Intervista a Edo. G (27/10/2016)

Edo. G è contento di sentirci. Così contento che all’immediato scoccare dell’orario prestabilito per la nostra intervista è addirittura lui ad effettuare la chiamata; ci contatta da Roxbury, casa sua, ovvero l’area che lui stesso – da leggenda qual è – ha contribuito a porre sulla mappa dell’Hip-Hop all’inizio degli anni novanta, agli albori di una carriera che ancora oggi prosegue in maniera prolifica e qualitativamente impeccabile. Lui è disponibilissimo, divertente (ride un sacco!) e pronto a ripercorrere le tappe più importanti del suo cammino artistico assieme a noi. Senza esitazione, cominciamo a sottoporgli le nostre curiosità, felice com’è di poter parlare con qualcuno seriamente interessato al suo operato in ambito Hip-Hop, cui ha dedicato sostanzialmente la sua intera vita.

Mistadave: allora Edo, quando sei nato?
Edo. G: sono della classe del 1970, precisamente il 27 novembre.
M: sei un grande veterano della scena Hip-Hop.
E: faccio Hip-Hop da trent’anni, mentre a livello professionale sono in quest’ambito da venticinque, ovvero dal 1991.

M: chi ti ha ispirato nel cominciare a rappare?
E: la mia ispirazione è arrivata da un sacco di gente che andava forte a metà degli anni ottanta, parlo di Big Daddy Kane, che ritengo essere uno dei miei artisti preferiti di ogni epoca, quindi KRS-One, Rakim, Biz Markie ed il suo grande humour. Sono tutti esponenti fondamentali della scena di quegli anni, il loro sound ha cambiato tutto per me.
M: non sono nomi di poco conto…
E: esatto, sto parlando del meglio del meglio. Stanno rappando ancora oggi ad altissimi livelli, sono ancora in giro ad ammazzare la competizione.

M: com’era la scena di Boston quando stavi provando ad ottenere un contratto discografico?
E: a metà degli anni ottanta, quando cercavo di farmi notare, era una scena molto vivace. Considera che siamo molto vicini a New York e quindi era fondamentale che ci supportassimo a vicenda, all’epoca c’erano tantissimi talent show, eventi locali e simili, direi che la nostra scena era maggiormente in fermento allora di quanto lo è adesso.
M: Boston è vicina a New York ma è tutta un’altra cosa, giusto?
E: sì, noi siamo più a nord, abbiamo il nostro stile, il nostro modo di vivere. Tuttavia abbiamo seguito le orme del boom bap che New York ci trasmetteva (ride – ndM).

M: hai prodotto molti pezzi classici nella tua carriera. Di quale ti senti più orgoglioso?
E: probabilmente di “Be A Father To Your Child“, perché quel pezzo ha avuto un impatto nella vita delle persone e ha reso più responsabili molti uomini di colore, molti latino-americani, molta gente della inner city, i quali sono diventati dei grandiosi genitori. Scelgo questo pezzo perché alla fine dei conti la musica la si fa per fare la differenza, per quanto mi riguarda la mia musica deve per forza avere un impatto sulla gente. La musica emana vibrazioni troppo forti per essere ignorate, siano benevole o malefiche (sul malefiche gli scappa mezza risata – ndM).

M: pensi che questa situazione sia cambiata negli anni? Secondo te oggi abbiamo un maggior numero di persone cresciute da ambedue i genitori?
E: assolutamente sì, specialmente dalle mie parti, ed è proprio questa la motivazione per cui avevo scritto quella traccia. All’epoca c’era una percentuale altissima di ragazze teenager che si ritrovavano ad aspettare un bambino, che diventavano un’altra madre come tante, dovendo crescere il loro figlio da sole preoccupandosi di farli diventare giovani e adulti. Alla fine è cambiata la percezione di tutto ciò, perché se oggi ti presenti come uno di quei padri fannulloni che mettono incinta una ragazza e non si prendono le loro responsabilità vieni svergognato.

