Intervista a Francesco Paura (Giugno 2015)

Bra: ciao Francesco, cominciamo direttamente da “Darkswing”, che oramai è fuori da circa un mese. Io recensendolo l’ho definito un progetto adulto, perciò vorrei sapere in che modo un classe ’76 che fa il Rap da vent’anni si pone nei confronti di un pubblico in genere piuttosto giovane come quello Hip-Hop.
Paura: più di vent’anni… Io ho cominciato a fare Rap un po’ prima dei progetti ufficiali usciti in quel periodo, quindi sono venticinque anni se non di più, è davvero tanto. In realtà il problema dell’età me lo pongo relativamente, nel senso che l’Hip-Hop è un movimento che ha quarant’anni, forse addirittura più, quindi come me ci sono altri adulti, non solo che fanno musica ma anche come fruitori. E allora se riesci ad arrivare a un pubblico più giovane, bella storia, sennò arriva solo ai miei coetanei e mi va bene lo stesso, per me fare musica è un’esigenza e la farei a prescindere dalla risposta del pubblico. Anche se devo dire che mi stanno scrivendo anche ragazzini di diciott’anni che si sono appassionati alle mie robe, magari perché cercano qualcosa di più serio e trovano elementi interessanti nei miei testi.

B: il disco doveva uscire in autunno, poi però hai deciso di accelerare i tempi. Aspetti un figlio…
P: sì, è stato necessario per non accavallare le cose, anche perché dopo l’estate ci saranno tante preoccupazioni, tante cose da seguire con la nascita della bambina…
B: a proposito, auguri!
P: grazie.
B: in ogni caso il risultato finale è quello che ti eri prefissato? Sei soddisfatto?
P: sì, ma in realtà si è trattato solo, come dire, di uno sprint finale. Buona parte del prodotto era pronto, magari mi sono chiuso in studio per gli ultimi due pezzi però il resto a grandi linee era già abbozzato. Dove sono andato ad accelerare i tempi, più che nel processo creativo, è nella fase di mix e mastering, ma avendo vicino dei musicisti e degli ingegneri del suono davvero bravi abbiamo ottenuto il suono che volevo.
B: e che non solo è molto potente, ma soprattutto ha una sua identità.
P: ho cercato una mia direzione originale, un mio suono, e penso di esserci riuscito. Poi ovviamente si sentono anche le influenze delle cose che mi piacciono.

B: prima di raccontarci più in dettaglio qualche brano, avevo un paio di curiosità da chiederti e una riguardava appunto il sound, cui partecipi di nuovo in prima persona. Che tipo di visione ti ha guidato? Sei d’accordo nel definire la componente musicale di “Darkswing” come una soundtrack, più che una semplice selezione di beat?
P: bisogna partire dal presupposto che io avevo intenzione di fare un concept album, non uno di quei lavori che sembrano delle compilation. Di solito per farlo occorre un’unità stilistica, di sonorità, e questa cosa sono riuscito a ottenerla nonostante abbia lavorato con produttori diversi, ma mettendoci comunque del mio. Ho trovato un filo conduttore dall’inizio alla fine dell’album e più che a una soundtrack il rimando è al Prog Rock, nel quale in genere si notava un’unica componente stilistica anche all’interno di tante sfaccettature. Sono episodi con ambientazioni molto diverse tra loro, però una linea comune c’è e questo per me era molto importante.

B: l’altra curiosità riguardava l’artwork, che è uno spettacolo. Ha qualche significato simbolico o è un lavoro puramente astratto?
P: dato che il disco suona molto dark, notturno, io volevo richiamare qualcosa di esoterico e medievale, infatti sia sulla serigrafia del CD che nella cover ho inserito due rosoni gotici, diciamo così, che ho disegnato da zero. La direzione era quella perché credo viviamo tempi difficili che potremmo quasi paragonare al medioevo e poi è ancora un riferimento al Prog Rock, ad esempio se pensi a quello nordeuropeo trovi molte influenze della musica celtica e siccome si tratta di un genere che a me piace molto ne ho ripreso a mio modo anche l’immaginario visivo.

B: veniamo ai brani che mi hanno colpito maggiormente. “Un mondo difficile pt. 2” aggiorna una collaborazione, quella col Danno, che sembrava già perfetta: da cosa nasce un pezzo così?
P: avevo intenzione di coinvolgere Simone perché siamo sempre stati buoni amici ma, negli ultimi due anni, abbiamo legato ancora di più. Chiamarlo a collaborare è stata quindi una cosa abbastanza naturale, erano passati quasi dieci anni dalla pt. 1 e allora quale miglior occasione per ritrovare quell’intesa e chi meglio di Dj Craim per gli scratch…
B: …abbinamento perfetto!
P: tra l’altro sul disco ho tutti e tre gli Artificial Kid, perché c’è anche Stabber con un suo beat.

