Intervista a Bronze Nazareth (27/09/2021)

E’ un lunedì pomeriggio di una giornata fitta di impegni, comprendenti l’imminente telefonata che devo fare a Bronze Nazareth, il quale ci attende dall’altra parte del mondo nella prima parte della sua mattinata. Risponde sornione, felice che qualcuno abbia voglia di parlare del suo lavoro e di una carriera che l’ha visto tenere alta la bandiera del Wu-Tang Clan grazie al suo sapersi spartire tra mcing e beatmaking. Dopo i saluti di rito, scopro che ha controllato il nostro sito (I did my howework dice ridendo!), letto interviste e recensioni, complimentandosi con noi per la qualità dei contenuti e per la promozione ricevuta, lasciandomi una gradita sensazione di soddisfazione da condividere con ogni membro dello staff…

Mistadave: sei di Grand Rapids, nel Michigan.
Bronze Nazareth: esatto, vengo da lì. Poi mi sono spostato a Detroit nel 2003.
M: esisteva una scena Hip-Hop a Grand Rapids durante la tua permanenza?
BN: non si trattava di una vera e propria scena, c’era davvero poca gente interessata alla Cultura. Nessun originario del posto si è mai fatto notare a livello nazionale, fino a quando LA The Darkman e Willie The Kid non hanno cominciato a produrre le loro cose. Sono riusciti a guadagnare più notorietà restando attaccati alla figura di Dj Drama, poi è toccato a me grazie al mio contributo per l’album “Wu-Tang Meets The Indie Culture“. Sono sicuro che qualcun altro abbia poi tentato di proporsi, ma non è durato a lungo. Era un luogo troppo tranquillo nell’interesse verso l’Hip-Hop.

M: come sei entrato in contatto con l’Hip-Hop, nello specifico?
BN: avevo dei cugini più grandi che mi hanno fatto ascoltare i Fat Boys e la Sugarhill Gang, aiutandomi a conoscere meglio questo nuovo tipo di musica. Ricordo molto bene quanto mi piacesse “The Fat Boys Are Back“, ascoltando quel pezzo vi associo il momento in cui la mia mente cominciò a connettersi con il concetto di ritmo, di liriche. Ero presissimo da quel nuovo tipo di sound e da lì ho cominciato ad approfondire e cercare altro. Inoltre, mi piaceva molto la poesia, quindi abbinavo il Rap a una forma di poesia di strada supportata da musica fighissima, catturandomi sin da un’età molto giovane, negli anni ottanta. In seguito ho scoperto cose più dure come gli N.W.A. e i Mobb Deep. Quand’è arrivata la golden age c’ero giusto in mezzo, quindi potevo ascoltare i dischi con una mentalità più matura e una migliore comprensione dei testi, cominciando a sviluppare la mia voglia di scrivere e di creare beat di qualità.
M: a me piaceva moltissimo “Jailhouse Rap“, altra hit dei Fat Boys…
BN: è un classico! Li ho amati tantissimo; come pure i Whodini, che erano dei grandissimi.

M: hai cominciato prima a scrivere testi o realizzare beat?
BN: ho cominciato scrivendo, alle scuole medie. Avevo un forte desiderio di riuscire a mettere assieme delle rime, scrivevo versi su versi in classe mentre l’insegnante spiegava la lezione del giorno. A volte mi beccavano con fogli pieni di liriche (ride – ndMistadave). Mi sono interessato ai beat quando ho capito che volevo realizzarne di miei per metterci sopra quello che scrivevo e ciò mi ha poi portato a diventare un produttore. Ma il primo amore è stata la penna.
M: te l’ho chiesto proprio perché sei conosciuto anzitutto per essere un produttore, che poi è anche la dote che ti ha permesso di connetterti con la famiglia del Wu-Tang Clan…
BN: assolutamente. Stavo principalmente cercando di farmi conoscere come mc, ma al contempo realizzavo da me i miei beat e, quando ho avuto la fortuna di poter fare ascoltare a RZA i miei lavori, è rimasto colpito dal mio pezzo chiamato “Blowgun“. Quando mise giù le cuffie, ricordo molto bene che disse di avere già un numero sufficiente di rapper, ma che potevo unirmi ai Wu-Elements in veste di produttore. Da lì è aumentata la mia fama in quella veste, sovrastando leggermente quella di rapper.
M: puoi raccontarci quell’incontro con RZA?
BN: certo. Ho fatto molti viaggi dal Michigan ai 36 Chambers Studios di New York. Sono riuscito ad arrivare a lui grazie alle connessioni che avevo coi Killarmy, un giorno mi trovavo in quello studio e ho fatto il possibile per poter avere solo cinque minuti del suo tempo, aspettando fino alle quattro del mattino. Ero lì con Kevlaar 7 (il fratello di Bronze, sfortunatamente deceduto nel 2004 – ndM), RZA è comparso ed era pronto per tornare a casa, ma sono riuscito a strappargli quei cinque minuti sottoponendogli appunto “Blowgun”. Quando ha riposto le cuffie mi ha chiesto chi avesse composto il beat, gli ho risposto che ero stato io; il taglio che avevo dato ai sample l’aveva colpito e di conseguenza mi ha fatto quella proposta. Il giorno dopo firmai il contratto da produttore!

