Intervista a Ni_so e Avex, i Subcult. (08/03/2022)
Ni_so e Avex. Alle macchine il primo, al microfono il secondo. E’ a Bologna che i rispettivi destini artistici vengono a sovrapporsi, affidando alla musica il compito di far combaciare vissuti e background differenti; “Subcult.” è appunto, nonostante il minutaggio contenuto, la somma di una molteplicità di sfumature. L’Hip-Hop è il fulcro, il collante, di un esordio che sfugge subito alle definizioni troppo precise, decisamente orientato al di fuori del perimetro nazionale, come ci hanno spiegato bene i due diretti interessati…
Bra: partiamo semplicemente dalle presentazioni. Chi sono Niso Tozzi e Avalon Tsegaye, come vi siete conosciuti e quando avete deciso di creare un progetto in duo?
Subcult.: siamo rispettivamente un produttore, dj e batterista di Fano e un rapper e cantante cresciuto in Etiopia e ora di base a Bologna. Il nostro è stato un incontro abbastanza fortuito, tra l’altro; è accaduto tutto a fine 2020: un nostro amico in comune, Anthony (Boogie) Chima, ha pensato bene che due personalità come le nostre avrebbero senz’altro dovuto incontrarsi e collaborare e così è stato. E’ partito tutto da un drink in Via Mascarella, dove Avex per la prima volta ha ascoltato la strumentale di “Chills”. Non è servito aggiungere molto altro e, di lì a poco, eravamo già in studio a registrare la prima traccia dell’EP.
B: ciascuno di voi porta qualcosa di suo, in “Subcult.”. C’è l’Hip-Hop, ma ci sono anche il Nu Soul, l’Afrobeat e un pizzico di Elettronica; come avete trovato la sintesi tra due approcci affini ma non per forza coincidenti e, nel farlo, è stato necessario che l’uno entrasse in sintonia con le ispirazioni e i gusti dell’altro?
S: sin dall’inizio era chiaro che dovessimo trovare dei punti d’incontro all’interno dei nostri rispettivi percorsi. Però è stato tutto piuttosto fluido, poco premeditato e soprattutto molto spontaneo. L’idea per le strumentali e quindi per lo stile musicale del progetto era partita da alcuni beat preesistenti in cui Ni_so aveva messo assieme diversi elementi, con la volontà di attingere da fonti di sampling poco ortodosse, non per forza scontate, che si discostassero un po’ dal Soul o dal Jazz standard. Il talento e la versatilità di Avex hanno fatto tutto il resto; è stato capace sin da principio di immergersi nella musica in maniera impeccabile, senza forzare nulla, trovando sempre il modo giusto per amalgamare il suo stile e la sua scrittura ai beat.
B: a questo proposito, durante la lavorazione dell’EP avete ascoltato qualcosa in particolare o vi siete – diciamo così – allontanati dal mondo musicale per trovare una formula che fosse principalmente vostra?
S: una volta in studio siamo sempre stati molto concentrati sulla nostra musica, sul nostro stile, su quello che poteva piacere e far divertire in primis noi stessi. Poi ci siamo fatti orientare da diversi ascolti di new school principalmente americana – pensiamo a NxWorries, Anderson .Paak, Isaiah Rashad, Kendrick Lamar, J. Cole… Non tanto per voler emulare quei progetti, quanto per trovare un punto di partenza comune dal quale impostare il nostro stile, soprattutto da un punto di vista lirico, di metriche e testi.
B: Bologna, lo sappiamo, è una città simbolo per l’Hip-Hop italiano. Dal vostro punto di vista, che possiamo ritenere un po’ trasversale al genere, “Subcult.” ha comunque radici in quella scena?
S: sicuramente! Dobbiamo moltissimo alla città per la sua scena e cultura musicale, sia del passato che forse soprattutto del presente. Pensiamo molto all’Hip-Hop ma anche al Soul, alla World Music, al Reggae – come si vede del resto nei due featuring presenti nell’EP. Abbiamo un approccio abbastanza eterogeneo alla nostra musica, evitiamo di ragionare per compartimenti stagni e pensiamo che anche questo rappresenti una delle tante dimensioni della città.
B: come rivendicato fin dal comunicato stampa, il disco ha una matrice riconducibile al sound east coast, quello della New York degli anni ‘90, ma posto in una luce per ovvie ragioni più moderna. Ne consegue un taglio complessivo che non ci spaventa di definire internazionale, tanto più perché i testi sono tutti in inglese (fatta eccezione per il featuring di Sblanc in “Coastline”, che canta in spagnolo): la vostra ambizione è quella di riuscire ad affacciarvi anche al di fuori dei confini nazionali?
S: certo. La musica è un’esperienza inclusiva e l’inglese, oggi, ti permette di uscire dai tuoi confini e di essere compreso da più persone, quindi possiamo dire che il progetto in sé è pensato per un’audience non solo italiana, ma europea. Ci piacerebbe tanto poter essere ascoltati anche al di fuori dell’Italia, anche perché l’Hip-Hop di per sé è un genere e una cultura che non guarda tanto in faccia alla provenienza, alla nazionalità, ma parla di esperienze, di vita quotidiana, di emozioni, cose con cui chiunque può relazionarsi e sentire proprie.
B: a mio avviso, “Finesse” è il brano che chiarisce meglio da dove origini “Subcult.” e in che direzione intenda muoversi, cristallizzandone in una rima – <<I don’t give a fuck if it’s 2021/I’m still rappin on beats that feel like ‘91>> – il carattere identitario. Ma allora quali sono gli artisti e gli stili che più vi hanno influenzato nell’intraprendere i rispettivi percorsi musicali, poi combinatisi qui?
