In
occasione della recente uscita del
video
di "Ali sporche", ho voluto incontrare Coez e Riccardo Sinigallia,
produttore artistico noto a molti come la voce del ritornello in "Quelli
che benpensano" di Frankie Hi-NRG MC, per parlare un po' di questo nuovo
progetto musicale, più distante dalla forma canonica dell'Hip-Hop, come le
ultime cose avevano lasciato intendere. Con ammirevole distacco verso ogni
possibile catalogazione, i due si sono concessi a un'intervista più lunga
di quanto previsto, nella bella cornice di un caratteristico bar romano,
prima di ritornare in studio.
Jonathan: Riccardo, in tempi in cui oramai si cerca di rendere Hip-Hop
anche lo scaldabagno, è un piacere aver sentito la tua voce al telefono
dire in maniera quasi lapidaria sì, ok, ma io non è che ne faccia parte,
o qualcosa del genere. Allora, dando per scontato che tu non sei parte di
questa cultura, raccontaci qualcosa a proposito delle tue esperienze
legate a collaborazioni con artisti storici di questo genere musicale e
dell'eventuale influenza che possono aver lasciato nel tuo percorso.
Riccardo: non credo di far parte della scena Hip-Hop, quella scena
presente dai novanta in poi. Potrei rientrare in quella cultura sperando
che l'Hip-Hop sia una cultura aperta a ogni tipo di partecipazione, in
quel caso ci rientrerei per una questione di contingenze, per aver
comunque partecipato a lavori di vari rapper, per aver frequentato raduni
e contest in tutti i primi novanta, aver incontrato e conosciuto dj e
writer, ovviamente per aver cantato in "Quelli che benpensano", aver
lavorato con La Comitiva e, a tal proposito, devo assolutamente citare
David Nerattini, è da lui che nasce la mia partecipazione a quel progetto.
Non ho mai fatto parte della scena Hip-Hop, della sua parte più
integralista, come non ho mai fatto parte della scena cantautoriale,
Elettronica o Jazz, per il semplice motivo che non amo quando gli stilemi,
le leggi di un gruppo di persone che si radunano, hanno la meglio sulla
musica in sé, mi sento un semplice militante della canzone. Mi
interessa poco che sia poi melodica o semplicemente Rap, l'influenza avuta
dal Rap è grandissima, credo che sia il linguaggio più attuale e
contemporaneo rispetto anche alla forma canzone, mi piace ovviamente la
canzone melodica, ma trovo che il modo e la libertà e il grande contatto
che si crea in media tra chi fa Rap e la scrittura siano la cosa più
interessante dal punto di vista letterario, per ciò che riguarda la
canzone. Anche musicalmente, Elettronica e Rap negli anni novanta mi
folgorarono, ora come ora li trovo più banali e un po' più ripetitivi, a
parte rare eccezioni non mi esalto più per nessuna delle due cose.
J: in effetti è indubbio che una matrice black sia presente in
molti brani da te prodotti per altri artisti, non trovi?
R: io credo di avere un'anima black in modo molto naturale, poiché
il bacino del mediterraneo lega geneticamente l'Africa agli Stati Uniti in
un modo che è quasi ancestrale e credo di avere fin da bambino un qualcosa
di spontaneamente groovy che mi piace moltissimo e che è finito
anche nei miei dischi. Mi fa molto piacere che tutto questo venga notato.
J: Coez, l'esperienza con i Brokenspeakers è finita, ma segni di
instabilità, per quel che riguarda la catalogazione di un genere,
erano già presenti nel tuo percorso da solista. Tuttavia, se le influenze
Elettroniche e le virate Dubstep possono ancora rientrare in un genere
così tendente all'ibridazione come l'Hip-Hop, è stato davvero sorprendente
sentirti alle prese con sonorità abbastanza inedite non solo per te, ma un
po' per tutto quello uscito in Italia negli ultimi tempi. Credo che vada
sottolineato il fatto che, almeno a giudicare dal singolo, ci sia una
totale differenza tra te e gli esponenti del cosiddetto cantautorato Rap
(non che ce ne siano molti, ma quest'attitudine sta prendendo sempre più
piede e non è necessariamente un male): si è già cercato, anche con ottimi
risultati, di portare una scrittura personale e addirittura cantautoriale
in un brano Hip-Hop, mentre non mi risulta che si sia cercato di portare
una scrittura Hip-Hop in un brano che potrebbe benissimo essere cantato e
scritto in maniera tradizionale (proprio da Riccardo, per fare un esempio,
visto che entrambi siete caratterizzati da un'identità regionale
immediatamente riconoscibile). Ti ritrovi in questa mia osservazione? Se
sì, parlaci di questo cambio di direzione, se riguarderà tutti i brani e
se credi che questo ti distanzi non solo da quello che hai fatto in
passato, ma anche dagli ascoltatori tipici dei tuoi precedenti lavori.