M: in seguito hai prodotto due pezzi per il suo album “Birth Of A Prince” e la maggior parte di “Wu-Tang Meets The Indie Culture“. Che sensazioni avevi nel lavorare per una realtà di cui in precedenza eri fan?
BN: era pazzesco, la chiusura di un cerchio. Perché mentre quelli del mio giro uscivano la sera, io ero chiuso in casa a produrre testi e beat. E’ stato un sogno tramutatosi in realtà. Avevo fiducia nel mio talento, avevo speso tantissimo in lavoro, dedizione, sudore, sapevo che qualcosa sarebbe accaduto. Non ci sono molte persone in grado di confrontarsi con me riguardo l’etica lavorativa. Ma è stato tutto ugualmente incredibile.

M: hai prodotto pezzi per Raekwon, Ghostface, GZA, Masta Killa, RZA… Chi ti ha dato più soddisfazione?
BN: sono davvero orgoglioso di “Ghost File – Bronze Tape“, con Ghostface Killah. Lui ha un catalogo pazzesco, sentire l’organicità delle sue barre sui miei beat è stato fantastico. Adoro anche GZA, è incredibilmente intelligente oltre che una persona molto educata, o almeno con me lo è sempre stato.

M: quando hai pubblicato “The Great Migration“, il tuo esordio solista, ti sentivi quindi pronto a pubblicare qualcosa di esclusivamente tuo?
BN: credo fermamente che tutto arrivi quando deve, quindi sì, il momento era quello giusto. All’epoca avevo migliorato parecchio le mie capacità di mc e penso di essere stato al top della mia forma, avevo fatto significativi passi in avanti rispetto a “Blowgun”. Credo di aver scritto le migliori rime possibili per un disco di debutto, non sono il solo a sostenerlo, mi sono arrivati un sacco di feedback dai fan. Qualcuno l’ha definito un classico e, secondo la mia opinione, è più importante il parere della gente che non il mio. Quando l’ho registrato avevo il mio studio a Detroit, i beat erano già pronti da tempo, ogni rima era collocata a dovere. E’ un album di cui sono particolarmente orgoglioso.
M: e ti ha aiutato a metterti maggiormente in mostra come mc…
BN: assolutamente, hai ragione. Era la mia occasione per mostrare di cos’ero capace da ogni punto di vista. Ho sorpreso tante persone, perché non pensavano potessi scrivere rime di qualità paragonabile a quella dei beat. Da lì si è cominciato a inquadrarmi anche come rapper.

M: c’è un artista del Wu-Tang Clan con cui non hai mai lavorato e col quale vorresti sviluppare un progetto?
BN: Method Man! E’ un artista incredibile, purtroppo non ho avuto molte possibilità di connettermi a lui. Sarebbe una roba fantastica, lui ha il fuoco dentro.
M: la cosa avrebbe senso soprattutto perché i suoi ultimi album non hanno beat eccezionali, a mio parere…
BN: (risponde molto diplomaticamente, senza cogliere la provocazione – ndM) è uno dei più grandi di sempre. Ha barre pazzesche, grandi flow, pattern di rime eccezionali. Non ha perso un solo passo in tutto questo tempo, ho il massimo rispetto per tutto.