M: un altro classico è stato “I Got To Have It“.
E: sicuramente, è stato il pezzo che ha definito la mia intera carriera. L’anno prossimo, assieme a un nuovo album che si chiamerà “Freedom”, uscirà un documentario su “I Got To Have It” che parlerà di tutto ciò che ho fatto in questi anni. Quel brano mi ha portato in ogni luogo dove sono stato.
M: vedere un documentario del genere per persone come me sarà qualcosa di speciale…
E: vedrete tutto esattamente com’era. Com’è nato il pezzo, i miei alti e bassi, tutto!

M:Life Of A Kid In The Ghetto” è considerato da molti un album classico. Pensi che “Roxbury 02119” si sia rivelato essere su quegli stessi livelli?
E: era una situazione strana, perché il disco era pronto un anno prima che uscisse. All’epoca le etichette non pubblicavano un singolo se prima l’album non era pronto per intero, era una situazione di politics & bullshit (rende meglio così – ndM). Casualmente ascoltavo quel disco proprio la settimana scorsa e devo dire che ci sono degli ottimi brani dentro, credo che la mia etichetta dell’epoca non l’abbia pubblicizzato a sufficenza e trovo tutto ciò penalizzante, sarebbe potuto essere molto più conosciuto secondo me. Un sacco di gente ci ha dormito sopra.

M: la seconda parte degli anni novanta non è stata agevole per te, probabilmente per merito della Mercury…
E: già, quando il mio contratto è finito, all’incirca nel ’95, mi hanno lasciato per strada, quindi ho intrapreso il percorso dell’indipendenza, ovvero lo stadio evolutivo successivo che a breve tutto l’Hip-Hop avrebbe attraversato. Ho pubblicato “Six Songs EP” nel ’96, che abbiamo messo fuori solo in vinile, ed ho capito che potevo sopravvivere lo stesso anche da indipendente, mentre altri miei colleghi erano piuttosto spaesati e si chiedevano quale sarebbe stato il futuro dell’Hip-Hop senza una major. Pensavano fosse la fine del mondo! (ride – ndM)

M: nel 2004 hai pubblicato un album con Pete Rock, “My Own Worst Enemy“. Escluso Pete, c’è un produttore della golden age con cui avresti voluto collaborare senza esserci riuscito?
E: ancora oggi penso a tre produttori e il numero uno indiscusso è Dr. Dre, uno che è ancora fortissimo come ai vecchi tempi. Gli altri due sono Pharrell e Hi-Tek. Non me ne vengono in mente altri, perché tra quelli che mi interessavano ho collaborato con tutti!

M: sei un membro degli Special Teamz ed hai avuto importanti featuring nel disco dei Kreators. Quando si parla di Boston sei dappertutto…
E: (ride sonoramente – ndM) sì, è vero…mi sono messo la mia città sulle spalle e sono orgoglioso di averla posizionata sulla mappa dell’Hip-Hop.
M: com’è lavorare con Slaine e Jaysaun?
E: è grandioso! Con ambedue c’è stata un’intesa immediata che ha facilitato molto le cose. Il processo era semplice: si fumava un pò di roba, si beveva qualche bicchiere, si registrava un sacco di materiale ed ecco fatto! L’anno prossimo pubblicheremo un nuovo disco degli Special Teamz per festeggiare il decimo anniversario del primo album. Non abbiamo ancora cominciato ma non avremo bisogno di molto tempo, quando noi tre condividiamo lo studio lavoriamo molto seriamente, selezioniamo i beat e scriviamo direttamente sul posto. Ogni pezzo degli Special Teamz è sempre stato creato e registrato con tutti noi presenti in studio contemporaneamente.
M: niente scambi di versi via mail, quindi?
E: non so, può essere, perchè ora la situazione è cambiata dato che Slaine abita a Los Angeles. Può essere che sfrutteremo le potenzialità di internet per fare qualcosa, dopotutto così è molto più agevole, però dipenderà dal tempo che avrà Slaine per raggiungere me e Jay qui a Boston.

