Bra:
Anzitutto, complimenti: "Beauty Industries" è un progetto molto
originale
che mischia con equilibrio media differenti (musica, narrazione e
disegno), nell'Hip-Hop italiano qualcosa del genere succedeva solo
in
"Numero 47" degli Artificial Kid, perciò comincio col chiedervi
com'è nata
la collaborazione con Elia Tomaselli e in che modo avete proceduto
alla
realizzazione del disco.
Psycho: "Beauty Industries" nasce dalla voglia di pensare
ai nostri
progetti in maniera transmediale com'è sempre stato per noi fin
dall'inizio: unire musica, Rap, recitazione, scrittura e sfruttare
media
diversi per promuovere il nostro lavoro, ma soprattutto per
renderlo più
completo e globale è sempre stato il nostro intento. Da qui la
scelta di
collaborare con Elia, il nostro fumettista di fiducia
nonché amico
di vecchissima data, fin dal nostro primo disco, "Hiphopatronik"
(2005),
nel tentativo di unire disegno e musica, di far prendere forma ad
entrambi
reciprocamente e di portare avanti una strada già tracciata anni
prima con
la realizzazione di un fumetto underground ("Moloc") che ci vide
muovere i
primi passi nel mondo dell'autoproduzione. Ironia della sorte, il
nostro
progetto più riuscito in questo senso è proprio "Beauty
Industries", che
però non è tratto da un fumetto di Elia, bensì dall'omonima
graphic novel
dell'artista Ausonia.
B: L'ingresso nel gruppo di Tekem, già bassista per
Beatrice
Antolini, e il passaggio, rispetto ad "OverKill", a un uso più
accentuato
di sonorità Indie ed Elettroniche: quanto riuscite ancora a
considerarvi
una realtà Hip-Hop? E se fino al vostro disco precedente il
riferimento
alla Def Jux (ma non solo a loro) era molto marcato, oggi i
Groovenauti a
chi ritengono di essere più vicini?
P: Personalmente ho sempre inteso l'Hip-Hop come un
non-genere,
piuttosto un laboratorio di generi in cui mescolare, sperimentare,
sottrarre ed aggiungere a piacimento. Non sono mai riuscito ad
identificarmi con un'estetica o un atteggiamento preciso, a volte
imposto.
Il Rap non rappresenta altro che un linguaggio, forse il più
modellabile
musicalmente parlando, ed è fondamentalmente un mezzo di
comunicazione
potentissimo che non va sottovalutato e svilito come invece accade
oggi
nel mainstream ma anche nel nostro underground. Diciamo che non mi
sento
assolutamente Hip-Hop nel senso che molti attribuiscono oggi a
questa
espressione. Per quanto riguarda le somiglianze
artistico/stilistiche,
El-P, Dälek, Mike Patton, Anti-Pop Consortium rimangono i modelli
da
seguire, ma non sono che alcune delle voci che compongono la
stratificazione della nostra musica. Ispirarsi, metabolizzare,
interiorizzare e creare qualcosa di proprio rimane l'intento
primario. In
questo senso i concetti di vicinanza e lontananza perdono i loro
contorni
definiti.
Tekem: C'è un concetto molto interessante che cito da
Nataninez e
che ci ha spinto a trovare nuove direzioni. L'Hip-Hop (e la musica
Rap in
genere) si è sempre nutrito di altra musica e la sua forza
comunicativa
scaturisce dal calderone eclettico che viene a crearsi, quando
l'Hip-Hop
comincerà, e a mio avviso ha già cominciato a farlo da tempo, a
nutrirsi
di se stesso, ad autocitarsi e ad autocelebrarsi, finirà con il
fagocitarsi. Ecco il perché della ricerca di elementi non propri
dell'Hip-Hop ed ecco perché si potrebbe avere la presunzione (che
ovviamente non abbiamo) di essere tra i pochi ad aver mantenuto
quello
spirito evolutivo che l'Hip-Hop ha avuto per tutta la durata degli
anni
'80 e '90.
Max Producer: Mi fa piacere che tu abbia notato
quest'ulteriore
passo, o perlomeno il nostro tentativo di sfidare nuovamente il
genere da
cui proveniamo per riuscire a sfruttare al meglio la sua vera
natura di
non-genere; io mi sento Hip-Hop per questo motivo. Se invece mi
parli di
Hip-Hop come cornice pre-costituita, come musica che parla di sé e
con sé,
non mi ci sento dentro. Io mi sento vicino a chi vuole credere che
le
cornici limitino l'apertura alla creatività.