Coez: prima di tutto ci tengo a precisare che quando mi sono messo
a scrivere un brano come "Ali sporche" non c'era niente di così
programmato, avevo appena finito un mixtape che si chiama "Fenomeno
mixtape" e anche in quello c'era un brano simile a livello di bpm e
cantato, con un testo più tradizionalmente Rap. Poi è successo che mi sono
messo a scrivere ed è uscito così il brano. Mettendo a confronto le cose
fatte con Brokenspeakers e con Riccardo, la differenza è proprio nella
canzone, sono riuscito ad arrivare a un punto diverso e a svilupparlo.
Sono stato avvicinato dalla mia etichetta (Carosello, ndR) a Riccardo,
loro mi avevano cercato per il Rap, io ho invece rilanciato con questa
nuova linea e loro si sono esaltati e da lì ho iniziato questo percorso.
Mi vengono fatte spesso domande riguardo al cantautorato, io posso dire
che ho ricevuto molti stimoli dall'esperienza e probabilmente facendo un
altro disco Rap mi sarei dovuto sforzare anche di più.
J: trovo che una forte matrice Hip-Hop sia comunque alla base della tua
scrittura, ne convieni?
C: penso di sì, sono ancora legatissimo alla rima, sono ancora pezzi in
quattro quarti e la scrittura ha quella matrice. Chi mi sente ora,
potrebbe non ricollegarmi al Rap, ma chiunque conosca il mio background
può aspettarsi questo tipo di svolta, avendo mandato più di
un input al riguardo. Credo che sia semplicemente un'evoluzione di
quello che ho fatto e penso che si senta.
J: Riccardo, tu sei una figura che viene spesso ricordata per il suo
lavoro come produttore. Se citassi almeno tre o quattro canzoni di artisti
romani degli ultimi vent'anni il tuo nome spunterebbe tra i credit
contenuti nel libretto di questo o quel disco e, personalmente, io ho avuto
il primo impatto con te proprio leggendo i vari libretti dei suddetti
dischi. In questa esperienza con Coez, che ruolo hai? Sei unicamente il
produttore o sei intervenuto anche in fase di composizione? E' stato
difficile lavorare con qualcuno proveniente da un'area musicale che non è
la tua? C'era già un rapporto di diretta conoscenza, essendo entrambi di
Roma?
R: è stata un'esperienza singolare rispetto al passato, accomunabile solo
all'esperienza con Luca Carboni (nella raccolta "Musiche ribelli", ndR), solo
che lì fu lui a cercarmi, gli piacevano le mie cose e io lo conoscevo già
come artista. Qui, invece, è stato proprio un lavoro su commissione, io e
Silvano (Coez, ndR) non ci conoscevamo, ho accolto la proposta con molto
scetticismo, ma conoscendolo ho capito che avevo di fronte un artista
solido e con le idee molto chiare. Addirittura arrivava con i testi
scritti!
J: beh, nel Rap non è una cosa così diffusa...
R: guarda, è più diffuso tra i rapper che tra molti dei cantautori con cui
ho lavorato. Con loro sono spesso intervenuto in fase di scrittura nei lavori cui ho
partecipato, con come Max, Niccolò e Federico. Ho poi
smesso di farlo perché era fin troppo impegnativo e il ritorno per me era
davvero minimo, sia come gratificazioni che come semplici guadagni
economici. Per questo, poi, ho abbandonato quest'attività. Con Carboni è
stato più semplice, anche perché si trattava di un disco di cover. Però,
come Silvano, aveva le idee molto chiare ed è bello lavorare con qualcuno
così. In fase di composizione e di scrittura io e Silvano ci siamo
confrontati moltissimo, lui ha le idee chiare quando arriva in studio
riguardo a come deve essere il pezzo, a livello di atmosfera e ritmicamente.
E' stato semplice rapportarmi a quest'esperienza.
J: Coez, abbiamo prima parlato dei suoni, ora siamo invece nell'ambito
delle tematiche. Potrebbe essere difficile coniugare molte delle
precedenti tematiche dei tuoi lavori con una diffusione che, si spera, sia il
più ampia possibile, a meno che non si sfoci nel completo sensazionalismo come spesso accade in questi anni. Nel caso che le altre
tracce mantengano questo mood, evitando appunto le immagini forti e
l'irruenza al microfono, come spieghi questa decisione? E' un percorso molto
più insidioso di quello intrapreso da molti tuoi colleghi e mi ha
incuriosito non poco, oltre che farmi piacere.