M: parlando di altri artisti con i quali hai collaborato fuori dal Clan, mi viene in mente Canibus. Com’è stato lavorare con lui, che secondo me è un grandissimo mc nonostante sia sottovalutato, oltre al fatto che non sempre abbia saputo gestire adeguatamente la sua carriera?
BN: per lui nutro grande ammirazione, quando abbiamo realizzato “Time Flys, Life Dies… Phoenix Rise” abbiamo lavorato in completa sintonia e con grande continuità. E’ una persona con cui sono andato facilmente d’accordo, non mi ha mai creato nessun tipo di problema; è stato un processo molto liscio anche in fase di scelta dei beat che gli passavo. Siamo tutt’ora in contatto e magari un giorno registreremo altro assieme. Quel disco lo considero una gemma.
M: pensi che lui abbia delle similitudini con te nel suo modo di esprimersi? Secondo me avete uno stile di scrittura molto vicino, non direi filosofico ma piuttosto astratto.
BN: credo invece che filosofico sia proprio azzeccato. Sono solito pensare approfonditamente a ogni barra che scrivo. Astratto è comunque un termine pertinente, perché descrive l’arte proprio come la vedo io, sono cose che di solito non trovi in un testo Rap ma che lo fanno suonare ancora migliore. Siamo entrambi mc’s di una certa profondità, astratti, ci piace il liricismo puro, distanziarci da ciò che propongono tutti gli altri, sperimentare nuove tecniche.

M: com’è stata invece l’esperienza con King Crooked in “Gravitas“?
BN: sicuramente ha rappresentato qualcosa di nuovo per me. Quando ci siamo trovati in studio avevo già tutti i beat preparati con alcune versioni alternative, lui è stato molto veloce nella selezione. Abbiamo messo assieme tutto nel giro di due giorni, due sessioni di cinque ore ciascuna e il disco era fatto. Crooked non scherza in studio, ogni tanto lo guardavo e non si prendeva pause, non l’ho mai visto col telefono in mano a fare altro, era sempre preso a farfugliare rime che gli si generavano in testa. Con i beat già pronti si è fiondato al microfono e buttava giù i pezzi in una sola volta, era tutto tremendamente connesso tra testi e musica, ciò che rappava ce l’aveva già dentro, nulla di scritto. Non ho mai visto un processo di registrazione di quel genere, mi ha davvero impressionato tanto. Ho visto la grandezza manifestarsi.

M: tra i dischi ascoltati quest’anno, ho provato molto interesse per “Season Of The Se7en“. Come ti sei connesso con Recognize Ali?
BN: è accaduto tutto attraverso internet. Via social mi ha fatto sapere quanto gli piacesse la mia musica, così ho cercato dei suoi pezzi e li ho ascoltati, volevo ricambiare i suoi apprezzamenti. Una cosa ha tirato l’altra e siamo entrati in contatto diretto: Ali è un asso nelle relazioni con le persone. Oltre a ciò, è instancabile, gli ho spedito una manciata di beat e due giorni dopo me li ha restituiti con tutte le liriche registrate. Il nostro rispetto reciproco nasce dal fatto che entrambi non rallentiamo mai, siamo sempre al lavoro dando il massimo delle nostre possibilità. Mi ha colpito tantissimo il fatto che sia cresciuto in Ghana riuscendo ad ascoltare “The Great Migration” e i Wisemen (crew composta da Bronze, Kevlaar 7, Lord Jessiah, Phillie, Illah Dayz, Salute Da Kidd, June Megalodon – ndM), oltre al fatto che la mia gente proviene da svariati luoghi dell’Africa e ho sentito di conseguenza un legame familiare con lui, radicato nelle sue origini. Interagire con Ali per me è stata una benedizione, perché mi ha in qualche modo riportato sulle tracce dei miei antenati.
M: lui è un pitbull al microfono…
BN: è un mostro, sì. E’ stato qui al Black Day Studio e ha letteralmente tirato giù tutto, è una bestia per come aggredisce il microfono.
M: a mio avviso siete un accostamento naturale, perché nei beat che sceglie si sente molto l’influenza del Wu-Tang Clan, in particolare nei due episodi firmati coi Dueling Experts (progetto che Ali condivide con Verbal Kent e Lord Beatjitzu – ndM). Sei d’accordo?
BN: assolutamente sì. Ho realizzato un paio di pezzi con Lord Beatjitzu e si sente che è un grande fan del Wu-Tang, ne è molto ispirato. Ali ha raso al suolo quei beat, come ha fatto coi miei, ed è stato un piacere collaborare con lui per la naturalezza e la facilità con cui abbiamo portato a termine il tutto.

M: passiamo al tuo nuovo disco, “Ekphrasis“, realizzato in collaborazione con Roc Marciano. Com’è avere a che fare con uno dei migliori?
BN: è una collaborazione arrivata al momento giusto, che mi rende particolarmente fiero del fatto che un artista di quel livello veda me come suo pari e rispetti così tanto ciò che ho fatto. La nostra relazione lavorativa dura da anni. Il rischio di queste operazioni è che a volte il grande artista, preso a dirigere il lavoro di un altro, ti lasci arrivare solo fino a un certo punto. Per me, invece, è stato un onore interagire con lui, abbiamo condiviso la visione del progetto e agito di conseguenza.

