MC Ren – The Villain In Black
La considerazione non è nuova, anzi è puntualmente riportata su ogni scritto riguardante MC Ren: a somme tirate, rimane l’unico ex degli N.W.A. privo di un’affermazione che avrebbe certamente meritato. D’altro canto, la carriera solista di Ice Cube era già abbondantemente esplosa su più fronti e c’era assai poco con cui misurarsi nei riguardi di Dre e del suo “The Chronic“, il quale aveva solamente apportato un impatto generazionale senza precedenti; poniamo un altro addendo costituito da un destino avverso, che portandosi via molto presto Eazy-E aveva lasciato Lorenzo Patterson senza il suo produttore esecutivo (nonché con un contratto ancora valido con la Ruthless Records) e i conti sono presto fatti. Eppure, era stato proprio lui a distinguersi quale lyricist di prima fascia nel post-Cube, sorreggendo – congiuntamente alla straordinaria produzione del Dottore – le complesse sorti di un gruppo che si sarebbe sfasciato da solo di lì a breve, asseverando un talento già abbondantemente emerso nell’incommensurabile opera che fu “Straight Outta Compton“, nonché nei decisivi assist allo stesso Eazy per “Eazy-Duz-It” e nelle partecipazioni a “No One Can Do It Better“, classico firmato da un The D.O.C. dalla voce ancora intatta.
Giungiamo dunque al giro di boa degli anni novanta, quando il Nostro presenta credenziali di qualità come “Kizz My Black Azz“, EP capace di sfondare il milione di copie senza convenevoli mediatici, e “Shock Of The Hour“, debutto assolutamente godibile nel quale la coesistenza tra le vecchie tendenze machiste e la recente conversione all’Islam aveva tracciato un percorso di maturazione personale, pur mantenendo stretti i legami con la rudezza che aveva sempre definito il personaggio. I toni in parte smorzati della violenza, frutto della frequentazione del movimento Five Percenters, non avevano tuttavia impedito a “The Villain In Black” di fungere da catino ribollente all’interno del quale incanalare tutte le frustrazioni accumulate da un artista che si era comprensibilmente sentito accantonato, nonostante la tangibile cooperazione nella detonazione di quel congegno esplosivo che erano stati gli N.W.A. per la fetta benpensante a stelle e strisce, collaborando in maniera determinante allo spianamento di un sentiero che in precedenza non poteva essere battuto con la medesima libertà.
Gli argomenti del disco convergono di conseguenza su risentimento, attinenza alla realness, nonché sulle frequenti sottolineature della propria figura pionieristica per il sottogenere gangsta attraverso brani per lo più autoreferenziali, spesso rancorosi, nei quali ciascuna risorsa energetica viene spesa per lamentare l’assenza di originalità della concorrenza e l’ingiustizia della propria sottovalutazione, sottolineando con insistenza il fatto di non essere né cambiato, né tantomeno riconosciuto, di fronte alla notorietà. La linea scelta è irremovibilmente dura, corroborata dalla rocciosa impostazione di beat che non cadono nella facile scappatoia di copiare l’acclamato G-Funk, merito della fruttuosa opera di un Cold 187um responsabile della maggior quantità produttiva e di una prestazione equamente solida, inquadrante l’esigenza di mantenere un profilo rude e al tempo stesso coerente, rendendo consequenziale la presenza di quegli Above The Law assai meno conosciuti ma anch’essi colonizzatori del sound californiano primordiale, a conferma che quella stessa realness – a differenza di qualcun altro… – non si era dimenticata di loro.
