubblicizzo sul posto
di lavoro la mia parallela attività di musicista Hip-Hop. L'alienazione
di una vita lavorativa opprimente culmina poi nell'incubo di "In
risalita", traccia di cui parlavo prima. Di lì a poco ritrovo la spinta
per rinascere, raggiungendo un nuovo equilibrio interiore attraverso la
musica e lo studio, periodo che coincide tra l'altro col mio ritorno
nella terra d'origine. "Cosmo" e "BX-rays" segnano questa riconquista,
la ritrovata consapevolezza, ma la sensazione di essere incompreso a
livello musicale è sempre dietro l'angolo ed è espressa in "Giovani
allievi" e "Dallo spazio", altro storytelling dal finale aperto e dai
risvolti anche un po' inquietanti...
A: infatti, ascoltando "Outro(room 101)" si intuisce che il
finale di "Debug" non è esattamente luminoso...
E: il titolo della traccia riprende la Room 101 di "1984" di
George Orwell, la stanza delle torture dove vengono punite quelle che in
"Debug" chiameremmo le anomalie del protagonista: l'amore e le
genuine passioni. E' come se affermassi che in fondo ci siano solo due
alternative a questo stato di cose: arrendersi alla schematicità del
sistema o amare e lottare per mantenere la propria umanità fino alla
morte, nonostante le sofferenze.
A:
si nota anche una maggiore maturità nella performance. In "Dallo
spazio", ad esempio, ti prendi addirittura dei momenti in cui reciti
nell'incalzare della storia che stai consegnando all'ascoltatore.
E: gli skit in cui come dici recito nascono con uno scopo
rafforzativo, mi aiutano a rendere meglio l'idea di ciò che mi sta
succedendo. Sono inoltre un buon modo per far respirare un po' la
tracce, anche perché è un pezzo che va a circa 120 bpm, piuttosto
anomalo per il livello medio di un pezzo Hip-Hop. Anche gli uptempo sono
comunque scelti per veicolare meglio determinati stati d'animo e
ambientazioni, quello di "Dallo spazio" è un vero e proprio
inseguimento. Lo stesso accade nella parte finale di "L'uomo della
folla".
A: restando in tema di arrangiamenti e produzione, ci sono in
particolare due episodi, "L'uomo della folla" e "Quanno fa scuro", che
sono forse tra i momenti più ostici e complessi di tutto il disco. Il
primo si può definire un pezzo Progressive, nel senso che evolve, cambia
continuamente velocità, arrangiamento del beat, interpretazione; il
secondo ha queste sonorità Free Jazz che sembrano provenire direttamente
dalle viscere della terra. Da che cosa hai attinto per creare il sound
di "Debug", che hai interamente curato?
E: il digging è stato da sempre un elemento fondamentale nella
mia evoluzione artistica. Nell'ultima decade mi sono avvicinato a generi
musicali con cui non ero molto familiare, come ad esempio il Free Jazz,
lo Space Jazz o varie tipologie di Rock psichedelico. C'è da dire
inoltre che durante la lavorazione del disco ho cambiato città svariate
volte e i numerosi traslochi mi hanno logisticamente impedito di
lavorare alle canzoni con una certa continuità. Quindi pur di non
stare fermo musicalmente, ho cercato di ascoltare quanta più musica
possibile, questo probabilmente mi ha aperto ancora più la mente per
quel che riguarda gli arrangiamenti.
A: parlando dei featuring, credo che ben pochi in Italia oggi
possano vantare sul proprio disco le partecipazioni di Mr. Lif e Breeze
Brewin dei Juggaknots! Come sono avvenuti gli incontri che hanno poi
portato a queste collaborazioni?
E: in passato ho organizzato un bel po' di eventi Hip-Hop a
Napoli, ma attulamente ho deciso di abbandonare quest'attività per
problemi di tempo. Rimpiango un po' quel periodo e credo che ospitare
artisti provenienti da realtà diverse dalle tue sia un buon modo per
crescere. Mr. Lif lo conobbi per la prima volta nel 2009, in
quell'occasione ricordo che restò molto colpito dalla strumentale di un
pezzo che avevo in scaletta. Eravamo al soundcheck e non appena scesi
dal palco mi chiese se era possibile utilizzarla nel suo live per farci
freestyle. Gli dissi che era un beat prodotto da me e che se voleva il
giorno dopo gli avrei portato un CD con altro materiale, lì c'era
appunto una bozza di "Cosmo". Mi propose di utilizzare quel beat per un
suo singolo ma poi il progetto fu congelato per qualche tempo. Dopo un
anno e mezzo circa, decisi di chiedergli se gli andava di inserirlo nel
mio disco e fu così che decidemmo di concludere la traccia. Con Brewin è
andata grosso modo analogamente, fu mio ospite nel 2010 assieme ai
Juggaknots. Sono convinto che la base di una buona collaborazione sia la
volontà di scambiarsi esperienze, di crescere, di condividere. Lavorare
con due dei miei più grandi maestri di sempre mi ha lasciato tantissimo,
è stato necessario superare dei miei limiti pur di non sfigurare al loro
fianco e sono sicuro che quest'esperienza abbia lasciato qualcosa di
positivo anche a loro.
A:
adesso che il processo creativo e compositivo del disco ti ha asciugato
abbastanza...
E: sono davvero esausto...
A: ...posso immaginare. Adesso quale pensi sarà il prossimo
passo, se hai già delle idee?
E: in realtà ho già alcune collaborazioni da ultimare e che ho
posticipato per dare priorità al mio disco. E' in fase embrionale un EP
con Bonbooze dei Bluesteady Triptik, beatmaker col quale avevo già
collaborato per il pezzo "Assedio" e anche quello sarà un progetto molto
concettuale... Non ti nascondo che ora, per controbilanciare tutta
questa cervelloticità, mi verrebbe da scrivere una ventina di testi
autocelebrativi uno dopo l'altro, potrebbe essere terapeutico (risata
generale, NdAl-X).
A: a distanza di qualche anno, cosa resta per te dell'esperienza
con la TCK?
E: è stata la mia scuola, le mie origini. I ragazzi sono le
persone con le quali sono cresciuto e anche se qualcuno di loro ha fatto
scelte che artisticamente sono diametralmente opposte alle mie, è sempre
bello rincontrarsi.
A: in "Giovani allievi" c'è l'intervento di Alfonso Improta. E'
per caso Fonzie MC, che partecipò a "L'arte r'e pazz'", il primo demo
firmato TCK?
E: sì, è proprio lui. Devi sapere che lo zio di Alfonso è stato
cofondatore insieme al grande Massimo Troisi di un centro teatrale per i
giovani da queste parti e lo stesso Troisi si esibiva lì nelle sue
primissime apparizioni teatrali. Alfonso ha fatto teatro per parecchi
anni lì, quindi sapevo che non sarebbe stato difficile per lui cercare
di immedesimarsi, sebbene solo vocalmente, nella parte del musicista
filosofeggiante, pedante e rompicoglioni.
A: vuoi parlare ancora di qualcos'altro di cui non ti ho chiesto?
C'è altro che ti preme far sapere?
E: non credo ci sia altro. Vi ringrazio per lo spazio e
l'interesse nei confronti del disco.
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