B: "Beauty Industries" si allontana dai canoni classici
dell'Hip-Hop anche
per quel che riguarda il Rap, Psycho lavora più sulle immagini che
sulla
semplice quadratura delle strofe, le voci diventano spesso
materia musicale da trattare in fase di produzione come ogni
altro
strumento e i cori caratterizzano diverse tracce (ad esempio in
"Vita
artificiale"): è una scelta dettata dalle esigenze compositive di
"Beauty
Industries" o si tratta di un tassello in più nella costruzione
della
vostra identità?
P: La voce è uno strumento, comporre senza considerare
questo
concetto significa rinunciare a lavorare su un elemento che può
arricchire
moltissimo l'atmosfera generale di un pezzo. Lavorare anche sulle
voci per
Max è normale quanto lo è suonare un synth.
T: E' stato un naturale processo di evoluzione/apertura
dettato dal
desiderio di sfruttare più mezzi comunicativi, credendo sia nella
forza
della parola che nelle suggestioni musicali. C'è anche una voglia
di fondo
di abbattere i cliché e le chiusure di genere, più ampio è lo
spettro di
azione maggiori sono le possibilità di arrivare
all'ascoltatore.
Non penso ci siano delle esigenze compositive, se non quelle
tematiche, è
stimolante lasciarsi trasportare dalla composizione stessa,
lasciando che
sia in qualche modo il percorso a determinare l'obiettivo. Ci sono
immagini, suggestioni, direzioni, propulsioni che cerchiamo di
imprimere,
qualsiasi sia il mezzo necessario per farlo.
M: Il nostro lavoro non è tanto frutto di esigenze
compositive,
quanto del naturale sviluppo di un tema, in questo caso dettatoci
dalle
tavole di Ausonia. Raramente pensiamo allo scheletro di un brano
prima di
crearlo, tutto nasce in-progress. Si tratta di automatismo
più che
di pianificazione. Ovviamente ci sono delle basi, ma non crediamo
nelle
forzature.
B: "Beauty Industries" è stato presentato al Lucca Comics
2009 e
verrà distribuito anche nelle fumetterie italiane: tenendo
presente quanto
detto sul vostro non essere un gruppo propriamente Hip-Hop, che
genere di
risposte avete incontrato in un pubblico spesso così eterogeneo?
P: L'aspetto frustrante della nostra musica è quella di non
avere
un pubblico definito. Il b-boy medio è tendenzialmente spaventato
dall'ascolto di suoni più legati al mondo dell'Elettronica che a
quelli
della black music, come lo è da testi che non toccano
assolutamente temi
autocelebrativi, di affermazione personale o di strada; ma
la scena
Rap è pur sempre quella da cui proveniamo per cui in qualche modo
bisogna
cercare di muoversi all'interno della sua placenta e bucarla lì
dove è
possibile, quando se ne presenta l'opportunità. "Beauty
Industries"
rappresenta una di queste opportunità: arrivare ad un pubblico
eterogeneo
e diversificato ma accomunato teoricamente dalla predisposizione
per la
ricerca e per la vicinanza a temi fantastico/fumettistici. Il
canale
distributivo al quale Pan Distribuzione ci permette di accedere è
un passo
avanti nello sfondamento di certe logiche costrittive.
B: Più in generale come si svolgerà la promozione del
disco? Avete
girato anche un video ("Economia post-industriale"), a che genere
di
piattaforma vi rivolgerete?
P: Lucca Comics 2009, Anteprima (il catalogo mensile di Pan
da cui
il disco è ordinabile), myspace, youtube e facebook sono i canali
che
stiamo cercando di sfruttare al meglio per la promozione. Crediamo
molto
nel supporto video, a cui abbiamo dedicato particolare attenzione
realizzando appunto il videoclip di "Economia post-industriale" in
quel di
Trento. Suonare tanto in giro rimane comunque l'obiettivo per una
promozione più completa. Forse quando la scena si evolverà
musicalmente
sarà più semplice, "Numero 47" in questo senso ci dà qualche
speranza.
B: Nella vostra musica si percepiscono chiaramente alcune
influenze
provenienti dalla letteratura (le distopie), dal cinema (in
"OverKill"
citavate apertamente Lynch e Cronenberg), ora anche dal fumetto.
Si tratta
di una prassi meno comune di quanto potrebbe sembrare, anche
perché spesso
nell'Hip-Hop i riferimenti sono pretestuosi, buttati lì a
mo' di
citazione; voi invece utilizzate tutto ciò come un humus,
una
sostanza organica da cui trarre idee ed ispirazioni: raccontateci
quest'aspetto.
