Intervista a Gio Fog (27/05/2025)

Il cammino artistico di Gio Fog, rapper classe ‘97 della provincia di Padova, è recente ma in continua progressione: tra “Pressure” e l’EP “Grip” trascorrono solo pochi mesi, poi un anno fino a “Switch”. Almeno due le costanti: il supporto di Payback Records e il richiamo ai trick dello skate; non potevamo che parlare (anche) di questi argomenti nell’intervista che vi apprestate a leggere…

Bra: nella maggior parte dei casi, decidiamo di occuparci di un artista solo se disponiamo di un sufficiente numero di notizie che lo riguardano; nel tuo, “Pressure” è sbucato fuori un po’ dal nulla sul finire del 2023 e, sebbene di te sapessimo davvero poco, non è passato inosservato. Uno degli elementi di maggior interesse era il parallelo tra skate e Rap, che evidentemente significano parecchio per te.
Gio Fog: ci sta che di me si sia sentito poco in giro prima di “Pressure”, perché quello è il mio debutto vero e proprio nella scena e in precedenza ero apparso più che altro in delle serate, magari stando nelle retrovie. Debutto che, se vogliamo, è arrivato anche un po’ fuori tempo rispetto alla media, dato che ho cominciato a un’età più avanzata del solito; e non me ne pento, anzi preferisco sia andata così. Graficamente e concettualmente, ho voluto subito richiamare lo skate perché è ciò che ho vissuto più a lungo, è l’esperienza che mi ha influenzato più di tutto il resto, che coinvolge la maggior parte delle mie amicizie e del mio tempo libero. All’inizio eravamo due amici in strada con le tavole, poi la cosa si è allargata, ho cominciato a girare, ho conosciuto tanta gente e oggi posso dire che una buona fetta del mio vissuto sia legata a questa passione. Alla fine, per me quel che conta è l’aggregazione, la condivisione, da cui se ne ricava un facile aggancio con l’Hip-Hop e il concept del disco.

B: quando lo intervistavamo lo scorso marzo, Egreen ci raccontava – ma è rimasto fuori dalla trascrizione – che addirittura il nome Gio Fog l’avete scelto durante la lavorazione di “Pressure”…
GF: è vero. Non avendo girato molto, non avevo ancora neppure un nome d’arte. Avevo usato in qualche occasione il nick 19, come il Covid, ma era una roba abbastanza meme. Gio Fog l’abbiamo scelto un po’ confrontandoci e la cosa curiosa è che forse proprio in “Switch” si è capito meglio cosa significhi, con le due personalità di Gio e di Fog che convivono dentro me.
B: come sei entrato in contatto con Payback, che nasceva proprio in quel periodo, e c’era già un’intesa con Azukori?
GF: è stato come un allineamento tra pianeti… Nicolas aveva lanciato un contest online dove non si vinceva nulla se non il rispetto reciproco, ho partecipato e ci siamo scambiati qualche messaggio su Instragram, oltre alla condivisione del video in cui avevo fatto una strofa sul beat di Dj Shocca. Il caso ha voluto che in quel week-end lui fosse al Pedro a Padova, mi invitò alla serata per salire sul palco e da lì abbiamo cominciato a sentirci. Mi ha parlato subito di Payback ed è stata una causa che ho sposato immediatamente, l’ho sentita vicina alle mie idee e ai miei gusti musicali, perciò il resto è venuto da sé. Azukori, che è di Milano, l’ho conosciuto poco dopo, quando abbiamo cominciato a pensare a un disco: abbiamo ascoltato le sue cose e scoperto un sound che si sposava bene con quello che avevo da dire, da qui abbiamo proseguito assieme.

B: non hai neppure trent’anni; tra i tuoi riferimenti, nel perimetro dell’Hip-Hop italiano, citi però Sangue Misto, Kaos e Inoki, i quali – per anagrafica – potrebbero letteralmente esserti genitori. Cosa, del Rap della loro generazione, hai portato nel tuo?
GF: siamo senz’altro generazioni distanti, ma può esserci comunque una connessione molto forte; o almeno io mi sento molto legato a quel modo di interpretare l’Hip-Hop. Sono cresciuto ascoltando quella roba lì e ho cercato di applicarne il credo, è parte della mia forma mentis: vivere la musica – come la vita in generale – secondo quell’approccio, è un riflesso, fa parte della mia maturazione. Artisticamente, per me sono davvero dei padri. In parte, questa cosa ha a che vedere con un mio modo personale di informarmi, fare diggin’, ricercare: quando mi sono appassionato all’Hip-Hop, l’ho vissuta in maniera quasi intima, senza influenze esterne, ho sempre deciso di ascoltare quello che sentivo più vicino, non quello che mi veniva detto di ascoltare.