C: guarda, nella scrittura faccio a meno di filtri e c'è poco di ragionato
a tavolino, io bene o male quando scrivo, scrivo quello che mi esce fuori.
In questo caso no, non ho fatto leva sull'irruenza come altri.
Ti dirò, nel momento in cui vedo che tutti vanno in quella direzione,
preferisco andare altrove, mi sento di fare così.
J: difatti mi aspettavo che a livello di produzione saresti finito nelle
mani di qualcuno come Zangirolami, produttore di artisti come Nesli e
soprattutto Dargen D'amico (segue una divertente divagazione sul fatto che
proprio a Riccardo fu mandato un provino di Dargen per un'eventuale
produzione, generando nella mia testa uno di quei what if? che farebbero impallidire la Marvel,
ndR).
C: guarda, stavo proprio per finire lì! L'etichetta ha pensato di
mandarmi invece da Riccardo, il nostro primo incontro è stato strano: lui
ha subito chiarito di non essere abituato a lavorare su commissione, io ho
detto che ero abituato a lavorare con amici di sempre, perciò era
un'esperienza nuova per entrambi.
J: avete mai incrociato le armi?
R: no, c'è stato ovviamente un momento di studio, come farebbero
due guerrieri, un annusarsi iniziale che poi ha portato a lavorare
tranquillamente.
C: io penso che sia un piccolo miracolo il fatto che siamo riusciti
a incrociarci così bene, lavorare con un produttore era una cosa nuova per
me, ci sono stati diversi momenti in cui certe cose non le capivo, ma è
normale. Credo sia una cosa bella, Riccardo credo si sia reso conto che a
volte non venivo in studio pronto a qualsiasi cosa volesse fare, ma nel
momento in cui capivo avevo capito davvero. Anche per quel che riguarda
i suoi consigli, pur vedendoli a volte come privazione di una mia vena,
direi che il novanta per cento delle volte...
R: novantacinque! (ride, ndR)...
C: ad esempio c'è un brano molto cupo in cui rappavo in maniera
lentissima, Riccardo ha proposto di abbandonare il Rap e affidarmi al
semplice parlato, senza impostare la voce. Qualche giorno fa ho sentito la
vecchia versione e mi è preso un colpo, ho pensato cazzo, Riccardo
sentiva quella cosa, pensa come gli arrivava! Questo è un esempio di
come da due idee differenti si sia arrivati a un punto d'incontro migliore per entrambi.
J: Riccardo, un domandone. Con grande piacere ti vidi di sfuggita, senza
riuscire a venirti a salutare, al festival di musica Elettronica svoltosi
all'auditorium Parco della Musica, qui a Roma, in un evento che ha
coinvolto un sacco di figure importantissime, tra cui James Blake, i Mouse
On Mars, Sqaurepusher e Sebastien Tellier. Per chi eri venuto, in
particolare? Che cosa stai ascoltando in questo periodo? Sei un
ascoltatore dell'Hip-Hop di questi ultimi anni? Se sì, dicci qualcosa che
ti piace.
R: ero lì perché Dodo N'Kishi, batterista dei Mouse On Mars, lavora spesso
con me ed era venuto per questa data all'auditorium, siamo stati a cena
assieme e l'ho accompagnato. Ho visto un paio di concerti,
ma devo dire che sono rimasto abbastanza deluso dalla situazione. Da
parecchi anni l'Elettronica non mi emoziona più come prima. Su questo
versante, un concerto che mi piacque molto, anche se va oltre
l'Elettronica, fu quello dei Portishead. Questo per chiarire il tipo
di approccio che preferisco è un modo di usare l'Elettronica al servizio
dell'emozione pura. Mi piace moltissimo anche James Blake, ad esempio,
anche se siamo distanti dal tipo di effetto che mi provocava ascoltare
magari un disco di Bob Marley o dei Pink Floyd. Tendenzialmente ascolto
musica piuttosto vecchia, ma un lavoro che mi piacque moltissimo, senza
essere né banali né provocatori, fu il disco di Amy Winehouse, "Back In
Black". Poi ovviamente ci sono tante cose belle nuove, tipo gli Arcade Fire
o i Mumford And Sons, ma trovo che sia tutto un po' troppo derivativo. Non
ci sono più i Radiohead di "Kid A", ad esempio.
J: cantautori classici?
R: credo che ora come ora sia Paolo Conte il cantautore più psichedelico e
importante, ho visto un suo concerto e sono rimasto estasiato dalla sua
grandezza. Peccato che venga sempre messo al settimo posto!