M: nel 2009 hai unito le forze con Masta Ace per creare “Arts & Entertainment“. In quell’anno moltissimi veterani si abbinarono per incidere un disco, tu che ricordi hai di quel periodo e com’è nato il vostro album?
E: in quel periodo molti artisti simili a me avevano già messo fuori degli ottimi dischi e ricordo di aver pensato che se avessi pubblicato qualcosa con uno dei miei colleghi la cosa sarebbe stata più forte che non se avessi pubblicato qualcosa da solo. Molti altri hanno fatto la stessa riflessione e la cosa è nata così, un concetto di supergruppo temporaneo, due veterani assieme per creare un’occasione inedita ed unica.
M: secondo te fu una reazione di voi veterani nei confronti dei nuovi ragazzini che non rispettavano l’Hip-Hop?
E: alla fine dei conti credo di no, penso che tutto ciò sia accaduto semplicemente perché assieme ci sentivamo più forti. Più possibilità di tour, di ricavi economici, ai nostri concerti per “A&E” avevo la possibilità di farmi conoscere meglio dai fan di Masta Ace e viceversa. E’ un pò la stessa cosa che è successa con gli Special Teamz, io e Jaysaun abbiamo ampliato le rispettive basi di fan, aiutando nel contempo Slaine che era praticamente un nuovo arrivato nel circuito. Io ed Ace eravamo giunti più o meno allo stesso punto, eravamo stanchi di essere sempre e solo noi da soli, volevamo fare parte di un gruppo – difatti Ace era fuori anche con gli eMC allora – e questo ha reso tutto più facile perché ci siamo smezzati il lavoro, tutti e due abbiamo rimediato concerti, era come avere un alter ego in grado di fare le stesse cose che fai da solo normalmente.

M: recentemente hai pubblicato un disco all’anno, sei sempre stato un artista umile e hai lavorato duro. Cosa ti mantiene così attivo?
E: the love of Hip Hop, man! Il mio intento è sempre stato quello di produrre musica in grado di durare nel tempo, quello che stiamo facendo ora (parla al plurale – ndM) è tracciare il percorso per tutti quelli che sono stati famosi quando avevano vent’anni, facendo capire loro che a quaranta si può ancora essere incisivi. Parlo di gente come me e Ace, ma pensa a Rakim, ha più di cinquant’anni e ancora fa spettacoli e rima ad altissimo livello. Stiamo facendo da pionieri per la longevità, non possiamo permetterci di mettere fuori merda (ed ache qui scoppia in una risata – ndM).

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M: ascoltando dischi come “A Face In The Crowd” e “Intelligence & Ignorance” è facile arrivare alla conclusione che riesci a fare musica in grado di far riflettere. Sei consapevole del potere che ha la tua musica?
E: in realtà non conosci mai gli effetti di ciò che fai fino a che qualcuno come te non lo fa sapere al diretto interessato. Puoi capirlo solo quando fai un live e riesci a parlare coi fan; quando sono in studio a registrare posso solo sperare che la gente capisca il messaggio che voglio mandare con un determinato pezzo.

M: sono passati tanti anni da quando hai reso famosa Boston dal punto di vista dell’Hip-Hop e sembri migliorare col passare del tempo. Sembri sempre calmo e riflessivo nei tuoi dischi, ma in realtà le rime tagliano come lame…non hai mai smesso di mettere in circolazione Hip-Hop di qualità.
E: yeeeah ed è proprio quello l’obiettivo della mia vita! Quando sentirai “Freedom” sono sicuro che ne sarai soddisfatto, lo sento come uno dei prodotti più forti che ho registrato in tanti anni e sono davvero eccitato all’idea di farlo conoscere al mondo esterno.