B: che ruolo ha avuto, invece, la scena padovana nel tuo percorso di crescita?
GF: coincidenza ha voluto che, proprio mentre uscivo con “Pressure”, la scena padovana – sempre attiva, florida – creasse un movimento, un punto d’incontro, col Fungo (ne indossa la t-shirt, ndBra), dove molti si trovano a rappare, a ballare, a fare freestyle. Sicuramente mi ha fatto bene essere connesso con la scena locale, mentre in precedenza tendevo a vivere le mie cose in un angolino. L’interazione e le relazioni sono cresciute tanto ed è uno scambio molto importante, ma è qualcosa che fa parte soprattutto del mio presente.

B: di “Pressure” – tra le altre cose – annotavamo la sua dimensione provinciale, il racconto di una quotidianità che non appare mai spettacolarizzata. Quanto la tua musica è legata ai luoghi da cui provieni e, immaginandoti in una realtà differente, magari di altre dimensioni, pensi ne risentirebbe in qualche modo?
GF: la musica è sempre influenzata dall’ambiente in cui si vive, quindi se mi trovassi in una metropoli penserei, scriverei e direi cose differenti; ma il punto è che non mi immagino in un contesto diverso da questo. Le cose che faccio sono legate alla provincia come al Rap che ho ascoltato, sia italiano che americano, di base però c’è tanto di mio. Io sono cresciuto in campagna, tra i campi, dove non c’era niente che facesse pensare a questa Cultura; eppure, qualcosa deve aver attecchito e mi ci sono attaccato, tanto che nei primi anni l’ho vissuta in maniera abbastanza radicale, esclusiva. Poi respirando un po’ di più, aprendomi, la scrittura si è fatta meno autoreferenziale. Non vorrei farmi portavoce di una zona, di una filosofia: rappresento un ambiente che ha qualcosa da dire, da proporre, e che non sente il bisogno di somigliare a Milano o a qualsiasi altra città dove l’Hip-Hop segue altri schemi.

B: veniamo a “Switch”. In che misura lo ritieni diverso dal tuo esordio di un anno e mezzo fa e come nasce il progetto?
GF: “Switch” nasce semplicemente come diretta conseguenza dell’intesa che si è creata con Zonta. Quando l’ho conosciuto ci siamo subito presi bene e abbiamo parlato presto di una collaborazione, resa poi possibile anche grazie a Payback. Essendo entrambi veneti, abbiamo avuto la fortuna di trovarci fisicamente per lavorare al disco e mi sento di dire che, rispetto a “Pressure”, la maturità sia un’altra, almeno a livello di realizzazione, di esperienza in studio. Mi riferisco proprio a una crescita tecnica, dato che personalmente non ero un ragazzino neppure due anni fa: c’è stata un’evoluzione e spero si percepisca. Poi stare in studio con lui, ascoltare assieme i beat e sceglierli in sua presenza, ha creato una bella chimica.

B: se Azukori era giovanissimo e più piccolo di te, ora ti sei ritrovato a collaborare con un produttore che di anni e di esperienza ne ha sicuramente in più. Raccontaci come avete dato una direzione al disco e se, in qualche modo, hai fornito a Zonta delle indicazioni di massima per la definizione del sound che preferivi.
GF: collaborare con un artista molto giovane, che stava cercando il suo tipo di suono e lo sta trovando, è stato di grande stimolo, affiancare un artista affermato, una leggenda come Zonta, ha dato a me la possibilità di imparare tanto. Una cosa che mi soddisfa molto del disco è che sia venuto fuori in maniera uniforme, nonostante esprima due anime differenti; questa cosa è successa senza dare particolari direttive, i beat che mi sono stati presentati si sono abbinati naturalmente al concetto che avevo in mente, che era l’unica cosa definita in partenza. Trovare i beat più drumless della prima metà e quelli aggressivi della seconda non ha richiesto discorsi fatti a tavolino, è stato tutto davvero spontaneo, “Switch” è venuto fuori come doveva dal processo creativo stesso, non so spiegarla in altra maniera.
B: cos’hai imparato, allora, stando in studio con Zonta?
GF: passare del tempo in studio con lui e un altro grandissimo come Karma 22 vuol dire imparare una serie di accortezze, se vogliamo anche dei trucchi, che rendono migliori le registrazioni. E poi c’è tanto da imparare proprio a livello di Hip-Hop, si crea un legame che va oltre i consigli su come stare al microfono.

