Larry June and The Alchemist – The Great Escape
Considerate le comprovate abilità imprenditoriali di Larry June, non c’è da stupirsi del successo ottenuto dal medesimo nell’applicazione delle stesse nell’ambito dell’attività musicale, carriera costruita attraverso una notevole prolificità di pubblicazioni (tra ufficialità, ufficiosità e compartecipazioni, se ne contano ben sette nel solo 2020!) e un’accorta strategia nel muoversi in quel campo minato chiamato Industria, anteponendo la schietta indipendenza a tutto il resto. La mentalità oggi esibita dall’artista cresciuto tra San Francisco e Atlanta nasce infatti in tempi non sospetti, quando – in giovanissima età – soleva aprire il bagagliaio dell’auto e vendere le sue registrazioni ai clienti in un contesto che ricorda moltissimo l’hustling di una leggenda della Bay Area quale Too $hort e di chiunque abbia scommesso esclusivamente su di sé per dare il via a un percorso fitto di traguardi.
Musica, linea individuale di vestiario, ottimi accordi distributivi e una singolare impresa improntata su un’immagine salutare come la vendita di un personale marchio di arance hanno permesso a June di accumulare ricchezza a stretto giro di tempo, ripagando il rischio con un benessere che fuoriesce da ogni rima e da ciascun ritratto visivo che il rapper tiene moltissimo a esibire. Una figura cresciuta a suon di esperienze, che ha ampliato sempre più le proprie vedute e possibilità, tanto da attirare l’attenzione di un colosso come Alchemist, il quale attraverso la fondamentale mediazione di Jay Worthy è finalmente giunto a stringere la mano al buon Larry prospettandogli una fruttuosa joint venture. Da lì a decidere di registrare un EP – presto esteso a lunga durata – traslocando sulle meravigliose colline losangeline alla ricerca delle giuste vibrazioni è stata questione di un attimo.
“The Great Escape” è un titolo abbinabile a una moltitudine di concetti dei quali si parla in effetti nel disco. E’ un riferimento all’abbondante citazione di macchine potenti e lussuose con cui effettuare ogni tragitto di fuga dal quotidiano ci si possa permettere. Lo si può leggere come un’aperta dichiarazione di estraneità alle consuete leggi di mercato, una dissociazione da meccanismi spietati nei quali entrambi i protagonisti dell’operazione sono rimasti invischiati in passato. E’ infine interpretabile come distanziamento da un passato economico impervio, sin troppo ballerino, al quale Larry si contrappone esibendo ogni comfort materiale raggiunto predicando alla comunità di seguire le sue stesse orme in un Paese che non crea possibilità a meno che non ci si ingabbi nel suo sistema, evidenziando il bisogno di curarsi di sé sotto tutti i punti di vista – che sia uno stile di vita sano o l’adempiere ai propri doveri fiscali per fugare qualsiasi dubbio possa suscitare un ricco ragazzo di colore, poco cambia.
Tuttavia, l’atteggiamento del rapper conduce involontariamente alla problematica più evidente del progetto, data la monotematica natura di cui lo stesso è intriso. Barre tecnicamente non troppo complesse fluiscono sotto la spinta di un incedere tendente al pigro, la tonalità vocale è profonda ma pecca in espressività, a eccezione di tutte quelle occasioni nelle quali viene prestata all’occasionale canto di un ritornello con risultati peraltro molto apprezzabili. Così come l’elencazione dei beni a disposizione o dei viaggi affrontati su motori ruggenti è il pilastro portante di ciascun testo, sviluppando presto la tendenza a una ripetitività concettuale. Alchemist salva spesso la situazione con la nota maestria nel tessere trame morbide e sartoriali, un’innata bravura nel sequenziare sample che va a costituire ghiottissime composizioni; poi, che Daniel sia un conclamato genio nel reperimento di quegli spezzoni vocali che danno un’anima al brano, non lo si scopre certo oggi.
Il quasi sempre sontuoso apparato sonoro (ogni tanto si cade in qualche passaggio più cervellotico, ma vabbe’) evidenzia infatti una mente infallibile nel collocare con senso compiuto le risultanze della speleologia vinilica, facendo calare quella deliziosa atmosfera irresistibilmente ipnotica con sprazzi di melodia che molti altri dischi recentemente forgiati dalle macchine di Al hanno saputo trasmettere. Nella maggior parte dei casi, la formula funziona bene, basti pensare a come si incolli al cervello un singolone del calibro di “89 Earthquake”, allestito su un giro di piano che miete numerose vittime accompagnato da puntuali colpi di sintetizzatore, per non parlare della solita diligenza nello scovare quel frammento di cantato che chiude perfettamente il cerchio del loop. In fin dei conti, il flow di June ben alloggia nel senso rallentato di questi ritmi, per quanto qualche variabile tecnica sarebbe stata certamente apprezzabile; il problema è casomai il sopraggiungimento di qualche ospite in grado di allargare significativamente la spigliatezza della metrica, facendo cadere in secondo piano un attore principale limitato dalla metodicità con cui approccia ogni strofa. “Palisades, CA” ne è la testimonianza diretta, vista la distonia creata da un flow che Big Sean utilizza in maniera nettamente migliore, per quanto la contenutistica faccia pochino per innalzare il livello complessivo dello scritto – il fatto poi che il beat lo si ascolterebbe per giorni consecutivi, è un altro discorso.