P: Hai beccato in pieno uno degli aspetti credo cruciali
della
nostra musica. La nostra è quella che Zygmunt Bauman definirebbe
cultura ibrida: la ricerca della propria identità nella
libertà stessa
da identità assegnate e statiche, nella licenza di sfidare ed
ignorare
quei tipi di etichette o stigmi culturali. Se nei nostri testi e
nella
nostra musica esistono delle citazioni è perché ciò che citiamo fa
parte
di noi, della nostra individualità. I rimandi quindi possono non
essere
espliciti, bensì espressione creativa e naturale di ciò che ci
compone.
M: L'eccesso di citazionismo non è che la perdita del
linguaggio
stesso. Credo che Psycho e Tekem, come Nataninez, siano in grado
di
assimilare ispirazioni/influenze e di renderle proprie, nel
miglior modo
possibile. Come del resto accade a me per le musiche che produco e
suono.
B: In "Beauty Industries", così come nelle tavole di
Ausonia,
saltano subito all'occhio alcuni temi centrali, ovvero la critica
all'industrializzazione (nel senso Taylor/Fordista del termine) e
lo stato
di alienazione in cui versa l'essere umano. Si tratta di sfumature
presenti già in "OverKill", ciò risponde quindi ad una vostra
particolare
sensibilità verso questo genere di tematiche? Avete mai provato a
misurarvi con argomenti di respiro diverso?
P: Ritengo gli argomenti trattati in "OverKill" ed in
"Beauty
Indusries" gli unici possibili in questo momento storico di
decadenza
ideologica e morale.
T: Si tratta di una presa di coscienza delle problematiche
di
essere l'uomo moderno. Stiamo vivendo il ribaltamento dei
valori e
la spinta sempre più violenta del progresso, che è diventato una
sorta di
organismo irrazionale che divora senza valutazione di
costi-benefici.
Stiamo semplicemente dando voce a quello che ci sta succedendo.
B:
Voi siete originari di Cavalese, un piccolo paese in provincia di
Trento,
la vostra musica ha però tinte molto urbane, in un certo
senso
ricorda più gli scenari sgranati della Londra di "1984" che gli
splendidi
boschi della Magnifica Comunità di Fiemme: gli ambienti in cui
siete
cresciuti che ruolo hanno avuto sul vostro fare musica e sulle
influenze
musicali che più vi caratterizzano?
P: Domanda favolosa...è quella che ogni tanto mi pongo
anche io.
Credo che la distanza dall'epicentro delle cose permetta una
visione più
critica e personale per una mente allenata. Il nostro vivere in
una
provincia al di fuori dei grandi centri urbani (salvo le
esperienze
universitarie), lontani da qualsiasi scena musicale, credo ci
abbia
permesso di interpretare la musica in un modo estremamente
personale e
senza preconcetti o strade tracciate da seguire. Mettici che in
Val di
Fiemme è praticamente sempre inverno e le giornate durano poco e
potrai
capire facilmente il perché di certe atmosfere oscure nella nostra
musica.
T: Di sicuro il crescere in piccole comunità accresce la
voglia di
evadere, di cercare stimoli esterni. Sono comunque troppe le
variabili e
le condizioni che portano alla formazione dell'individuo per
poterne
identificare la più significativa. Ormai vivo da dieci anni a
Bologna e le
esperienze e le collaborazioni dell'ultimo decennio hanno
contribuito non
poco al mio sviluppo musicale, anche se maggiormente rilevanti
sono state
le persone piuttosto che i luoghi o i fattori per così dire
ambientali.
Insomma è un enorme puzzle dove ogni pezzo è fondamentale.
B: Ricordate qualche evento in particolare, magari da
bambini, che
vi ha spinto a voler diventare dei musicisti?
P: Ricordo solo che nello stereo di mia madre girava a
palla
Michael Jackson...sarà partita da lì la passione per la musica e
cultura
black? Mah...
T: Un vecchio giradischi che suonava musica classica
e una
chitarra giocattolo, questi sono stati gli ingredienti base. "Live
At
Wembley" dei Queen ha fatto poi il resto.
M: Sicuramente "He Got Game" dei Public Enemy
nell'autoradio dello
zio, il giradischi della nonna, il rumore dell'aspirapolvere.
B: Quanto tempo dedicate agli impegni musicali e,
soprattutto,
ritenete che ciò sia sufficiente per raggiungere gli obiettivi che
vi
siete prefissati?
P: Sempre troppo poco per quelli che sono gli obiettivi...