M:After All These Years” non era un album molto lungo, ma è rimasto impresso per la sua solidità.
E: sì, ci sono un sacco di pezzi molto buoni lì dentro. E’ un disco che puoi ascoltare anche più volte consecutive perché è corto, quando l’ho realizzato non volevo far affogare la gente in un mucchio di merda piena di riempitivi, volevo solo mettere fuori dieci solidissime tracce ed è quel che ho fatto. Poi sono conscio che non a tutti possa piacere ogni cosa che fai, però quando senti quell’album ti rendi conto che è roba solida, niente skip.

M:Afterwords” è un altro disco molto forte. Com’è nata la collaborazione con la Effiscienz?
E: è nato tutto grazie a Dj Tren, il quale era un mio fan da parecchi anni e desiderava produrre qualche mio pezzo. Abbiamo registrato una traccia e ci è piaciuta così tanto da spingerci a lavorare su un intero progetto, affiacati anche da Dj Brans. E’ venuto fuori un disco davvero soddisfacente a mio parere.
M: ricordo che mentre l’ascoltavo per la prima volta ho pensato finalmente qualcuno scratcha in un disco!
E: è vero, di solito non utilizzo tanti scratch e il motivo è che trovo i ritornelli scratchati troppo scontati per me, è come fare un video con i graffiti nel background, quanti ne sono stati fatti negli anni? Su “Freedom” ho inserito un solo ritornello scratchato e per farlo ho scelto Sir Williams, che viene dall’Inghilterra e fa parte del gruppo Union Black. Ha fatto un lavoro fantastico, perché lo scratch dev’essere veramente un’aggiunta al tuo pezzo, non si deve scratchare in maniera fine a se stessa giusto per dire l’ho fatto.

M: parlando ancora di “Afterwords”, ho particolarmente apprezzato il singolo “Last Man Standing“, un pezzo molto emozionale e contenente un messaggio forte per la tua gente.
E: certo. Il testo è stato dettato dal beat in quel caso, perché è a sua volta molto emozionante. Abbiamo fatto un video per quel pezzo dove c’è pure mio figlio mentre gioca a basket.
M: che effetto ti fa scrivere un messaggio per la gente di colore e riuscire a colpire anche persone come me, di pelle bianca?
E: è un discorso molto particolare, perché in genere quando le persone di colore manifestano il loro orgoglio vengono spesso prese per anti-white. Ma non è questo il caso. Sento di dover parlare alla mia gente indicando ciò che va fatto per migliorare e sono davvero felice di sapere che il messaggio sia arrivato in maniera corretta anche a persone come te, mi rassicura sul fatto che non tutti i bianchi si sentano esclusi da questo discorso. In realtà il messaggio è per tutti e “Freedom” andrà a confermarlo.

M: hai scoperto GDot & Born, due artisti che si sono fatti particolarmente apprezzare recentemente. Avete in cantiere un seguito per l’EP che avete realizzato assieme?
E: attualmente no, loro sono molto impegnati per conto proprio e Born sta preparando un disco solista, ma siamo sempre in contatto. Li ho sentiti proprio ieri e dobbiamo trovarci perché ci tengo a far ascoltare loro il mio nuovo album in anteprima. Siccome “Freedom” sarebbe dovuto uscire quest’anno ma è stato posticipato, ho ancora del materiale da inserire e molto probabilmente ci sarà anche un pezzo con loro due.

M: com’è la scena di Boston oggi?
E: è in gran forma, molto florida. Ci sono tanti giovani che stanno emergendo, gente che sta facendo davvero rumore, ti cito Mike Christmas e Cousin Steez, che stanno facendo crescere la nuova generazione, poi ci sono i veterani come Termanology, Reks è fuori con un doppio album di altissimo livello (pure craziness, dice lui – ndM), Akrobatik e Mr. Lif stanno lavorando su un nuovo disco dei Perceptionists, poi Slaine, Jaysaun, Dutch ReBelle, Easy Money… Abbiamo tonnellate di artisti che sono in continuo lavoro per mettere fuori cose nuove.