Diversamente, “Orange Village” è l’eccellente dimostrazione di un approccio produttivo elastico, che costruisce qui un suono appositamente intagliato per far sentire a proprio agio gli ospiti Slum Village, dando luogo a uno degli episodi che meglio girano in assoluto: sarà quel tocco di etereo velluto che tanto ricorda le numerose collaborazioni tra Dilla e Q-Tip, sarà la voce di June che si fonde magicamente all’armonia del ritornello, resta il fatto che T3 e Young RJ nemmeno si debbano sforzare per porgere al piatto una qualità tangibilmente superiore, variando con merito la tonicità lirica del brano (<<gotta keep it on me, sunny and stormy, I’m Man at Arms/master of the Universe, pen a verse, then I’m gone>>). Lo sfondo notturno di “Art Talk” risulta al contempo più adatto a Boldy James, che non casualmente lo governa a dovere scrivendo peraltro in maniera assai più prolifica del collega, mentre il confronto con Joey Bada$$, che per metrica è di ben altra categoria, rende “Barragàn Lighting” persino impietosa.
Una “Porsches In Spanish” ancora graziata da un loop vocale d’alto fascino rappresenta uno scenario senz’altro più idoneo al titolare, non a caso Larry butta giù una buonissima prima strofa ben piazzando le rime interne, perdendosi tuttavia in seguito nella stasi della sua stessa opulenza e insistendo nella monotonia delle citazioni automobilistiche. “Turkish Cotton” poggia sopra un delicato tessuto Funk che Al cuce ad arte, lasciando spazio alla passione per l’accumulo di ricchezze e oggettistica da esibire. Rimane apprezzabile, poi, il diverso approccio mentale che distanzia in qualche modo il rapper da un atteggiamento medio oramai ridondante, offrendo una prospettiva alternativa al suo modo di affrontare la professione (<<love is when you happy with yourself, fuck what niggas talk/when shit got tough, I adjusted and worked smarter>> – “Ocean Sounds”), ed è lodevole il timido tentativo di virare dall’univocità tematica su “Margie’s Candy House”, teneramente malinconica e ispiratrice nel ricordo di figure determinanti e nello sprono alla creazione di business indipendenti, per essere persone di successo elevando la propria identità. Ancora, tracce fantastiche (per il beat, non certo per le scontatezze di Wiz Khalifa) come “What Happened To The World?” o “60 Days” si battono a ragione il petto con estremo vigore; sono invece deludenti “Left No Evidence”, con un sample di piano davvero brutto e il Perretta assai spento, “Éxito”, dove un altro timbro monocorde come quello di Jay Worthy non aiuta certo a distrarsi da un beat soporifero, e “Solid Plan”, un Funk meno ispirato con due strofe – una delle quali a firma Action Bronson – tematicamente sconnesse.
“The Great Escape” è un progetto d’indubbia qualità, anche se – a parere personale – lo è per maggior merito delle mine che Alchemist dissemina in giro nella scaletta, per quanto non tutti i beat risultino della stessa, pregevole stoffa. Al netto delle limitazioni evidenziate, la coppia è senz’altro ben assortita, offrendo un disco dalle atmosfere particolarmente rilassate e maggiormente godibili se accompagnate da un giro in auto sotto un Sole che riscaldi finalmente a dovere la pelle, favorendo l’immersione in una realtà sognante che ci consenta di staccare dalle fatiche delle nostre routine.
Tracklist
Larry June and The Alchemist – The Great Escape (ALC Records/EMPIRE/The Freeminded Records 2023)
- Turkish Cotton
- 89 Earthquake
- Solid Plan [Feat. Action Bronson]
- Palisades, CA [Feat. Big Sean]
- Summer Reign [Feat. Ty Dolla $ign]
- Orange Village [Feat. Slum Village]
- Porsches In Spanish
- Art Talk [Feat. Boldy James]
- Ocean Sounds
- Left No Evidence [Feat. Evidence]
- What Happened To The World? [Feat. Wiz Khalifa]
- Éxito [Feat. Jay Worthy]
- 60 Days
- Barragán Lighting [Feat. Joey Bada$$ and Curren$y]
- Margie’s Candy House
Beatz
All tracks produced by The Alchemist except track 6 by The Alchemist and Beat Butcha
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