S: c’è tantissima musica e ci sono tantissimi artisti che ci hanno portato fin qui. Possiamo pensare all’Hip-Hop e quindi a figure come Biggie, Tupac, J Dilla, Madlib, Kendrick Lamar, Kanye West, J. Cole, Anderson .Paak; poi c’è il Soul, Marvin Gaye, James Brown, Gil Scott-Heron; ma ci sono appunto anche generi come l’Afrobeat, l’Afro Jazz e l’Ethio Jazz.
B: proprio in “Finesse”, tra l’altro, viene utilizzato un bel sample etiope. Che tipo di ricerca è stata compiuta, nella selezione dei suoni, e in che misura si è trattato di un lavoro congiunto?
S: la strumentale di “Finesse” faceva parte di una serie di beat che Ni_so aveva prodotto in passato e, come dicevamo, nei quali cercava di attingere da fonti diverse da quelle classiche per i campioni da utilizzare. Trattandosi di un terreno leggermente meno esplorato rispetto ad altri più ortodossi, il lavoro rientrava in una ricerca generale abbastanza lunga e fatta anche di diversi tentativi frustranti, non per forza azzeccati. Beat dopo beat sono emerse le produzioni più convincenti, quelle che più si sposavano col sound che si stava cercando. Il sample in questione, poi, è calzato alla perfezione in questo EP per il suo mood dark, deciso, incalzante, e Avex ha tirato fuori alcune delle barre più calde del progetto.
B: da un punto di vista squisitamente tecnico, invece, come si è svolta la produzione di “Subcult.”? Che macchine sono state utilizzate e in che percentuale si è fatto ricorso ai synth?
Ni_so: principalmente sono partito dai sample, lavorando molto con la mia MPC Renaissance ma anche con la SP-404. Poi cerco sempre di fare un passo in più a livello di arrangiamenti e il synth ha trovato il suo spazio, in maniera più o meno evidente, in tutti i brani.
B: Avex, ti esprimi in inglese, sebbene parli correntemente in amarico e italiano. Hai mai utilizzato l’una o l’altra lingua, per scrivere i tuoi testi? Raccontaci anche il tuo processo di scrittura.
Avex: nella mia vita ho scritto sia in amarico che in italiano. Scrivevo più in amarico quando ero in Etiopia e, pur avendo frequentato una scuola italiana ad Addis Abeba, non scrivevo quasi mai in italiano; gli unici brani che ho completato in amarico sono due. Ho iniziato a scrivere in italiano quando sono arrivato qui nel 2016, l’unica variabile che è rimasta sempre in gioco è la scrittura in inglese, che è la lingua che uso principalmente. Il mio processo creativo avviene in vari modi, l’ispirazione arriva quando meno me l’aspetto. Potrei essere in giro con amici o in doccia e, non appena mi sento ispirato, devo subito appuntare ciò che mi viene in mente prima che me ne dimentichi. Altre volte basta invece sentire un beat che mi piace e, partendo da quel suono, comincio a buttare giù qualche idea che poi dopo si evolverà in un testo.
B: sempre sul tema, si nota un passaggio da barre più strette a flow abbastanza musicali, moderni, fino all’utilizzo vero e proprio delle corde vocali, come in “Ride or die”. Ti ritieni più un rapper tout court, sebbene in grado di spaziare anche al di fuori del proprio ambito, o nel tuo progetto artistico c’è la convivenza di entrambi gli aspetti, potendo passare senza difficoltà dall’uno all’altro?
A: io opterei più per la seconda, ovvero per una convivenza di entrambi gli aspetti. Mi piace essere versatile e sperimentare su generi diversi, ovviamente sempre restando nei limiti di ciò che mi interessa a livello musicale.
B: al disco partecipano Solomon B., Sblanc e, per mix e master, Alsogood. Come sono nate queste collaborazioni?
S: con Solomon B. e Sblanc siamo tutti amici e, dal momento che anche loro hanno base a Bologna, le collaborazioni sono nate proprio nelle settimane iniziali di lavoro all’EP. Solomon B. era presente nella primissima session del progetto, quella di “Chills”, che è stata registrata di primo getto tutti insieme. Di lì a poco in studio è passata anche Sblanc e pure con lei abbiamo registrato “Coastline” nel giro di una giornata. Con Francesco (Lo Giudice, ovvero Alsogood – NdBra), poi, Ni_so aveva già collaborato in passato per la post produzione di un suo EP strumentale (“Release ourselves”) ed è stata molto spontanea l’idea di coinvolgerlo nel mix e master di “Subcult.”, a progetto finito.
B: “Subcult.” ha una durata di circa tredici minuti. Si tratta di un antipasto, un assaggio di ciò che state preparando? E, quindi, in generale cos’altro bolle in pentola?
S: è un po’ presto per dirlo, ma stiamo già mettendo mano a un follow-up. Stay tuned…
B: la dimensione live – tema di particolare criticità, nell’ultimo biennio. La mia impressione è che il vostro progetto, con quelle frequenze basse e i cambi di passo al microfono, possa esprimersi al meglio proprio su un palco; avete già in programma delle date? E come saranno strutturate?
S: stiamo lavorando su alcune date perché, proprio come dici, pensiamo che sul palco il progetto possa esprimersi e venire fuori ancora meglio. Ci piacerebbe rendere l’esperienza del concerto il più dinamica e coinvolgente possibile, alternando brani editi a freestyle e assaggi di materiale inedito.
B: prima di salutarci, c’è qualcosa che non vi ho chiesto ma che avreste voluto dire?
S: direi che abbiamo detto tutto!
B: allora grazie e in bocca al lupo!
Bra
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