J: Coez, sempre sugli ascolti, stavolta chiedo a te: cosa ti piace
ascoltare ultimamente? Ci sono dei dischi che hanno contribuito a creare i
brani di questo nuovo album? C'è qualche tuo collega nel mondo dell'Hip-Hop che senti di citare? Ovviamente considerando tanto i
rapper dei
novanta quanto quelli odierni.
C: ho sempre ascoltato moltissimo Hip-Hop negli anni, "Senza mani", l'EP
con Sine, è stato invece il frutto di molti ascolti di musica
Elettronica, soprattutto british. A livello italiano, non ho mai ascoltato
molta roba, mi sono andato a sentire cose vecchie di Vasco Rossi o Rino
Gaetano. In "Invece no", che tutti hanno classificato come pezzo Dubstep,
io ci trovo moltissimo il cantato di Rino Gaetano. Lui non aveva una gran
voce, come del resto non ce l'ho neanche io, però diciamo che trasmetteva
con i suoi cantati, anche urlati, una sofferenza che mi ha sempre colpito
parecchio. Puoi avere molta voce e poca personalità, io ho dovuto puntare
sulla personalità. Mi sono ascoltato molti dischi italiani, ma non sono
andato per generi, non mi sono messo a tavolino ad ascoltare Rock o R'n'B.
Ascolto Hip-Hop da quando avevo dodici anni, ora mi sembra che nonostante
la grande diffusione di cui goda il suo apice sia stato raggiunto
negli anni novanta. Quei dischi usciti in quel periodo sono degli evergreen, di cose di adesso direi che poca roba mi fa davvero vibrare.
J: qualche collega?
C: sinceramente, non ne trovo molti. Il disco che sto facendo con Riccardo
punta sulle canzoni, noto che escono tantissimi mixtape e lavori in cui
puoi cogliere molte cose tecniche ma alla fine dell'ascolto non ti rimane
niente. Non me la sento di criticare i miei colleghi, però è un approccio
che a trent'anni faccio fatica ad avere. Anche se, senza fare nomi, ci
sono molti miei coetanei i cui contenuti rispecchiano gli stessi
argomenti di quando avevano vent'anni. Mi capita spesso di sentirmi dire
dal mio pubblico di non cambiare, ma mi sembra poco naturale fermarsi lì
senza cambiare, ripetendo all'infinito la stessa formula. Il più grosso
aiuto di Riccardo è stato rassicurarmi nel portare avanti questa strada,
senza spaventarmi perché comunque si stava facendo musica, si stavano
creando canzoni. Io ne ero un po' spaventato, in effetti. Un artista può
tranquillamente veicolare il proprio disco, ma credo che i brani migliori
siano tutti venuti fuori di getto ed erano tutti brani che avevo paura di
far sentire. Fortunatamente, ero circondato da persone di mentalità
probabilmente più aperta della mia, non avendo il mio background non
avevano schemi da seguire. Per un artista ogni volta che si cambia
qualcosa c'è da distruggere quello che c'era prima, ed è sempre difficile.
J: Coez, progetti per il futuro, idee per la resa live dei brani,
aspettative da questo lavoro?
C: il primo progetto è ovviamente finire questo disco e siamo a buon
punto. Credo che sarebbe sprecato farlo a mo' di dj set, anche se vorrei
comunque inserire un dj per un'eventuale formazione. E' un disco che
andrebbe suonato dal vivo, altrimenti la resa sarebbe differente. I pezzi
sono comunque tutti partiti da una chitarra e un piano, con me che cantavo
e lui che cercava gli accordi adatti. Alcuni brani già funzionavano, a
Riccardo già arrivavano e in caso lavoravamo su quelli. Nelle produzioni
di quest'album credo che si alternino strumentazioni classiche ed
elettroniche, come già in "Ali sporche", dove puoi trovare batteria e
batteria elettronica, pianoforte a coda, pianoforte elettrico e un synth
Korg anni settanta. L'elemento elettronico è comunque presente in tutti i
brani, ma il miscuglio è alla base di tutto il disco, non abbiamo preso
un solo genere, ne abbiamo citato moltissimi, dal Rock fino alla Motown.
Riccardo non è uno che fa cose di genere, il genere dovrebbe essere al
servizio della canzone. Lavorare in questa maniera è stato molto bello e
sono felicissimo di ciò. Ci sono un paio di pezzi propriamente Pop, ma
direi che non sono stato lì a ricercare la sonorità più scontata.
J: saluti e ringraziamenti?
C: un grosso ringraziamento a Riccardo Sinigallia.
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