T: Nell'ultimo periodo è il mio principiale impiego e
lavoro,
quindi 24 ore su 24 al netto dei bisogni fisiologici. Se non
dovesse
essere sufficiente sarà solo un problema di intensità e qualità.
M: Agli impegni musicali dedichiamo il maggior tempo libero
a
disposizione, che delle volte è sufficiente, delle altre è
veramente poco.
Vivendo in tre luoghi diversi per motivi lavorativi e di studio
risulta
poco facile vedersi, ma il confronto e lo scambio di idee avviene
costantemente; la nostra volontà di creare e di sfogarci riesce ad
esprimersi molto bene quando nei week-end ci si trova in studio.
Non si
molla.
B: Domanda rivolta al solo Max: puoi descriverci il tuo
modo di
produrre? Che macchine possiedi, in che proporzione utilizzi parti
campionate, se hai compiuto degli studi in particolare e via
dicendo.
M: Non possiedo molta strumentazione: un MacBook Pro,
tastiera midi,
drum machine, un piccolo synth Korg. Ho diversi software, il
principale
sequencer ed editor è Logic Pro 9, con cui peraltro registriamo.
Molte
cose me le sono potute permettere grazie ai piccoli guadagni dei
primi
demo ed "OverKill"; questo per farti capire che investiamo tutto
ciò che
abbiamo per il gruppo. Per quanto riguarda le mie composizioni,
suono
tutto da me. Di campionato ci sono le singole parti di batteria,
che
comunque ri-suono, ma soprattutto effetti, voci e
quant'altro possa
divenire condimento utile per un mio brano. Non ho seguito studi.
B: L'aspetto live, invece, come lo gestite?
P: Cerchiamo di integrare l'utilizzo di strumenti analogici
e
digitali suonati live e di scostarci il più possibile dal classico
concerto Rap. Ricercare una dimensione teatrale in cui
riuscire a
ricreare certe atmosfere del disco rimane il sogno nel cassetto...
T: Ci sono grosse novità in cantiere. Anche per quanto
riguarda il
live stiamo cercando di spingerci oltre, l'obbiettivo è quello di
portare
sul palco una band che suoni live al 100%, lasciando più spazio ad
interpretazione ed improvvisazione musicale. I synth e le tastiere
saranno
suonati dal vivo così come parte dei beat, fino all'introduzione
di una
vera e propria sezione ritmica con basso e batteria. L'idea è
quella di
portare sul palco parte del processo creativo.
M: Il sogno sarebbe quello di riuscire ad integrare una
parte video
al live suonato. Intanto l'obiettivo è quello di cui ha parlato
Tekem:
coinvolgere più musicisti e ri-arrangiare i brani per non rendere
il live
una mera riproduzione del disco.
B: Vi ho chiesto qualcosa che proprio non volevate dire o
non vi ho
chiesto qualcosa che volevate proprio dire?
P: Vorrei aggiungere che la speranza di vedere anche in
Italia
l'espandersi di una scena musicale al confine tra Hip-Hop ed
Elettronica è
sempre viva, ma dovrebbe cambiare l'atteggiamento generale e
l'approccio
all'ascolto di chi vive in prima persona l'Hip-Hop italiano. Cito
gli
amici Lato Oscuro della Costa, Uoki Toki, Delitto Perfetto e Koki
come
quelli che sento far parte di una scena di confine che sta
nascendo
dal basso e che invito a tenere d'occhio.
B: Chiudiamo andando sul classico: "Beauty
Industries" è
fuori, cosa vi aspettate dal disco? Cosa farete nei prossimi mesi?
C'è
spazio per un po' di riposo? Avete già qualche idea per la
prossima
avventura dei Groovenauti?
P: Mi aspetto di raggiungere quante più persone possibili,
realisticamente parlando, e di far capire loro che c'è un modo
diverso di
fare Rap anche in Italia, che la sperimentazione è possibile e che
la
musica non ha confini o temi predeterminati. Un'aspettativa che è
più un
obiettivo e che porteremo avanti anche con il prossimo progetto in
cantiere dedicato al maestro del distopico Philip K. Dick.
M: Le produzioni dei Groovenauti si interrompono
solitamente nel
momento in cui il disco dev'essere stampato e successivamente
spinto.
Questo vuol dire che non c'è mai riposo. Ora si lavora al progetto
Dick e
magari non da soli, chi può saperlo?
Groovenauti: Grazie ancora per l'intervista, un bellissimo
segnale
che quanto stiamo facendo ha un senso.
B: Grazie a voi.
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