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B: “Sogno loro” è un monologo piuttosto nostalgico, racconti di tag, di <<fratelli che torneranno>>, di amicizie perdute… Ti senti a tuo agio nell’affrontare la dimensione personale?
P: sì. E infatti non è l’unico episodio in cui scrivo in modo intimo. In un brano come “Il motivo” parlo di cose abbastanza delicate, la stessa “Overdrive” e in passato “Drive” sono dei flussi di coscienza; per me scrivere anche di cose profonde è fondamentale per non rimanere sulla riga dell’egotrip.
B: e questo è un aspetto di te che è venuto fuori in particolare nella fase solista, rispetto a un passato in cui forse guardavi più alla tecnica.
P: è vero, però c’è da fare una precisazione. Io sono così tanto intrippato con la tecnica che anche quando scrivo di me inserisco metriche molto particolari, perché mi viene spontaneo usare determinate soluzioni anche quando non mi concentro solo sull’aspetto tecnico.

B: tra parentesi, in una rima citi i Company Flow e hai detto spesso di essere un fan di El-P e dei Run The Jewels. Tra un mese “Funcrusher Plus”, che io scoprii grazie a un vecchio mixtape di Dj Drako (“Dj Drako & The bionic quartet”), compie diciott’anni, l’hai consumato anche tu quell’album?
P: è uno dei miei dischi preferiti, senza dubbio. Cazzo, ha davvero già diciott’anni?!
B: eh sì, non sembra perché nel novantasette era avanti e oggi è attuale…
P: …io sono innamorato di quel disco, l’ho assolutamente consumato e ce l’ho sia in CD che su vinile.
B: sai che El-P e Killer Mike suoneranno a Bologna e Milano il prossimo settembre? Ci sarai? Sarebbe bello se potessi aprirgli tu una serata.
P: ci sarò di sicuro come spettatore, magari mi chiamassero a suonare… E comunque ho già avuto il piacere di suonare con El-P in una serata in cui c’erano Company Flow, Alien Army e 13 Bastardi in Salento, al Gusto Dopa.

B: “Overdrive” è il seguito di “Drive”, sei di nuovo il personaggio senza nome del film di Refn, ma questa volta sembri avere una destinazione precisa, tua moglie, una figlia in arrivo… Possiamo dire che hai smesso di girare a vuoto?
P: in realtà già quando ho scritto “Drive” avevo una situazione abbastanza stabile. L’esigenza di aggiungere qualcosa è nata dal fatto che lì terminavo un po’ con un punto interrogativo, allora ho voluto dare una continuazione alla storia, concluderla. Era quasi un film a metà, perciò volevo spiegare il resto: avevo cominciato dal tramonto e ho finito con l’alba. L’intenzione era di chiudere il cerchio.

B: apro un’altra parentesi. Il tuo Rap è ricco di cinema, raccontaci i tuoi gusti e consigliaci tre titoli che nessuno dovrebbe perdersi.
P: il mio film preferito di sempre è “Barry Lyndon” di Stanley Kubrick…
B: …amore che condividiamo!
P: beh, non si può non citare Kubrick se si parla di cinema. E’ come Mozart per la musica. Andando su cose un po’ più particolari, mi piace tantissimo un film intitolato “Vero come la finzione” (“Stranger Than Fiction”, ndBra), con Will Ferrell, una bomba atomica, poi…cazzo è difficile, tre titoli sono pochi. Mi viene “City Of God” (“Cidade de Deus”, ndBra).

B: “L’amore” è una carrellata di immagini in cui chiunque potrebbe riconoscersi – e ti voglio bene già solo per aver citato “Lamù”! Tu, Don Diegoh, Ensi e Kiave avete lavorato in sincrono, dandovi delle linee guida, o vi siete semplicemente lasciati condurre dal tema comune?
P: l’idea del pezzo mi è venuta quando ho ascoltato quel beat, che mi ha fatto subito pensare all’amore. Ma l’amore in senso lato, non per forza quello canonico per la propria donna. Io ho scritto la mia strofa di getto, poi ho contattato loro tre e gli ho detto che li immaginavo su quel pezzo, perché ciascuno di loro ha un risvolto molto poetico in ciò che scrive. Gli ho fatto ascoltare la mia strofa e loro si sono presi benissimo, gli ho chiesto di raccontare l’amore senza troppi riferimenti, senza un ritornello, e ne è venuto fuori un progetto davvero originale, una posse track sull’amore ma senza slanci melodici. Rap e sentimenti.

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B: apprendiamo con piacere che non sei ancora pronto a lasciare (“N.A.P.L.”). Qual è il segreto per trovare gli stimoli necessari dopo tanti anni di attività?
P: mi appassiona superare me stesso. Cerco sempre di spostare avanti l’asticella, lo stimolo viene nel far meglio di ciò che ho fatto ieri. Mi sembra che anche con questo disco, anzi soprattutto con questo disco ho fatto qualcosa che è avanti. Mi dicono che ho trovato una direzione che in Italia è assolutamente unica rispetto a ciò che gira solitamente e questa risposta mi stimola ancora di più. Volevo un prodotto che facesse dire agli altri questa roba noi la faremo tra qualche anno e forse ci sono riuscito.