L’analisi delle singole tracce non può che partire dalla devastante potenza di “Mad Scientist”, singolo evergreen costruito a quattro mani da Dr. Jam e Madness 4 Real, appartenente di diritto alla top three del villain (seguono, in ordine sparso, “Final Frontier” e “Mayday On The Front Line”) in quanto recante ogni elemento essenziale nella ricetta della underground hit: linea di basso di sconquassante effetto, sezione ritmica che prende a mazzate, atmosfera oscura e minacciosa, liriche che – seppur non complesse – emanano un carisma superiore in asserzioni espresse con un’autoritarietà assolutamente credibile, al pari del livello intimidatorio raggiunto dall’insieme. Chitarre liquide e loop sintetizzati tipici della tradizione west fanno capolino solo nella densità di “Keep It Real”, unico testo capace di raggiungere il punto concettuale avvalendosi di immagini descrittive del quotidiano del quartiere, delineando un chiaro senso di appartenenza alle radici attraverso una bravura che avrebbe appunto meritato più ampi utilizzi. Ren è a suo agio nel trangugiare pertinentemente l’estrema durezza di molte delle offerte, le quali toccano ulteriori apici attraverso un altro snodo di basso particolarmente incisivo come quello della piacevolmente ossessiva “Still The Same Nigga”, come pure la commistione tra piano e breve loop di trombe che fa girare con gusto “Live From Compton ‘Saturday Night'”. Flow e dizione aderiscono perfettamente alle cadenze ritmiche anche quando la batteria P-Funk di “It’s Like That” entra direttamente nel petto, o si raggiunge la cruda disossatura di “Don’t Give A Damn”.
Il fascino di un incedere lirico più tranquillo, ma non certo privato della normale grinta, non è supportato in pari misura dalla varietà argomentativa, problematica non certo tragica seppure lampante: se i pezzi filano via lisci grazie ai meriti compositivi e al metodo espositivo, di contro la qualità delle rime risente di un vocabolario non certo ampio e versi che circumnavigano pensieri troppo uguali, premendo con eccessiva ostinatezza nel recapito del messaggio. Di ciò risente la seconda parte dell’album (e non certo per cali produttivi): la pulita rilassatezza dell’ottimo beat di “Mind Blown”, condita da un ritornello in stile Organized Noize, cozza contro linee che vanno nuovamente a inveire contro i novellini, alla pari dei concept comparativi di un Ren che, tra le sonorità spettrali di “Great Elephant”, cerca di mostrare a tutti la propria grandezza attraverso passaggi che rivelano come tale problematica sia fonte di inappagamento interno (<<the shit I have to do to get a little peace>> pare quasi una richiesta a se stesso di lasciar andare determinate ossessioni). Peccato non venga maggiormente attuata la critica sociale, tema portante della conclusiva “Bring It On”, posse cut di ritmica possente e liriche sulla sufficienza, tipologia contenutistica che l’mc aveva già in precedenza dimostrato di saper trattare a seguito della sua conversione religiosa, costituendo un ampliamento del suo vecchio arsenale argomentativo; strada quasi del tutto abbandonata a favore dell’atteggiamento polemico che qui assorbe invece quasi tutte le luci del palcoscenico.
Pur non rendendo completa giustizia alle doti del rapper, “The Villain In Black” possiede un grande pregio: ha resistito favorevolmente ai profondi cambiamenti vissuti dll’Hip-Hop in questi ventisette anni. Non sarà stato un disco completo come altri, ma non risulta affatto datato, perciò potrà essere soggetto a critiche o a perenni complessi d’inferiorità verso i giganti dell’epoca, restando un lavoro compatto, abrasivo, aggressivo e soprattutto vero. L’assenza di originalità e la facile commerciabilità sono piaghe tutt’ora preoccupanti per la Cultura, MC Ren aveva visto lungo e non aveva esitato nel rilasciare sdegno e ostilità verso la mercificazione che aveva favorito troppi colleghi privi delle sue qualità, ma più fortunati nell’esposizione pubblica. Non avrà goduto del successo di Cube o degli introiti di “The Chronic”, ma ha tracciato un percorso che non ha mai brillato di sola luce riflessa, confermandosi il più sottovalutato tra gli mc’s dei Niggaz Wit Attitudes: già il fatto di poter essere ricordato col giusto affetto, basta a rendergli giustizia.
Tracklist
MC Ren – The Villain In Black (Ruthless Records 1996)
- Bitch Made Nigga Killa
- Keep It Real
- It’s Like That [Feat. J. Rocc]
- Mad Scientist
- Live From Compton ‘Saturday Night’
- Still The Same Nigga
- Don’t Give A Damn
- Mind Blown
- Great Elephant
- Muhammad Speaks
- Bring It On [Feat. Above The Law and Triggerman]
Beatz
- Cold 187um: 1, 3, 5, 8, 10, 11
- Dr. Jam: 2
- Madness 4 Real and Dr. Jam: 4, 7
- Jessie “Big Jessie” Willard: 6, 9
Mistadave
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