B: l’album, come dicevi prima, ha questa struttura un po’ a specchio, con quattro brani più introspettivi, altri quattro di maggiore impatto e la titletrack posta nel mezzo a legare il tutto. Nella scrittura, sei più a tuo agio quando ti racconti o quando lasci sfogare l’elemento caratteriale?
GF: non credo di avere approcci diversi a seconda delle cose che devo dire, il metodo è lo stesso e sono a mio agio a prescindere. Introspezione e punchline fanno comunque parte di me, sono aspetti che coesistono, dipende più che altro dal mood, dalla giornata, quello che esce fuori dalla penna è frutto di altri aspetti. Forse è più difficile andare in studio per registrare le robe che ritieni tanto personali, però ne risente poi anche la soddisfazione che provi quando ascolti il pezzo. Sono due lati del Rap che ho sempre apprezzato, quindi a mia volta li esprimo entrambi.
B: l’ispirazione è arrivata anche dalle strumentali o le hai abbinate successivamente a dei testi già scritti?
GF: per “Switch” mi è successo sia di scrivere sulla strumentale utilizzata che di doverne trovare una adatta al testo. Ma anche per “Pressure”, in realtà. Io scrivo da molto, quindi ho spesso delle bozze, delle idee in testa, che rifinisco sui beat e diventano delle strofe vere e proprie. Arrivo ai testi dopo diversi passaggi, diciamo.

B: a proposito delle atmosfere, qua e là citi anche del Rap statunitense; è a sua volta tra le tue fonti d’ispirazione?
GF: emotivamente, mi sento più legato al Rap italiano, perché crescendo ne ho ascoltato di più. Poi mi sono un po’ sciolto, ho smesso di ascoltare solo un certo tipo di dischi, quelli che richiedevano per forza un livello d’attenzione elevato, e ho approfondito la conoscenza del Rap americano, soprattutto a livello di sound. Sempre, però, con una predilezione per le cose di metà anni novanta, che a loro volta avevano influenzato l’Hip-Hop italiano che seguivo di più. La New York di quel periodo è il genere che più mi appartiene, che mi ha fornito indicazioni importanti a livello stilistico, di immaginario, nel Rap come nella vita.

B: in generale, avendo sempre interagito con Payback, come si è strutturato il processo che va dall’ideazione di un disco alla sua effettiva realizzazione? Ovvero: la label partecipa in qualche modo alle fasi iniziali? Viene concordata una visione d’insieme? Produttori e featuring vengono selezionati di concerto?
GF: allora, di base c’è una comunicazione, un confronto. Payback mi ha supportato dalla fase embrionale del progetto, prima dei provini, alla definizione di una direzione artistica. Soprattutto, ha gestito la distribuzione una volta concluso il tutto. Con “Pressure” abbiamo avuto più modo di scambiarci idee, forse anche perché era il loro primo titolo ufficiale e, al tempo stesso, il mio debutto, sia a livello concettuale che di rifinitura delle tracce mi hanno aiutato tanto; per “Switch” c’è stata data più fiducia, diciamo, dato che io avevo un po’ più di esperienza e poi con me c’era Zonta, che è una garanzia. C’è comunque stato sempre uno scambio, un aggiornamento, per dare al disco una linea precisa.

B: sei stato coinvolto nel tour di “Fare Rap non è obbligatorio” di Egreen. Per “Switch” è in programma qualche live?
GF: ero nella data di Treviso, sì. Sto facendo belle esperienze sul palco e spero appunto di tornarci con questo disco nuovo. Non ci sono ancora delle date ufficiali, però l’intenzione è quella di lavorarci, magari a partire da qualche presentazione negli skate park locali, delle vere e proprie feste, per arrivare quindi a dei live più strutturati.

B: vuoi aggiungere qualcosa che non hai avuto modo di dire?
GF: mah…abbiamo fatto una bella chiacchierata. Diciamo che, quando hai un concetto in testa, farlo arrivare alle persone non è scontato; spero quindi che il parallelo con lo skate, lo switch del titolo, venga avvertito durante l’ascolto: volevo parlare di cambiamento, di una fase che ho vissuto mentre lavoravo a questi pezzi, e l’operazione è tutta lì. Poi il bello della musica è che ognuno se la possa vivere in base alla propria vita, sentendoci quello che preferisce.

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