M: siete entrambi mc’s e produttori. Cosa ti ha fatto decidere che avresti privilegiato il Rap alle produzioni in quest’album?
BN: è stata una mia idea. Volevo realizzare qualcosa di simile ai dischi di cui lui ha curato la produzione, tipo quello con Stove God Cooks, che ha dei beat pazzeschi, e più di recente con Flee Lord. Nel periodo in cui registrava con Stove, a volte lo incontravo nel quartiere, capitava che ci incrociassimo e scambiassimo qualche opinione, abbiamo sempre mostrato molto rispetto l’uno per l’altro. A un certo punto ho pensato che non sarebbe stato male realizzare un EP o qualcosa del genere fruendo dei suoi beat, così ho contattato le persone che mi hanno poi connesso direttamente a lui. Si è trovato d’accordo con la mia idea e si è messo a produrre prendendosi cura di ogni aspetto dell’operazione, come fa sempre. E’ venuta fuori una bellezza di disco, più ampio dell’EP a cui avevo pensato all’inizio. Ci sono anche un paio di beat fatti da me.

M: quali tematiche hai affrontato nel disco?
BN: racconta del mio viaggio personale, direi. C’è un pezzo che si chiama “Survivor’s Vow”, che racconta delle mie sofferenze, delle difficoltà per arrivare fino a qui, mentre “Kevlaar” l’ho concepita immaginando di parlare alle ceneri di mio fratello. Ho raccolto ogni pensiero mi venisse parlando a quell’urna, dicendogli che da quando è morto è stata dura andare avanti, ho dovuto fare questo e quell’altro. E’ un album molto personale, ma contiene anche tanta autocelebrazione: ce l’ho fatta, sono arrivato qui, non puoi toccarmi. Parlo anche di cose lussuose, che mi piacciono o che faccio sul serio, ma più che altro è il racconto del mio percorso di vita, la riflessione della mia personalità, del mio non essere una persona che le racconta. Le mie barre sono autentiche, reali, sono un artista originale, nessuno suona come me e io non voglio confondermi con gli altri. Un paio di settimane ancora, poi sentirete tutto (l’uscita è prevista per l’8 ottobre – ndM).

M: leggendo la tracklist, ho notato un pezzo con Boldy James, che proviene dall’area di Detroit. Essendo uno dei rapper più roventi in circolazione attualmente, hai mai pensato di realizzare un intero album con lui?
BN: non solo l’ho pensato, lo sto pure facendo. Al momento abbiamo sei pezzi pronti: Boldy è fortissimo, lo conosco da dodici anni, è capitato nello studio che avevo nella zona del Grand River. Abbiamo gemme che non vediamo l’ora di svelare.

M: quest’anno hai realizzato ben tre progetti. Hai altro da svelare per il 2021?
BN: esatto, ho pubblicato “Bundle Raps” con Leaf Dog (membro degli inglesi 4 Owls – ndM), dove rappo sopra ai suoi beat, poi ci sono “Season Of The Se7en” e, appunto, l’ultimo disco con Marciano. Per quest’anno non ho altro, ma nel 2022 uscirà il mio nuovo progetto solista, cui collabora anche Apollo Brown, dovrebbe essere pubblicato entro febbraio. C’è molto altro su cui sto lavorando: un album con Lord Jessiah interamente prodotto da me, un altro disco con Recognize Ali, sto seguendo un nuovo artista, Woozy, che viene da Grand Rapids, e sto mettendo assieme un progetto che contiene beat fatti da mio fratello Kevlaar 7. Vorrei tenere un ritmo compreso tra i tre e i cinque titoli l’anno, un ritmo che si addice alla mia tenacia.

Abbiamo leggermente sforato sulla mezz’ora prevista, ma non è stato un problema. Bronze mi lascia ricordandoci che ci vorrebbero più appassionati come noi e di continuare su questa strada, tenendo alta la salute dell’Hip-Hop. Raccomandazioni che a nostra volta potremmo fare a lui: un artista genuino, orgoglioso di ciò che ha raggiunto, solido nell’etica e pronto a lottare affinché questa Cultura che abbiamo iniziato ad amare da ragazzini continui a non essere confusa con quanto presenzia spesso in classifica. Grazie, Justin!

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