B: in generale, come hai raccolto tutto il materiale finito in “Darkswing”?
P: di tutto ciò che avevo scritto ho scartato solo due pezzi, perché meno coerenti col resto. Erano tra l’altro molto belli, ma risultavano poco coesi agli altri e allora ho dovuto lasciarli fuori. Fondamentalmente non sono uno che scrive tantissimo e poi scarta, tenendosi il meglio. Quello che scrivo, lo pubblico, quindi possiamo dire che il lavoro creativo è andato quasi tutto a buon fine e “Darkswing” lo rappresenta in pieno.

B: parliamo di Napoli, che ha una scena abbastanza unita anche nel reciproco rispetto tra underground e mainstream. Io credo che questa città vanti liricisti poco noti ma di enorme valore, mi vengono in mente Emcee O’zì e Op.rot, tu che ne sei un veterano indiscusso su chi scommetteresti per il futuro?
P: guarda, bene o male li conosco tutti e vorrei evitare di fare qualche nome in particolare per non dare dispiacere agli altri, visto che cerco di spingere tutta la scena campana con la quale tra l’altro sono in ottimi rapporti. E’ un focolare di talenti ed è importante spingerla tutta, l’unica cosa che vorrei è che uscissero più spesso rapper bravi a fare Rap in italiano, perché abbiamo questo vincolo che ci rende poco esportabili fuori da Napoli. Io sono tra i pochi, qui in Campania, ad aver fatto sempre il Rap in italiano e mi auspico di trovare qualche mio erede, per così dire.
B: eppure a molti il Rap partenopeo piace proprio per questo, anche non capendolo del tutto. Per la sua musicalità.
P: il napoletano è una delle lingue più musicali al mondo e foneticamente, tra l’altro, si avvicina anche molto all’inglese. Probabilmente è più semplice da utilizzare rispetto all’italiano, che ha dei termini molto lunghi e un numero di sillabe maggiore, ma se ci sono riuscito io perché non dovrebbero riuscirci anche altri?

B: non voglio farti la solita domanda sui 13 Bastardi, però ricordo un vostro live del duemilaquattro a Battipaglia (SA) organizzato da Dj Rogo e i ragazzi della Energizer Fast Few, c’erano anche Kaos, Moddi, Danno e Dj Baro. Il punto è: credi che una crew come quella avrebbe senso e possibilità di esistere nell’Hip-Hop italiano di oggi?
P: sinceramente non saprei, dovrebbe essere la storia a dirlo. Però se osservi gli Stati Uniti funzionano tutt’ora crew larghe come la Odd Future e non vedo perché non possa accadere lo stesso anche in Italia. Prendi Carati!
B: vero, infatti è l’unica che stavo per citarti.
P: la maggior parte di loro tra l’altro sono miei cari amici e quindi ho una certa simpatia, umana oltre che artistica, per questo progetto, perciò voglio sperare che realtà simili siano possibili. Personalmente, tra l’altro, il problema rispetto a crew così grandi è sempre stato quello di non potermi esprimere al 100%, perché avendo a che fare con tante teste bisogna inevitabilmente trovare delle mediazioni e non emerge mai del tutto il tuo gusto. Il mio percorso da solista risponde proprio a quest’esigenza.

B: ultima domanda, di rito. “Darkswing” è stato accolto molto bene, lo porterai in tour nei prossimi mesi?
P: parlando di critica, il disco me lo stanno osannando, leggo pareri incredibili e addirittura insperati. Ogni giorno mi scrivono in privato e la percezione del prodotto è al momento strapositiva. Come date ne ho diverse nell’immediato e altre ne arriveranno, poi ad agosto facciamo questa bella esperienza internazionale al Kemp.
B: dopo Clementino, se non ricordo male. E i Fuoco Negli Occhi qualche anno fa.
P: e l’anno scorso c’è stato mio fratello Egreen, quindi mi sembra che il livello italiano del Kemp sia sempre stato bello alto e io cercherò di farmi onore.
B: oltretutto hai il sound giusto per riuscirci, perché è moderno ma non riprende il peggio dei suoni di oggi.
P: io non mi fermo, non mi fisso dei paletti mentali. Già fatico a capire chi ha la mia età e si è fermato alle cose degli anni novanta, figurarsi chi è più giovane e quasi idolatra quel sound. La musica si evolve e chi non sta al passo coi tempi, chi non riesce a reinventarsi, a rinnovarsi, secondo me è destinato a morire. E’ come se ti piace la pizza e tutti i giorni vai in pizzeria…a un certo punto dirai cazzo, andiamoci a fare un brasato!
B: ora però devi dirmi qual è la tua pizzeria di Napoli preferita…
P: a parte quelle superblasonate, più famose, per me la pizzeria numero uno si chiama La Taverna di Totò, nel Rione Sanità.
B: perfetto, segno…

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