M: la tua fatica più recente è l’album collaborativo con Fokis e Shabaam Sahdeeq, “Recognize Your Power“. Com’è nata quest’unione?
E: il disco è nato per merito di Sadat X, il quale ha recentemente fatto un concerto qui a Boston cui ho assistito ed era appunto accompagnato da Fokis. Dopo lo show me l’ha presentato e ci siamo detti di fare un pezzo assieme che poi si è trasformato in un EP. In seguito mi ha proposto di coinvolgere Shabaam Sahdeeq ed è nato questa sorta di supergruppo, abbiamo pensato sì, facciamolo! e… bam! Fatta! E’ stata una collaborazione inaspettata.
M: “Recognize Your Power” parla di come la società provi a buttar giù le persone e invita a reagire a questo tipo di manovra, giusto?
E: se dovessi interpretare il messaggio dell’album direi di sì, è proprio questo. Parliamo di gente comune, vita di tutti i giorni, cose semplici.

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M: pensi che l’attuale scena underground sia in salute?
E: sì, perlomeno da quello che vedo a Boston dove c’è parecchio movimento, abbiamo un paio di concerti a settimana, gente del luogo che apre gli show dei più conosciuti. L’unica cosa di cui avremmo bisogno è una maggiore esposizione.

M: secondo te la gente è confusa riguardo l’Hip-Hop di oggi?
E: più che altro l’Hip-Hop ha generato un numero altissimo di sottogeneri e derivazioni, ognuno ha sviluppato i suoi gusti personali e in quanto tali credo non vadano criticati.

M: hai in progetto di partire in tour a breve?
E: tornerò in Europa in tarda primavera per supportare il nuovo disco e il documentario.
M: verrai in Italia?
E: ci sto davvero provando ma non ci siamo ancora riusciti. Sono venuto recentemente in tour con Artifacts e Reks in Europa, ma niente Italia… Abbiamo passato tutte le località possibili, Parigi, Barcellona, Londra, la Germania, l’Austria, Svizzera, Danimarca; niente Italia… (il tono con cui dice no Italy fa chiaramente comprendere che se qualche promoter fosse disponibile… – ndM). Ah, amo molto Napoli. Ci sono stato qualche anno fa e vorrei tornarci!

M: una domanda ricorrente per veterani come te. Nostalgia dell’Hip-Hop nato dal rispetto e non dalla moneta?
E: certamente sì, però tieni conto che quell’Hip-Hop era ancora in fase di crescita, non c’erano soldi da fare rappando. Ovvio, la nostalgia c’è, la golden age mi manca, ma non si può pretendere di rimanere incollati a un’epoca, perché per andare avanti è necessario evolvere. Se fossi rimasto appiccicato ai bei tempi sarei risultato vecchio e incattivito, la gente invece vuol sentire bella musica. Se offri un prodotto di qualità avrai sempre il tuo seguito.

M: l’underground è salvo, al momento?
E: con tutta la roba che sta per uscire, direi proprio che possiamo stare tranquilli.

M: hai mai pensato a un album con Reks, tuo conterraneo?
E: sì e potremmo realizzarlo anche molto facilmente. Anzi, ti dirò che stiamo lavorando a un album di gruppo sotto l’acronimo E.S.T., siamo io, Reks, Termanology e Akrobatik (sti cazzi! – ndM). Lì sentirai me e Reks assieme in un unico disco.

M: bene Edo. Non posso che ringraziarti del tuo tempo, grazie per quest’opportunità.
E: grazie a voi, ragazzi. E restiamo in contatto!

Con queste ultime battute si conclude una chiacchierata molto piacevole, con Edo.G dimostratosi molto interessato a tutto ciò che ci è venuto in mente di chiedergli. Nei suoi dischi appare come una persona molto determinata, ma altrettanto semplice. E con la stessa semplicità ci ha parlato del suo mondo, dei suoi fallimenti, dei suoi traguardi raggiunti e di tutti i numerosi progetti a cui lavora costantemente. Edo è ciò che dice di essere, un vero grinder come dicono negli States. Non si ferma davvero mai – e per noi è una gran fortuna…

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